Ore 12, IKEA.
Dopo aver attraversato migliaia di mq fra piano espositivo e magazzino, decriptato i codici, prelevata la merce (scaffale 9 e posto 13? o scaffale 13 e posto 9?), superato le casse e acquistato le polpette Kottbullar, li vedi raggiungere l'uscita principale. Segnati dai neon, vinti dalle temperature asiatiche.
E come se non bastasse, proprio davanti alle porte scorrevoli, quando si illudono di aver finalmente raggiunto la meta, incontrano la forca caudina: un banchetto per la raccolta fondi. Associazione umanitaria.
Allora. Tanto di cappello a chi si smazza il sabato mattina per una causa benefica. Bravi.
Però penso che chiedere, sia questione di grande equilibrio e delicatezza. Si può fare in modo discreto, educato e defilato.
Insomma, un ragazzo e una ragazza adescano i passanti ignari, stile animatore villaggio vacanze.
"Ehi nonna, come sta?"
"Amico, ti ho riconosciuto, fermati un momento!"
"Ma che simpatico frugoletto! E che famigliola carinissima!"
Sto ferma per un po', causa coda al reso merce, e me li guardo.
Lui sarà sulla trentina, classico parrocchiano attivissimo. Occhialuto, scarpa anonima, capello rado, pantalone di vigogna. Ai limiti del nerd.
Lei, qualche anno di meno, parrebbe pure carina se non fosse che appartiene alla categoria "mi-mortifico-perchè-ciò-che-conta-è-che-uno-sia-bello-dentro". Tende a scomparire.
Nell'attesa, apro le patatine Potatischips, prendo posto sui miei imballaggi, e mi godo lo spettacolo.
Giunge una coppia di mezza età. L'uomo è un tipo alla Hulk Hogan, massiccio e con tanto di bandana. La moglie sembra non appartenergli. Elegante, bionda, un sorriso gentile. Bella signora.
Ed ecco il mio volonteroso volontario scattare sulla fascia. Evidentemente gli paiono dei buoni soggetti.
"Ciao ragazzi!", esclama brioso, piazzandosi davanti al carrello con braccia e gambe spalancate.
Rimango lì, una patatina a mezz'aria.
Ora, posso anticipare che non ho asistito a scene racapriccianti. Che (purtroppo) il nostro wrestler con bandana non ha fatto roteare sulla sua testa il malcapitato e vivace catechista. Nulla di tutto ciò.
Ma quel "ciao ragazzi" mi è parso così irrispettoso e inadatto. Così forzato e triste. Che mi son chiesta se qualcuno si è preso la briga di spiegare a questi volontari che il rispetto per l'essere umano, che così tenacemente tutelano a distanza, ha un suo valore anche qui, a casa loro.