venerdì 31 luglio 2015

Gambe

C'è un video di me dodicenne che in calzoncini corti corro lungo la china del paesello dove si faceva vacanza con la nonna. Ho queste gambe fuscello lunghissime, cresciute dalla notte al giorno, che ancora non mi capacito e non governo a dovere. Si muovono scomposte, come le zampe di un puledro ciondolante, e sono buffa e tenera.
Poi nel giro di pochi mesi è cresciuto tutto, un poco per volta. Braccia, busto, tette. 
Intorno ai quindici anni, per la prima volta ho avuto coscienza di possedere un paio di arti inferiori il cui senso andasse oltre il deambulare.
"Cazzo, hai due gambe...", disse lui sospirando. Aveva sedici anni, e una cicca trasgressiva penzolante all'angolo della bocca. Era luglio e stavamo seduti a cavalcioni del muretto.
Io guardai giù. Due gambe, ovvio. E quindi?
Cominciai così a studiare serialmente la cosa. Scoprii incredula che esistevano gambe corte, grosse, magrissime, tozze, con la ritenzione idrica, agili, con la buccia d'arancia, bianchissime, pesanti, abbronzate, muscolose. Esistevano gambe che dicevano molto, altre assolutamente mute.
A diciassette anni salutavo la mamma in tenuta d'ordinanza: jeans, felpa e zaino in spalla. Poi passavo in cantina, sfilavo i jeans e infilavo la mini. Avavo capito un sacco di cose sulle gambe, e soprattutto andavo molto fiera delle mie. Non mi sono mai andata complessivamente a genio, mi trovavo (e mi trovo) soltanto difetti, ero (e sono) complessatissima. Ma quando mi chiedevano cosa mi piacesse di me, quale fosse ai miei occhi il pezzo da novanta, rispondevo senza indugio "le gambe!".
Ora, per capirci meglio, direi che il Gioia modello - coscia magra e polpaccio affusolato - potrebbe essere un mix fra le seguenti (per ovvie questioni di pudore, non posto le mie):


Insomma, mi ritrovo adesso a fare i conti con qualcosa di nuovo e assolutamente inconsueto per una donna adulta. Le mie gambe, benchè si conservino sempre in ottima forma (forse più toniche d'un tempo, vista l'attività di ascensione vette che mi occupa da un po') inizio a detestarle. Le nascondo, le occulto, le degno di una scarsa considerazione venata di fastidio. Perchè non le vorrei più così come sono, costituzionalmente. Se potessi per dire, cambiarle, comprerei queste:

E non serve a niente ripetermi che sul mio corpo snello e lungo stonerebbero come due decolltè rosse ai piedi di un prelato. No. Io le voglio così. Con la stessa intensità con cui una bambina di tre anni si piazza davanti al negozio di giocattoli, pestando i pugni sulla vetrina.

lunedì 27 luglio 2015

Le mie farfalle


Sono in vacanza, ma non farò a meno di scrivere dal luogo ameno in cui mi trovo. Anzi. 
Da ieri mi gira nella testa un post bello che vorrei dedicare alle amiche mie, altrettanto belle.
Il  panorama delle donne che amo è piuttosto variegato. Sono per la biodiversità, via. 
Non arrivano a dieci le mie amiche speciali e nessuna somiglia all'altra, nessuna può essere assimilata all'altra. Non viaggiano a braccetto, anche se alcune fra loro sono molto intime, al di là e al di fuori di me.
Ci siamo raccolte in tempi e luoghi così diversi, che a mappare i nostri incontri verrebbe fuori un bel Mondrian.
Quello che ci accomuna, è provare tenacemente a ritrovarci, nonostante tutto: lavoro, compagni, figli, stanchezza, distanze. A volte capita che per mesi si riesca solo a tener teso il filo di qualche rapido, estemporaneo e magro contatto: un messaggio, una mail, una telefonata rubata ai proficui e inattivi tragitti in auto (subito dopo il ritocco rimmel e subito prima della pulizia cartine sparse).
Poi, quasi miracolosa, la congiunzione. Sei libera giovedì? Anch'io! Ma verso le cinque, non prima. Perfetto, alle sei però ho piscina. Abbiamo un'ora, fantastico. Ok, passo da te. 
Che ritrovarsi e colmare il tempo è niente, bastano cinque minuti. 
Così prima della partenza per esempio, loro c'erano. Lei, seduta dietro lo sportello alla posta, tutta occhi celesti e denti bianchi, una carezza veloce e gli auguri di buon compleanno, che c'è gente in coda. L'altra mi domanda quanta ricotta ci metto, nella torta salata. Poi arriva un messaggio di buon viaggio e carezze (scrivi, leggi, riposa, scatta foto!): ho un culo da non credere.
E allora volevo dire che dovremmo tenerci strette, ecco.

mercoledì 22 luglio 2015

Nuove abitudini


E' che a volte si pensa di fare la rivoluzione menando fendenti, camminando a rovescio, trascinando disperatamente ogni cosa da sotto a sopra, da sopra a sotto. Oppure, al contrario, si crede che il Magnifico Cambiamento sia in arrivo, col treno delle tre, che a noi tocchi solo passare in stazione e al binario, allargare le braccia.
V. mi scrive che col marito ci sta riprovando. Disfare e rifare, le dico, altrimenti non va. Poi mi mordo la lingua, e fortissimo, perché questo si chiama “dispensare consigli” e io ho smesso da tempo. Ma a volte ci ricado. Lei poi mi scrive che però non vuole rinunciare a pensare che da qualche parte, in questo vasto mondo, esista qualcuno con cui potrebbe fare cose incredibilmente belle. Come scopare sul tavolo e su quello stesso tavolo mangiare spaghetti in rosso alle quattro del mattino. E viceversa. Oppure ubriacarsi dal ridere e fare indigestione di segreti sotto il piumone in una domenica fredda e pigrissima. O magari giocare all'infermiera e al malato, un po' seri e un po' impacciati, ma con bocche impazienti. Cose così. Cose che col marito non si facevano mai, che fa sorridere solo a pensarci, di mettersi lì adesso.
La capisco io, la capisco eccome. Totalmente.
Ma allora amica, cosa riprovi? E soprattutto, per chi lo fai? Provare, arrivati qui, significa trascinare questo marito sul tavolo, dopo aver spadellato con indosso soltanto il grembiule da cucina. E via avanti. Giocare d'azzardo, girar le carte come un mago, che non ti riconosci neanche più. Allora sì, vale la pena riprovare, quando sei tu a sovvertirti, quando vuoi fare la tua, di rivoluzione.
Che forse al marito piacciono un mondo le infermiere e gli spaghetti erotici e i segreti sotto il piumone. Ma se così non fosse, pazienza, tu hai detto chi sei, cosa vuoi, tu hai cercato una vita che ti corrisponde.
Perché i sogni insognabili si leggono in faccia. Io l'ho portato scritto addosso che tenevo una porta aperta sul possibile, che in quel fiero “riprovare” c'erano falle grosse, voragini che non si lasciavano colmare. 
Ed è bastato un niente.

venerdì 17 luglio 2015

Summer night


Notte d'estate, finestre aperte sulla strada. Il mondo finisce lì, la strada è chiusa, non puoi raggiungere qualcuno, qualcosa, non puoi andar di fretta. Puoi solo stare.
Oltre la strada c'è il mare, e odora, che potresti lasciarci la faccia sopra, annusare ad occhi chiusi, per dire di cosa è fatto: scafi bianchi, scorfani, pinne blu, grida di bambini, conchiglie, membra lisce di donna, meduse iridate.
Lei si sveglia, ha sete, s'alza. Con piedi leggeri e rotta indefinita raggiunge il frigorifero. Beve a sorsi piccoli affacciata alla nera notte, al nero mare, alla danza di luci in cielo e in terra.
Lui si sposta appena fra le lenzuola, la cerca, ma tiene ancora pensieri e voce nel sonno. Protende il braccio cieco, ed è un appello, un'urgenza, una resa. Senza dire, lei si allaccia a quella fune tesa nel buio e si lascia andare, lieve.

sabato 11 luglio 2015

Svaghi estivi


"Ma siamo in Canada?", e rido felice del bagliore verde, pulsante, vivo, che d'improvviso tace e lascia spazio alla roccia bianca, severa e muta.
Ti volti e dici che è incredibile, perchè quel Canada ce l'avevi adesso negli occhi e sulle labbra. Volevi parlarmene.
E poi uno struggimento che non so, come di qualcosa che attendevo, come di passi ritrovati, di un luogo a cui dovevo tornare. Un abbraccio materno, a cui abbandonarmi senza domande o parole.
Ho pensato a mio padre, ai suoi racconti canadesi, di cui mi resta l'intensità sognante e un autoscatto sulla veranda: gambe lunghissime e distese, foresta boreale alle spalle.

Non sarò mai una ciclista doc.
Perchè i ciclisti veri, sotto il pantaloncino imbottito non indossano slip.
Perchè il casco tendo ad indossarlo con vezzo, sulle ventitrè.
Perchè interrogata, non so mai quale corona o quale pignone sto utilizzando. E rispondo seccata: "prima tacca del cambio di destra e terza del cambio di sinistra", mostrando le levette nere poste sul manubrio, come fosse già tutto scritto lì.
Perchè mi aggiusto sovente la maglietta sul culo.
Perchè quando devo parcheggiare il mezzo, cerco il cavalletto.
Non sarò mai una ciclista doc, ma in sella alla mia bici sono Gioietta, a sette anni. Massimo otto.

mercoledì 8 luglio 2015

Liste estive


Allora le ero andato dietro e l'avevo abbracciata come se la stessi incontrando per la prima volta dopo tanti mesi. Perchè Jude aveva questo: che con una sola parola io potevo farla sentire abbandonata come se fossi stato in viaggio, però anche il contrario. Che da lontanissimo potevo farla sentire protetta come quando c'ero. E io lo sapevo che avevo questa responsabilità bellissima da sostenere.
(V. Parrella, "Troppa importanza all'amore")

Lista delle cose luminose che voglio fare in vacanza (alcune già eseguite, ma per correttezza e amore del vero le inserisco con il segno di spunta X):
- nuotare in una baia molto azzurra, mentre una nasce una luna padella che sbrilluccica sul mare appena increspato (X)
- mangiare una frittura di paranza
- mangiare seppioline con polenta sorseggiando vino bianco fresco e resinoso (X)
- dormire (X)
- dormire con le stelle sulla testa
- dormire con le stelle sulla testa in cima al mondo (accetto compromessi)
- correre mentre scende un acquazzone
- sfrecciare con la bici sul lungomare (X) 
   evitando rovinose cadute come - ahimè - è avvenuto (ndr)
- abbracciare le amiche
- leggere leggere leggere (X)
- scrivere scrivere scrivere
- regalarmi un massaggio total body
- ballare questo pezzo sul pratino di casa, scalza, le lucette appese al filo
- pagaiare al lago (X) 
- compiacermi

Stamattina prestissimo, guardavo desolata dal terrazzo questo cielo cambogiano. Tutto è lento, oleoso, denso, sotto la coltre umida.
E' passato un ragazzo africano in bicicletta, diretto alla segheria, e cantava. In quel silenzio immobile, lui cantava. Mi son detta che ogni cosa è relativa, che l'anno scorso di questi tempi ero trasparente e leggerissima, che la luce mi feriva gli occhi. Che adesso invece mi sento addosso tutta questa forza bella, come potessi far tutto con le mie braccia, con le mie gambe.
Allora chissene, direbbe un mio alunno. Caldo o non caldo, io sono viva assai.

domenica 5 luglio 2015

Rivelazioni


Allora è così, ne sono convinta.
Mi è capitato di sentirlo come una rivelazione, di quelle che d'improvviso mettono una luce qui e una là, dove prima ci vedevi appena.
E' cominciato tutto quando eravamo all'Oviesse, io e la Giuli, e si doveva pagare. La Giuli aveva un buono sconto, che però non tornava alla cassiera. Questa, scostante, acidina e brusca come poche, pareva le stesse facendo un enorme favore. Ho sospirato e mi sono schiarita la voce. Come a dire "se la fai tanto difficile chiudiamola lì, che mi stanno girando vorticosamente". Invece la Giuli, una flemma da estasi. Tanto flemmatica e paziente, tanto sorridente e morbida, che la tizia ancora un po' le applicava uno sconto supplementare. E giù a raccontare che lei ha una certa età, e manco ci immaginiamo quanti anni ha. Che noi non ci si sognava di rispondere, ma lei ha detto "cinquantasei", e li aveva tutti lì. Invece ci è toccato far finta che ne avesse smarrito qualcuno.
Giuli annuiva, poneva questioni, sorrideva, l'altra narrava del marito che sempre la critica e la vorrebbe più magra. Alla fine, quando io scalpitavo per uscire, ha detto con un certo trasporto "ciao Giuliana" e ci è mancato poco che se ne uscisse da dietro il bancone per stringerle la mano.
L'avevo già notato questo suo modo bello e unico di lasciare uno spazio. Come se dentro la Giuli avesse sempre una poltrona comoda, un caffè fumante, della buona musica. E la gente vede, sente, annusa, prende posto.
Così le ho detto "hai un dono", ma lei che per contro è una testarda da paura, non vuole vederlo. Dice "un dono del cazzo", perchè non la porta dove lei vorrebbe, all'armonia che attende da troppo. Invece sbaglia, perchè sono i nostri doni, i nostri talenti la traccia da fiutare.
Mentre davanti ad una birra enunciavo la mia teoria in germe, lei si bruciava mezzo pacchetto di Camel con aria scettica e vagamente rassegnata. Ma io parlavo lo stesso e parlando, ho visto il mio di talento, che mai mi era apparso con tanta chiarezza. E' stato come sollevarmi un poco, o buttar giù zavorre. Perchè il dono, quello che a tutti è concesso, ma che non sempre si ha la fortuna di intuire, è un motore ausiliare, un propulsore naturale. Ho capito che se se lascio a lui il posto di guida, e assecondo, smetterò di sprecare tempo ed energia a remare scomposta, in balia delle correnti avverse. E la cosa più bella, più straordinaria, è che il dono mi appartiene totalmente. Come un ricordo, un polmone, un sogno, un segreto, un osso. Ecco, nessuno al mondo potrà mai portarmelo via.
"Hai capito cosa intendo, Giuli?"
Lei ha sorriso. E ha ordinato un'altra birra.

mercoledì 1 luglio 2015

Creazione


Dipende sempre da cosa si intende, per amore.
Anche lui, in un tempo altro, quando le cose poteva misurarle, contarle, dosarle, gli aveva dato confini precisi, lo aveva descritto. Immenso diceva, assoluto: ma le parole lo profanavano sempre, lo finivano in qualche modo con la loro pochezza.
Adesso, accanto a lei in quel silenzio di mosche e cicale, adesso che guardava i suoi piedi egizi allungati sulla sabbia e poteva vedere sotto, sotto la pelle, sotto i tendini e i muscoli, ogni singola falange spingersi verso la commovente dolcezza dell'arco plantare, non lo sapeva più.
Mille volte aveva provato a spiegarle, pesce muto all'amo, quanto, come, con quale intensità. Lei aspettava lievemente protesa, spezzava un grissino, le pupille dilatate, divertite, perse in tutto quel giallo.
E niente. Perchè non c'era calibro o volume, libbra o circonferenza. Far di conto è una cosa tutta umana, dettata da umani limiti.
Si chiedeva spesso, registrando un'ombra leggera sul suo viso, o l'incertezza di un passo, se stesse bene, se tutto attorno ogni cosa fosse disposta a dovere. E nel dubbio aggiustava, spostava, smussava, ammorbidiva una luce, addolciva un caffè. Aggiungeva, sommava, perchè la grandezza non conosce sottrazione.
Allora non trovando estuario o voce, quella grandezza cresceva e cresceva, e più cresceva più lui si muoveva inquieto, gonfio di una gioia che si faceva struggimento.
Fu così che lei un mattino di gennaio - quanto amava quei giorni nati scuri che si aprivano breccia nella luce con lame gelate - si svegliò in un abbraccio antico, in una carezza piena di premure, in un grembo che molle le si plasmava attorno, perchè di lei conosceva ogni profilo.
Una mano inesperta aveva cucito assieme i mille pezzi della coperta che l'avvolgeva. Forme geometriche, spicchi irregolari, arabeschi, celesti, strisce dorate, ricami di foglie e rami, verdi. C'era ogni cosa, tutta la vita sua. Notti bianche, biscotti al cioccolato, scarponi ben stretti, porte sbattute, sette in condotta, neve bagnata, un bacio maldestro, la bicicletta rossa che posava appena i piedi a terra, ma come andava.
Alla sua destra, lui dormiva il sonno pieno e giusto del settimo giorno.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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