sabato 30 dicembre 2017

Sogno e realtà

Più bazzico la rete e più colgo un'eclatante incongruenza di fondo. 
Mentre si passeggia tra le vite altrui - più o meno mascherati, più o meno riconoscibili - e si mette la propria esistenza in piazza, senza alcuna remora (vedi gallerie fotografiche dei rendez vous amorosi, o dei figli in costume da bagno, o di angoli suggestivi della propria casa o del proprio involucro), si avverte un forte bisogno di pulizia e verità. Di onestà. Di chiarezza nelle parole e coerenza nei pensieri. Vorremmo certificare che quanto leggiamo e vediamo corrispondesse al vero, ci piacerebbe che i furbetti del quartierino, marpioni e mistificatori, venissero messi alla gogna.
Ed ecco una serie di giustizieri pronti a sbrogliare la gabola, a smascherara la contraddizione, a piazzarsi sul petto la stella dorata.
Ora, come posso chiedere trasparenza ed esattezza a qualcuno che non ha volto e (spesso) nome? Mi sembra una battaglia persa in partenza, un inutile dispendio energetico, un punto d'arrivo tanto astratto quanto evanescente.
Ecco, io vado d'istinto, altro non so fare. Ascolto il suono della parola scritta, sento (o non sento) di poterla associare ad un'anima, mi avvalgo di quattro vibrazioni e di una manciata di corrispondenze. Corrispondenze con me, con quel che sento, come quando un libro mi piace e lo sottolineo tutto. E poi ne compero un altro, dello stesso autore. 
E' sempre la stessa storia, posso scegliere.


Ho sognato che facevo fuori un sacco di gente, reduce da un film visto su Netflix e proposto dalla frangia maschile. Ieri sera toccava a loro.
Mai sognato di ammazzare qualcuno, di solito recitavo nel ruolo di vittima.
Il problema era che tutte quelle mosse vorticanti per aria mi avevano stancato un mondo. E ad un certo punto, quando ero lì lì per assassinare una tipa orientale che si dimenava da matti - legandole un sacchetto in testa - ho detto: "facciamo che ti chiudo qui dentro a chiave e la finiamo lì". 
E così è andata.
Stamattina però sono distrutta, troppo lavoro notturno.

martedì 26 dicembre 2017

E' inverno ma

Mi è piaciuto quando la collega ha letto con il microfono le poesie dei miei ragazzi. Bellissime. Mi è scappato da piangere, ma io non faccio testo.
Mi è piaciuto cantare con loro Feliz Navidad e alla fine: "Hyaaa!", l'urlo cowboy che avevo promesso. Credevano che non avrei avuto il coraggio. 
Mi è piaciuto il mare. Come l'ho visto mi son tolta la giacca e ho tirato su i capelli, perchè pareva di colpo un poco meno inverno.


Mi è piaciuto il pacchetto rosso, la sorpresa dei biglietti per il mio concerto. Chissà se Giuliano lo sa, che ci incontreremo.
Mi è piaciuta una cena alle sei, che si era saltato il pranzo. Raccontarsi cose stupide di noi ragazzi come fai al primo appuntamento, quando vuoi mostrare tutto di te.
Mi piace la Olli che starnutisce quando sbuccio un mandarino e poi si incazza e abbaia.
Mi piace restare in pigiama, studiare, guardare vecchie foto, scrivere a qualcuno che non sento da un po', rivedere "Io e Marley" ma senza volume. 
Mi piace il via vai di cappotti e giacconi e scarpe bagnate in corridoio. Poi mi piace il silenzio assoluto, il mio, il nostro.
Sta andando tutto bene, che meglio di così.

venerdì 22 dicembre 2017

Fil rouge

Qualche giorno fa, nel bel mezzo di un fitto scambio whatsapp con un'amica di blog (alle soglie della mezzanotte, mentre la mia dolce metà dormiva saporitamente), è riemersa come un pezzo antico e sepolto la parola strana
Ci si raccontava le infanzie (incredibilmente parallele e conformi) ed è saltato fuori che pure lei ha fatto i conti con le vessazioni dei pari. Dispetti, pizzicotti, spintoni, male parole. E l'indifferenza, che è poi il peggiore degli oltraggi: stai fra noi, ma non sei una di noi.
Così messaggio dopo messaggio, lei a un certo punto scrive: "sai, io ero strana". Di colpo mi si spalanca una porta, come sbattuta dalla corrente d'aria: per magia si materializzano le popolarissime sorelle Palcich, secche come candele, scure come l'inferno.
Io avrò sette anni, sono seduta per terra a travasare la ghiaia da una mano all'altra. Passano dietro di me, mi assestano un calcio sulla schiena. "Strana!", urla la più grande mentre si allontana e mi pare la cosa più brutta al mondo, quella che decreta lì e sempre decreterà, la mia condizione esistenziale. 
Mi porto a casa l'infamante epiteto con la necessità di fare chiarezza e mi guardo attorno.
Nel palazzone popolare in cui viviamo, l'inquilino del sesto piano entra ed esce dal carcere a mesi alterni. La madre della mia compagna di giochi fa un mestiere che non capisco, ma va in strada alle otto di sera e rientra all'alba. Il fratello adolescente del dirimpettaio ruba motorini e lo racconta, ne va fiero.
Mio padre suona l'armonica a bocca, sforna panettoni dorati degni di un mastro pasticcere, insegna all'università e porta scarpe da ginnastica. Mia mamma non si fa la messa in piega, esibisce jeans attillati e qualche volta si dondola con me sull'altalena. Per diletto e per arrotondare, infila perle e fa lunghe collane variopinte che la merceria del quartiere espone in vetrina. Io ho la tessera della biblioteca, sono l'unica in classe a non essermi comunicata e a non indossare il fiocco sul grembiule. Leggo tanto e non guardo la tv perchè papà pensa che potrebbe nuocermi molto.
Siamo strani, sono strana: è un dato di fatto.
Da lì è un'altra storia. La voglia di essere assimilata e non difforme, il bisogno di appartenere e di confondermi nel mucchio, ha segnato tutti gli anni a venire.
Ma l'altro giorno, mentre salivo in auto per accompagnare a scuola Edo, tutta avvolta nella sciarpona rossa, l'ho sorpreso a guardarmi di taglio.
"Sembri un cartone animato", mi ha detto sorridendo, e so che voleva farmi un complimento. Mi piace essere una mamma così, un po' disegnata, un po' rompicoglioni, che bacia troppo e si scalda con niente. Mi sa che è tutto merito di quella strana, che giocava con la ghiaia seduta per terra.

giovedì 14 dicembre 2017

La Storia e noi


Mi piace da matti questo momento dell'anno scolastico, perchè i Greci sono agli sgoccioli. Nelle ultime lezioni dicembrine racconto di Socrate e Platone e Pitagora, della bellezza del porsi domande, del cercare risposte. E mentre i miei alunni tutti invasati, lanciano le questioni più astruse sull'esistenza, l'universo e la realtà metafisica, ecco che zac!, arrivano i Persiani.
Ma come, i Greci stavano tanto bene e si espandevano ovunque, proliferavano e se la godevano un mondo fra banchetti e tragedie, cosa mai poteva minacciarli? I Persiani, proprio loro.
Per la prima volta i bambini incontrano la Storia, che non è più solo artigiani e commercianti, uomini timorati che coltivano orzo e raccolgono datteri, scribi saggi e potenti re dai variopinti copricapi. Ora sono abbastanza grandi per la Storia degli uomini, del divenire concreto dei loro gesti nel corso del tempo, delle tendenze innate che li hanno guidati e ispirati: potere, giustizia, amore, fame, conquista.
E le Termopili non sono un passaggio de "Il Signore degli Anelli"; il manipolo di spartani che presidia l'unico varco percorribile dalla truppe di Serse, non è un esercito di orchi o di nani. Si parla uomini veri, fieri, disposti a morire.
Oggi, mentre raccontavo della feroce esecuzione degli ambasciatori persiani da parte di Leonida, una bambina tendente al pallore ha interrotto la lezione per chiedermi turbata: "maestra, ma è tutto vero?".
Perchè questi bambini, ai quali evitiamo con cura ogni tipo di stress o frustrazione, non si confrontano mai con i temi forti della vita. La morte, il dolore, la paura, la perdita. O meglio, capita pure che ci si debbano confrontare, ma c'è sempre qualcuno pronto a smussare, attutire, distrarre.
La vita è un cammino senza ostacoli e le asperità sono di un altro mondo, virtuale o sideralmente distante.
Così a loro parrebbe giusto che Leonida, valoroso guerriero, tornasse da ogni battaglia vittorioso, acclamato dagli spartani festanti e accolto dalla bella Gorgo.
Sembra invece che Serse, dopo aver sconfitto Leonida alle Termopili, abbia conficcato la sua testa su un palo. Da lì alla guerra del Peloponneso è un attimo, e si sa bene che quando la guerra la fai a casa tua, sei alla frutta.
Erano molto delusi, perchè è finita male. Ma le cose a volte finiscono bene o benissimo, altre male o malissimo. E' così che va attraversata la vita, a braccia spalancate, prendendo questo e quello.
Gliel'ho detto.

giovedì 7 dicembre 2017

Amori piccoli, amori grandi

L'altro giorno i bambini a scuola mi hanno chiesto se da piccola mi sono mai innamorata. 
"A volontà!", ho risposto ridendo.
Avevo tre anni la prima volta, stavo all'asilo. Ho un'immagine molto precisa di questo Matteo coi capelli nerissimi e la pelle olivastra, di noi due seduti sulla panchina sotto l'albero mentre tutti gli altri bambini corrono attorno.
E lui mi racconta che sua mamma ha un negozio, che vivono in una bella casa, che se lo sposassi potrei comprarmi un mare di fermagli per capelli. Allora gli dico che lo sposo.
"Ma poi non l'hai sposato maestra!". Come fossi stata scorretta, a non onorare la promessa.
La seconda memorabile volta ero in seconda elementare. Lui era un compendio di tutti i migliori pezzi da principe azzurro: capelli d'oro, corporatura snella, occhi blu, mani delicate e piglio sognante.
Mi faceva letteralmente tremare le gambe e lo tempestavo di biglietti, quelli d'ordinanza a risposta multipla.


Alla fine aveva capitolato, mettendo una bella croce sul "SI", ma nel giro di poche settimane era giunta in classe una nuova compagna, la Louise. Come il nome fa intendere, possedeva il fascino esotico della forestiera ed esibiva inimitabili trecce rosse. Inoltre in Inghilterra (terra estrema che immaginavo teatro di battaglie tra paladini che si contendevano il suo cuore ribelle) aveva visto in anteprima tutta la serie di Happy Days e spoilerava a pochi intimi.
Com'è ovvio, il principe se ne invaghì e mi dimenticò.
"Però non è giusto maestra! Si era fidanzato con te!". Che loro puntano tutto sulle promesse che van mantenute, sui giurin giurello, che altrimenti non ti invito al mio compleanno e non sono più tuo amico.
"Meno male che poi hai trovato un altro", ha detto la più romantica. "Invece degli anelli ti regala le carte geografiche, ma ti ama lo stesso".

venerdì 1 dicembre 2017

Muri


Mi sono sempre vissuta come un essere gentile, cagionevole, da trattare con estrema premura. Una yes woman frangibile e caduca, che pur assecondando l'altrui volere faceva appello agli istinti protettivi, induceva negli altri gesti di cura. Quella che si definisce una ragazza dolce, una donna amabile, alla quale non si può che voler bene, alla quale non si può dire di no.
Se guardo molto indietro invece, scorgo altri segni, gli stessi che mi animano gli occhi e il passo in questa recente fase della vita. Ero una bambina caparbia, svelta, piena di iniziativa. Avevo sete, fame, mordevo le cose, volevo aprire porte, volevo dire la mia.
Poi mio padre e la paura dell'abbandono, l'angoscia di nuotare da sola nell'oceano, l'amore ad ogni costo altrimenti il dolore grida troppo. Poi un ragazzo uguale a me, due solitudini, i bambini attaccati al collo, biberon e passeggini,  la pizza domenica sera.
E me la sono voluta dimenticare quella tosta, decisa, capace di farsi una carezza. Ho voluto raccontarmi che ero sempre stata così, di vetro, che senza l'altro ero niente.
Ed è proprio lì, mentre ti infagotti e ti nascondi, che la verità ti chiama. Perchè succede qualcosa, qualcosa di imprevisto e impovviso, che irrompe e abbatte e spezza, che butta giù i muri attorno. Qualcosa che ti scaglia, anche se ti aggrappi ovunque, nelle cose che stanno fuori, con tutto il loro carico di strazio e meraviglia.

Insomma mi hanno detto che ci sono stati dei commenti, sul mio modo di stare al mondo, di rimanere ferma e salda su quello che credo e voglio, senza negoziare o venire a patti. Dei commenti pesanti, che mi disegnano come una manipolatrice e stratega, che plagia e orienta a suo piacere le deboli menti. 
Ho riso. Perchè so io cos'ero, so io quanto mi costa essere quello che sono. Accogliere la mia natura giusta e battagliera, lasciare spazio al "no", non temere il diniego, il rifiuto, la posizione dell'altro, quando opposta e discorde. Posso non piacere, questa è la grande verità, posso accettare di non essere amata: basta non perdere me.
Ho riso, ho alzato le spalle, un poco incredula, un poco fiera.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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