Più bazzico la rete e più colgo un'eclatante incongruenza di fondo.
Mentre si passeggia tra le vite altrui - più o meno mascherati, più o meno riconoscibili - e si mette la propria esistenza in piazza, senza alcuna remora (vedi gallerie fotografiche dei rendez vous amorosi, o dei figli in costume da bagno, o di angoli suggestivi della propria casa o del proprio involucro), si avverte un forte bisogno di pulizia e verità. Di onestà. Di chiarezza nelle parole e coerenza nei pensieri. Vorremmo certificare che quanto leggiamo e vediamo corrispondesse al vero, ci piacerebbe che i furbetti del quartierino, marpioni e mistificatori, venissero messi alla gogna.
Ed ecco una serie di giustizieri pronti a sbrogliare la gabola, a smascherara la contraddizione, a piazzarsi sul petto la stella dorata.
Ora, come posso chiedere trasparenza ed esattezza a qualcuno che non ha volto e (spesso) nome? Mi sembra una battaglia persa in partenza, un inutile dispendio energetico, un punto d'arrivo tanto astratto quanto evanescente.
Ecco, io vado d'istinto, altro non so fare. Ascolto il suono della parola scritta, sento (o non sento) di poterla associare ad un'anima, mi avvalgo di quattro vibrazioni e di una manciata di corrispondenze. Corrispondenze con me, con quel che sento, come quando un libro mi piace e lo sottolineo tutto. E poi ne compero un altro, dello stesso autore.
E' sempre la stessa storia, posso scegliere.
Ho sognato che facevo fuori un sacco di gente, reduce da un film visto su Netflix e proposto dalla frangia maschile. Ieri sera toccava a loro.
Mai sognato di ammazzare qualcuno, di solito recitavo nel ruolo di vittima.
Il problema era che tutte quelle mosse vorticanti per aria mi avevano stancato un mondo. E ad un certo punto, quando ero lì lì per assassinare una tipa orientale che si dimenava da matti - legandole un sacchetto in testa - ho detto: "facciamo che ti chiudo qui dentro a chiave e la finiamo lì".
E così è andata.
Stamattina però sono distrutta, troppo lavoro notturno.