sabato 29 luglio 2017

Un buon tacer



Mi fanno male il collo, le spalle, sto parecchio rigida in questi giorni. Torniamo dalla spesa un po' stanchi, fuori ci sono 30 gradi. Scarichiamo tutto, sistemiamo la roba in frigo, ancora con le scarpe addosso. Mi pulsa la testa. Decidiamo di aprire una bottiglia che stava in fresco, vado in bagno a lavarmi le mani prima di mettermi ai fornelli.
"Vuoi un massaggio per quelle spalle?", lo sento dire dalla cucina, mentre mi cambio. 
Lo voglio eccome.
Cerca la pomata altoatesina, quella che resuscita i morti e mi aspetta sul divano.
Lo raggiungo corrucciata, scalza, coi capelli malamente raccolti. Lui mi guarda tutta.
"Ce biele che tu sês", dice in un fiato.
Che ogni tanto, per le cose di pancia, gli viene su il friulano. Sì, gli sembro bella proprio.
Mi scapperebbe il siparietto. Ma come bella, che son tutta malconcia e dolente e repulsiva?
Invece saggiamente taccio, e me la godo.

mercoledì 26 luglio 2017

Piccole cose


Ho sempre chiesto di me, del mio valore, agli occhi degli altri. Quanto bella, brava, simpatica, quanto amabile ero. Solo poi ho capito, pesando il costo e lo strazio di plasmarmi per quegli occhi, che era ora di smetterla. Ma è cosa recente.
Così mentre - con fatica - imparavo a farmi qualche carezza, mi sono ritrovata a mandar giù tutto questo biasimo. 
Ecco, se mi accusassero di crimini contro le piante da terrazzo o sventolassero il mio triste curriculum da casalinga equilibrista e pasticciona, allora ok. Invece no, qui si parla di quello che mi appartiene, che mi pare di far meglio.
Perchè se dovessi citare due cose che ho fatto bene nella mia vita, due cose compiute con cura e amore, quelle sono i miei figli e il mio mestiere. Sì, le cose belle e luminose alle quali ti appendi pure nel più cupo dei giorni, che le guardi e sorridi anche se non vuoi.
Meno male che i figli vengon su uno splendore.
Ovvio che masticare disprezzo fa la bocca cattiva, e poi tutto ciò che mangi ha quel sapore. Anche le robe dolci. 
Succede allora che dovrei godermi le ferie e invece dormo poco, mangio alla cazzo e in preda ad impulsi o rigetti viscerali. Succede poi che interpreto male anche altri segnali, che mi sembra di essere inadeguata e brutta e sciocca e poco interessante. Che mi si inceppano le parole, che mi si annodano i capelli e alla fine non mi posso nè ascoltare nè guardare.
Mica dico sia giusto, o razionale. Chiaro che pesco nei miei fantasmi adesso, chiaro che non dovrei.
Ecco, tutto ciò per raccontare di ieri sera. Ci eravamo appena seduti a tavola, quel momento in cui ancora ti sistemi sulla sedia e metti il vino nel bicchiere. Si parlava. Dalla porta finestra aperta ho visto, con la coda dell'occhio, entrare qualcosa. Ma discretamente, silenziosamente, eppure risolutamente. Un uccellino rotondo dai grandi occhi si è posato sulla tovaglia, di fronte a me. Ha alzato e abbassato il petto marroncino e morbido due o tre volte, tranquillo e immobile, appena il tempo di accorgermi che c'era e di portare una mano alla bocca.  Poi si è voltato ed è uscito così come era entrato. Senza un frullo, senza un suono. 
Non sono matta, non del tutto perlomeno, ma un istante dopo avevo le lacrime agli occhi. 
E non so dire perchè.


domenica 23 luglio 2017

Inno alla mestizia


Insomma ce l'hanno fatta. A ripensarci, era chiaro da subito. L'ideologismo si maschera da buonismo che si palesa in turpi azioni vestite di rosa. 
C'è ottusa determinazione, c'è ferocia nel modo in cui hanno diffuso il tumore, costruendo narrazioni così manipolate e intrise di pretesti, da risultare ridicole.
Ma il cancro ha viaggiato (perchè nessuno sa essere più convincente di chi si mette in bocca la parola verità e il popolino bue ama i paladini, poco importa se portatori di menzogna).
Ho inghiottito mille volte quest'anno, ho fatto la gran signora. Quante cose avrei potuto ricordare loro, quante risposte secche, affilate, contundenti, avrei potuto scegliere. Non l'ho fatto, e forse qui risiede il mio errore, ma proprio non mi calza l'assetto da guerra.
Sono quelle risposte mancate a svegliarmi di notte, e un dolore che sbatte rabbioso. 
Credevo scontata la corrispondenza fra azioni compiute e parole pronunciate: parole da stronzo/gesti stronzi, parole garbate/gesti garbati. Che grossolana e fastidiosa ingenuità.
Perchè c'è chi ti consegna i più larghi sorrisi mentre a tua insaputa asfalta la tua strada di fango, merda, calunnia. Scopro l'acqua calda cazzo, ma non so davvero come si possa. Io non so.
Di sicuro imparo, ancora una volta e tristemente, a stare in guardia.
Così mi appresto ad attraversare un altro corso d'acqua. Niente ponti o passerelle, niente punti d'appoggio per guadare. Del resto nella mia vita i passaggi, le mutazioni, i cambi di rotta, li ho fatti sempre un po' alla cieca, senza rete. Non sono una che pesa le conseguenze, che sa far strategia, basta guardarmi. Curioso che qualcuno immagini il contrario.
Mi si diceva l'altra sera, nel tentativo di addolcire il mio disincanto, che le persone come me (ma che persona sono io?) non suscitano blande risposte. Se piaci, piaci da matti, se stai sulle palle, ci stai pesantemente, a gamba tesa. E capita a volte che tu stia pesantemente sulle palle a chi piacevi da matti, perchè "da matti" significa rulli di tamburi, cuore in tumulto, fiato sospeso: chi mai è all'altezza di cotanta attesa?
Torno sempre là. Alle cose tiepide che non sono me, a me che disdegno le tinte neutre. 
Indossa la mestizia Gioia, annuisci pudicamente e per favore smettila di sviscerarti senza ritegno. Che così chiassosa propro non ti si può guardare.

lunedì 17 luglio 2017

Ricetta


Gli esseri umani contengono svariati ingredienti, miscelati in proporzioni dissimili. 
Allegria, opportunismo, animosità e nostalgia q.b., ad esempio.
O pignoleria, dolcezza, determinazione e un pelo di presunzione. E via così.
A volte sono gli altri, con il loro farci da specchio a mostrarci di cosa siam fatti. Altre volte, immersi nelle contingenze, nel fare e nel dire, ne cogliamo da soli peso e misura.
Capita così che in questa fase della mia vita io faccia i conti con gli ingredienti base, quelli che rendono una donna con due braccia e due gambe, una Gioia fatta e finita. 
Ad analizzarle bene, le due sostanze sembrano incompatibili quanto il limone e la panna montata.
Se però prendiamo come esempio la pizza, in cui acqua e farina la fanno da padrone, possiamo osservare che i due ingredienti principali rappresentano in realtà degli opposti: secco, polveroso e inerte il primo, liquido, argentino e vivo, il secondo.

Ingredienti per fare una Gioia:
Ingrediente A: Slancio verso l'altro.
E' l'ingrediente che fa di me un animale gregario, mai sazio di carezze e parole, capace di occuparsi nello stesso momento di un cuore infranto (al telefono), di un piatto su richiesta (ai fornelli), di un problema matematico (col labiale) e del campanello che trilla (sorvolando cani e oggetti sparsi). 
Si incarna nell'attitudine a mettere da parte stanchezze ataviche e necessità impellenti dinnanzi a agli affetti, alla loro presenza, al bel dare. Si concretizza nel piacere viscerale di avvolgersi in quella trama densa e rassicurante che solo le corrispondenze amorose riescono a tessere.

Ingrediente B: Anelito alla tana.
Scoperto in fase recente - ma non per questo degno di minore rilevanza - si palesa in modo fulmineo e decretando una certa urgenza: la risposta dev'essere immediata e concreta.
Nel momento in cui B domina su A (abbastanza raramente, va detto), Sweet Joy deve far largo ad una sua riottosa e agguerrita copia.
Necessito in quei momenti di spazi e tempi assolutamente miei e desidero eseguire azioni per nulla consone alla vita comunitaria e vagamente triviali, tipo:
- aggirarmi seminuda per casa
- mangiare roba fredda in piedi davanti al frigo
- seminare la biancheria dove capita
- piazzare un pezzo dei Black Eyed Peas fino a far vibrare i bicchieri
- guardare per l'ennesima volta Ghost con un calice di Prosecco a destra ed il pacchetto di Kleenex a sinistra
- nutrirmi di cose tossiche
- svegliarmi alla 10, pranzare alle 11, fare merenda alle 17, cenare alle 22, fumare due sigarette alle 24 guardando le stelle e leggere/scrivere finchè la testa non crolla (orari assolutamente aleatori e passibili di modifiche).

In verità A tende a giocare sporco, in quanto ad un tratto (spesso al punto "nutrirmi di cose tossiche") manda avavti i sensi di colpa, suoi fidi emissari.
B in quel frangente può solo constatare la disfatta e ritirarsi in buon ordine, lasciando il campo ad A e alla sua fitta rete di gesti, parole e appaganti interdipendenze.
Questa salvifica dinamica, porta nel mio ecosistema una certa armonia, bilanciando le istanze e i vettori.
Ecco, l'importante è non prendere sotto gamba B, perchè a lui basta poco, ma se gli girano non ce n'è per nessuno.

martedì 11 luglio 2017

Pop me


Non saprei riconoscere una sonata di Chopin o apprezzare un assolo di Knopfler. Ma individuo la sigla di Lupin III dall'attacco della fisarmonica.
Non metto in sequenza i presidenti americani, ma potrei datare l'esordio del gioco dei fagioli con una certa precisione.
Ho una cultura pop.
Questo non significa che faccia mia tutta la spazzatura, che ingurgiti ogni cosa senza un filtro. Ma guardo senza imbarazzo Real Time mentre sbrigo una questione di lavoro via mail. Ascolto un pezzo di Lady Gaga mentre cerco la ricetta del tabulè. O gioco con un certo accanimento a Quizduello, che tanto concilia il sonno.
Il pop mi incuriosisce, mi attrae anche nelle sue accezioni più kitsch. Lo osservo curiosa, lo assaggio, ne getto gli scarti. Ho guardato tre puntate di "Uomini e donne", ancora agli albori: l'ho trovato così triste e meschino da causarmi una sorta di nausea. Ho letto un libro di Fabio Volo, mi è sembrato tanto insulso e mediocre da destinarlo alla carta straccia. Ma come dire, non ho preclusioni, mi va di poter dire "è una merda solenne" perchè ci sono andata abbastanza vicino da annusarla.
Si potrebbe eccepire che il tutto suona come una gran perdita di tempo. Invece no. Perchè se ho amato Saramago è anche grazie a Fabio Volo. E se mi garbano tanto Ang Lee o Van Dormael, posso dire un po' grazie a Gabriele. Muccino intendo.
Il gioco dei contrasti mi è sempre piaciuto: la bellezza si fa più splendente quando poggia sul fango. Che poi sia chiaro, non rinnego affatto il mio fango. Lo esploro con grande attenzione e spesso ne cavo dei buoni pezzi. Pezzi che a volte mi fanno la vita leggera, come quando ho ballato il Gangnam Style con i miei figli, ridendo a crepapelle. O quando con l'amica del cuore, seguace di X Factor,  mi lancio in azzardati pronostici e vibranti sermoni a difesa del mio favorito. C'è da divertirsi un mondo.
Che pure alla sagra del paese, sulle note di una polketta dallo squallido tempo binario, farei due salti in compagnia. Tanto io sono pop, non ho nulla da perdere.

venerdì 7 luglio 2017

Un senso

Il piccolo museo degli esploratori
L'idea di tornare al lavoro, per coprire il mio turno al centro estivo, mi turbava non poco. 
Si arriva a metà giugno cotti, sfiniti, col pre/post esami per trenta ragazzi che toglie il sonno. Poi se dio vuole tutto finisce, saluti e vai al mare. Nuoti, mangi frittura di pesce, ti stiracchi e divori libri come se non ci fosse più un domani. 
Ma purtroppo il sogno brucia velocissimo e come in una brutta malia, ti trovi nell'ingresso della scuola ad accogliere il primo recalcitrante iscritto al centro estivo. Sì, quella realtà in cui bambini stufi marci di fare mille cose dovrebbero impegnarsi lietamente a fare ancora mille cose. Quel posto dove qualcuno, detto anche "animatore del centro estivo", si prodiga nel coinvolgere i bambini di cui sopra in moltissime allettanti  e ridanciane attività, che loro tendenzialmente schifano. Perchè anelano soltanto a farsi un po' i fatti loro. Scavando buche, sfogliando un Topolino, ciondolando pigramente dal divano al terrazzino. In mutande magari.
Ecco, preferisco di gran lunga la scuola, le lezioni, il programma, l'orario scandito e il sentore di quaderni nuovi.
Contro ogni pessimistica previsione, quest'anno è andata bene, ma bene in modo strano. Perchè da subito mi sono sentita in un bel flusso, come se tutto funzionasse oliato e senza resistenza alcuna. Nonostante le differenze - il più piccolo meno di cinque anni, la più grande quasi dodici - ci siamo intesi e ognuno ha scelto il suo posto.
Mentre ieri stavamo sulle panchine, sotto gli alberi con i sacchetti della merenda, ho pensato al senso di pieno. Mi accompagna quasi sempre adesso e - lo realizzo proprio lì, seduta su quella panchina - è venuto dal buon fare. Dal credere fermamente che nel mio piccolo, sono capace di costruire un poco di armonia. Fa proprio bene.

sabato 1 luglio 2017

Patologie



Che io sia affetta dal morbo jealousy è cosa nota. Sono proprio nata col virus, che al tempo se ne stava annidato nella minuscola cassa toracica, inattivo. Perchè è proprio quello il quartier generale di jealousy, il luogo segreto da cui scocca dardi incandescenti: lo spazio fra lo sterno e la quinta vertebra toracica. 
C'è voluto poco affinchè il patogeno si facesse virulento. Un bel giorno d'estate, mentre leccavo un gelato seduta sul mio passeggino con le gambe a ciondoloni, colsi lo sguardo della mia mamma rivolgersi ammirato verso un essere perfetto. Vestitino stirato, scarpette lustre, scriminatura inappuntabile. La bionda dea dei fiori ricambiò lo sguardo di mamma con un sorriso bianco e luminoso, poi proseguì nell'aureo incedere.
Scoprii quel giorno che jealousy possiede artigli acuminati e zanne potenti, che sa infliggere ferite laceranti e profonde. Ferite con la tendenza a cronicizzare, nel caso in cui le cure non risultino massimamente tempestive ed efficaci.
Ora, vivere con jealousy in corpo non è una passeggiata (e potrei mordere chi viene a dirmi che jealousy non esiste, che è un insano riflesso delle umane paure, o un'emozione sopravvalutata e primordiale), ma come tutti gli inguaribili, ho imparato ad averne il - parziale - controllo. 
Riconosco i segni che ne annunciano gli accessi, provo a visualizzarla come una palla scura dentro di me (tu non sei la tua gelosia, cretina!) e mi impongo contegno nelle parole e nei gesti (magari mi verrebbe da dire "quella sciacquetta dalle cosce grosse poteva anche chiudere il suo forno se doveva dire una tale fila di stronzate", accompagnando la frase con un dito medio alzato all'altezza della faccia, invece taccio e sorrido). Anche se potrebbe sembrare liberatorio e catartico abbandonarsi alla paurosa sintomatologia che jealousy determina, tocca stare molto in guardia. Perchè la bastarda ti prende la mano, ecco.

Tutto questo pippone di preambolo, per riportare un singolare dialogo.

Io: Sai, qualche volta quando vai in montagna con la bici, mi dico che magari troverai una brava come te, pure gnocca. Mi immagino che lei ti si affianchi, muscolosa e molto in forma, esclamando "che strepitosa bicicletta", stuzzicando così il tuo orgoglio di atleta e possessore di meravigliosa/sudatissima bicicletta.
Ecco, penso che arrivati in cima farete una pausa insieme, bevendo avidamente dalle vostre borracce degli accattivanti integratori colorati e che lei in quel momento ti passerà il suo numero di telefono...
Lui: Sia chiaro che me, nessuna mi affianca. E se anche mi affianca le faccio vedere io chi mangia la polvere.

Ecco, psicologia femminile vs psicologia maschile. C'ho ancora molto da imparare.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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