Mi sembra sia arrivata, nonostante il termometro. Me l’hanno detto i calabroni: come sempre di questi tempi, ieri lavoravano alacremente per cementare una decina di vecchi buchi sul muro esterno. Li tappano e poi se ne vanno, non li si vede più. Olli saltava al sole, cercava di prenderli, abbaiava.
Sta accadendo qualcosa che speravo non mi toccasse mai. Non sono fatta per spingere e sgomitare, per alzare la voce e far valere con la forza i miei diritti. Son vigliacca. Mollo, rinuncio, alzo le mani e accolgo la resa.
Ma non è sano, non proteggo me stessa e le persone che amo. Quindi stavolta scendo in campo.
Ecco, forse l’averlo deciso mi rende inquieta, esposta. Mai come in questi giorni provo rabbia e insofferenza nei confronti degli orari (ora di cena, ora di alzarsi, ora di andare alla riunione...), degli obblighi, dei tornelli e degli imbuti in cui infilarmi, a cui piegarmi, volente o nolente.
Mi vien voglia di fare tutto a modo mio.
Di passare un intero pomeriggio a letto con il vassoio posato di lato, un po’ pranzo, un po’ cena.
Di farmi fuori tre stagioni di una buona serie, ore ed ore di assenza, di blackout, ottundimento.
Di stare mezza nuda, che pure non è stagione, ma qualsiasi bottone, elastico, zip, lacciolo, mi pare giogo, cappio.
E ancora mi tormenta la questione del tempo.
Resta l'impressione che qualcosa di incompiuto mi chiami, che un talento, un'inclinazione, chieda a gran voce degno ascolto, giusto spazio. C'è da fare, è richiesta la mia azione (no, davvero, nessuna presunzione) e l'orologio ticchetta. Ho poco da pensare, tocca agire in fretta.