domenica 24 luglio 2016

Cose matte

L'altra sera siamo andati in Sella, a scattare qualche foto. Cercavamo un alito fresco, verde chiaro, silenzio. Il posto (di cui vi ho già parlato) è questo:


Dunque arriviamo in cima verso sera, e nonostante quel pianoro sia un luogo di venti e brezze, l'aria è ancora spessa, calda. Ci sistemiamo di fronte alla chiesetta, poco distanti da un terzetto di giovani donne sedute su un plaid. Intorno, tutto si dispiega come in un bellissimo libro illustrato le cui immagini saltano su quando volti pagina: pop, il monte, pop, le nuvole, pop il prato fiorito.
E' raro trovare lassù qualcuno che non sia in transito. Di solito si incrociano camminatori, gente che fa la sua corsa, o che passa per raggiungere altri sentieri.
Insomma, nell'assenza assoluta di suoni, le tre chiacchierano amabilmente. Anzi, a dire il vero, una di loro parla a raffica e alle altre non resta che annuire.
Parla, parla, parla. Di quello che le fa il filo, dell'altro che non le dà tregua, dei consensi che ovunque miete. Parla a voce piuttosto alta e con "esse" sibilante, così volente o nolente siamo costretti ad ascoltare. La osservo, non mi riesce facile attribuirle un'età. Direi intorno ai vent'anni, ma le altre paiono più grandi. E' molto carina, faccino pulito da catechista.
Zì, inzomma, quando abbiamo finito all'oratorio zono andata a prendere Paola...
Ecco, mi sembrava. 
Intesse quindi un discorso articolato sulla sua bellissima zpontaneità, sul suo cuore aperto e i suoi modi schietti. E per rendere ognuno di noi davvero partecipe, per dare prova che le sue parole sono fondate, entra nel vivo, esemplifica.
Io zono fatta così, mi piacciono le "cose matte" (sic). L'altra zera ho detto alla mia amica che potevamo trovarci fuori invece che a caza, magari prenderci una birretta e portarla al parchetto, berla su una panchina! Zono fatta cozì io, mi piacciono le coze diverze, le "idee matte" (sic). 
Ride soddisfatta, attende un plauso. Aggiunge poi che lei si sente ancora così giovane, nonostante abbia già trent'anni e sua mamma non smetta di ripeterle che sarebbe ora di finirla con queste cose matte.
Certo che quella di portarsi una birra al parco e berla su una panchina, a trent'anni, è l'idea più balzana che si possa avere. Impensabile. Rompe gli schemi.
Faccio in tempo prima di scendere, a sentire l'ennesima cosa matta di questa pazzerella divergente e imprevedibile.
Le piace uno, ma questo è impegnato e blindatissimo. Sono soltanto amici, ma nella vita non si sa mai. Così lei spesso lo chiama per invitarlo a fare quattro passi, due chiacchiere. E l'ultima volta ha voluto davvero sorprenderlo con una cosa matta delle sue. Allora gli ha acceso delle piccole candele sul luogo dell'appuntamento, mettendo un bigliettino a fianco di ogni candela. Strano a dirsi, lui è arrivato e si è precipitato a spegnere tutte le candele come meglio poteva, accartocciando i bigliettini in tasca senza nemmeno leggerli. Pare le abbia detto sconvolto: "ma sei matta?".
Però gliel'ho visto in faccia che la zorpreza gli era piaciuta. Zolo che non è abituato alle coze matte.

lunedì 18 luglio 2016

Possedere


L'altra notte ha avuto un incubo. Piangeva nel sonno, si lamentava, si girava da una parte all'altra.
Allora l'ho svegliato piano, con attenzione e parole lievi.
"Ci avevano svaligiato la casa...siamo entrati e non c'era più niente, niente". Così ha detto, appena ha aperto gli occhi, appena ha capito che tutto stava ancora al suo posto.
Ci ho messo un bel po' a riprendere sonno. Perché pensavo che al di là del senso di violazione, di quel brutto sentire che viene se qualcuno profana il tuo spazio, io non perderei nulla.
Non ho gioielli.
Non ho preziosi.
Non ho oggetti dal valore riconosciuto.
Non ho un'auto degna di essere rubata.
Ho quattro supporti tecnologici e mediali superatissimi che un ladro schiferebbe.
Possiedo metà di una casa che non occupo, e i pochi risparmi sono tutti lì,
Difficile mi dicevo, nell'arco di una vita, non aver investito economicamente in qualcosa di importante, non aver vincolato il proprio denaro ad un pezzo forte, agognato, desiderato, ed infine fatto proprio.
Significa forse che non ho velleità, sogni, scopi?
Mi sono detta che forse è anche buona quest'assenza di legami con le cose materiali, che a conti fatti, non ho nulla di superfluo che si è fatto essenziale, quindi posso permettermi di "perdere".
Ma ho anche capito che le mie velleità, i miei sogni, i miei scopi, sono sempre stati legati alle esperienze, al costruire scenari utilizzando tutti i colori, al cucire un po' di bellezza intorno. Per me, per chi amo, perchè mi è sempre parso questo il senso di tutto. Allora nel sugo al pomodoro ci metto anche le olive e se faccio l'amore accendo una candela e una sera ballo, se c'è da ballare. 
Che le olive costano due euro, la candela è in offerta all'Ikea e i piedi ballano da soli, quando c'è la musica giusta, leggeri e flessuosi.

P.S. Mi scuso anticipatamente per la monotonia del tema che ultimamente domina. Ma è così: quando giro intorno ad un pensiero ci affondo e ci riaffondo finchè non faccio un pelo di luce. 

giovedì 14 luglio 2016

Cannucce


Stamattina riordinando lo sgabuzzino ho trovato queste cannucce colorate. Comperate al mare per costruire una lanterna, che doveva volare e non volò, la cui luce tremula illuminò mani e sorrisi di una notte scalza e salmastra. Da tre anni sono lì, non le ho più usate.
Il primo pensiero è stato di inventare qualcosa, di metterle assieme con un senso, in questa giornata piovosa e grigina. Ecco, io non ho pensato di assemblare una cosa e basta, una cosa che piacesse a me e nulla di più. Ho pensato a farne un dono.
Ma perché? Perché le mie cazzo di azioni devono sempre contenere una cazzo di intenzione? Uno slancio, un fremito, un segno di me? Perché il mio fare sta indissolubilmente legato al dare?

E mentre me ne stavo lì, con le cannucce in mano, mi è venuta in mente la storiella della pipì. A me pare di ricordarla, ma è poco plausibile. Probabilmente mi è stata raccontata così tante volte, che alla fine sembra mia, quella memoria.
Avevo due anni, aspettavo piena di emozione l'arrivo della nonna da Udine. Quando finalmente entrò in casa, carica di pacchetti e bagagli e allegria, io non stavo più nella pelle. Mi allontanai in gran fretta, senza neanche salutarla e poco dopo riemersi con il vasetto della pipì colmo tra le mani. Tronfia e sorridente lo alzai verso la nonna. Ecco nonna, vedi? E' per te. L'ho fatto io, sono io, guarda che dono di me. 

Qualche volta afferro le cose belle e minute, le allargo e le illumino, le faccio grandi, me le ficco in bocca, me le caccio dentro, lascio che si gonfino e occupino tutto lo spazio. E' come se fosse una questione meramente fisica: solo appagato e pieno il mio corpo trova pace, dimentica i vuoti. 
A riempirlo sono le parole, le connessioni colte al volo fra gesti e intenzioni, gli abbracci, i languori, qualcosa che pulsa e vive, la presenza.
Con le cannucce in mano mi son detta che non so fare regali a Gioia, e questo mi è parso davvero molto triste.

lunedì 11 luglio 2016

Stato civile


Dalla scorsa settimana sono ufficialmente una divorziata.
Non che questo cambi la sostanza, le dinamiche, le prospettive. Tutto identico a prima.
Aggiungo che mai, in questi tre anni ho pensato che poteva andare diversamente, che avremmo dovuto provarci creativamente, che ci fossero alternative. Anzi, più riguardo quello che ci è accaduto, più mi sento di dire che la direzione, chiara e lampeggiante, era scritta da tempo.
Mi dispiace che non siamo più stati in grado di trovare un modo per stare serenamente uno alla presenza dell'altro. All'inizio la rabbia, il non detto, il dolore, attraversavano lo spazio tra noi come frecce incandescenti. Si resisteva pochi minuti, quelli necessari a comunicare l'indispensabile.
Siamo poi passati ad impacciato riguardo e ragguardevole distanza, incapaci di pescare al registro comune, al sacco delle cose conosciute, condivise, dei ricordi, del lessico familiare. 
L'appuntamento in tribunale era alle 9.30, ma appena siamo arrivati ci è stato chiaro che almeno altre venti coppie erano state convocate al medesimo orario. Nell'attesa, tutti gli avvocati presenti - riconoscibili in modo imbarazzante - si sono affrettati ad estrarre da pochette e taschini i loro lussuosissimi smartphone per dedicarsi ad infinite e gesticolanti conversazioni telefoniche lungo i corridoi. Abbandonandoci tutti lì, ai nostri impacci.
Si è cercato qualcosa di neutro da dire, qualcosa che non aprisse finestre sbagliate. I figli, il lavoro, le vacanze, il caldo. Osservavo le altre coppie, ed era facile intuire come si fossero lasciati. Umanamente, dolorosamente, consensualmente. Alcuni non si sono mai rivolti la parola, altri avevano con sè i figli, e chiacchieravano allegri come fossero famiglia. Anche scollati, anche distanti, avrei saputo congiungerli fra loro come nel gioco dei puntini: A va con F, C va con G, B va con E. Perchè si capisce dagli occhi, dai gesti, dal modo di vestire, che due hanno condiviso tanta vita, e quel che resta della coppia che erano, ce l'hanno ancora addosso.
Alla fine siamo stati bravi, avrei voluto dirglielo quando l'ho salutato sotto il portico del tribunale. Perchè ci è riuscito pure di ridere, e gli ho offerto una caramella porgendogli il pacchetto senza dire "vuoi?", e bevendo il caffè mi ha passato la bustina dello zucchero di canna, che al bar io metto quello. Siamo stati bravi, perchè di noi dicevano "a loro non capiterà mai", invece capita, anche se una settimana prima che esploda tutto sei lì a preparare la colazione insieme e fai un sorriso e ricevi una carezza. Che credi sia Amore, invece è amore - facile confonderli, suonano uguale - e nessuno dei due mente mentre dice "ti amo", è solo che non sa.
Ma non gliel'ho detto. L'ho guardato salire sulla bicicletta, poi ho girato l'angolo.

domenica 3 luglio 2016

Athletic me


Non so perché, ma trovo buffissime le mie foto in versione dinamico-sportiva.
Ci ho provato con la tuta da fondo: tenuta regolamentare, giacchino snello, fascia celeste in testa e coda alta, come le vere. Una silura altissima nella distesa bianca, una specie di corpo estraneo nel freddo profilo del nord.
E se arrampicare mi piace così tanto, se tutto quel tastare lieve, quel carezzare la pietra, mi sembra di una struggente bellezza, immortalata nel gesto di salire, paio una pin-up nell'atto di fare "miao". Gli arrampicatori sono esili, minuti, io prendo sempre troppo spazio. Tette, gambe, roba.
L'altro giorno, al termine di una meravigliosa escursione in bicicletta, sono stata ritratta in sella al mio mezzo. Ero ben disposta, col sorriso grintoso e tutto, ma quando mi son rivista ho provato infinito sconforto. Che sportiva sarebbe una che diventa così rossa in faccia dopo qualche chilometro di corsa, che mantiene una posa lieve e salottiera anche spingendo energicamente sui pedali? 
E lasciamo perdere tutto il resto. Le mie reazioni claustrofobiche nei confronti del casco (prude), dei pantaloncini da ciclismo (stringono), degli occhiali protettivi (fanno caldo), dell'imbrago da arrampicata (non respiro). 
Considerando che:
1) da bambina mi avviarono a diversi sport con esiti a dir poco catastrofici;
2) l'unica attività della quale mi infatuai con tanto di farfalle allo stomaco fu il pattinaggio;
3) dopo svariati allenamenti e piroettanti toe-loop frutto di innumerevoli cadute, l'allenatrice mi chiese la cortesia di non esibirmi al saggio, in quanto superavo di un paio di teste tutte le altre bambine e la coreografia ne avrebbe risentito;
4) avevo nove anni:
...ci vuole tanta, tanta pazienza.


La vita è così, stupisce

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