domenica 31 gennaio 2016

One Love


La mia prima auto, il Pandino rosso. Comprato a rate con i primi dodici stipendi.
Uno stipendio adulto, e non avevo vent'anni. Da non saper che farsene.
Attraversavo la campagna e i prati nuovi con i finestrini aperti, per raggiungere il prefabbricato azzurro in cui lavoravo. Al mio fianco, sempre a palla, Radio Deejay. One Nation One Station.
Alle sette del mattino Viva Radio Deejay: Baldini coi Fichi e Fiorello. So solo io quanto ridevo, che a volte ero già parcheggiata nel cortile e non mi andava di scendere
Al ritorno Paoletta. Se rientravo prima, Albertino. Ballavo sul sedile e cantavo, felice di tornare a casa.
Dopo cena o prima di dormire c'erano Alessio Bertallot, Marco Biondi. Voci notturne, pezzi da sogno, per chiudere gli occhi. Spesso la radio non la spegnevo neanche di notte.
Poi il mito: "Deejay chiama Italia" (con Linus e Nicola). Il giovedì alle ore undici la Bignardi conduceva per loro una piccola rubrica sui libri. Guardavo l'orologio e andavo in fregola. A costo di chiudermi in bagno qualche minuto durante l'orario di servizio, mi attaccavo alla radio. Ho conosciuto attraverso Daria Irene Nemirovsky, uno dei miei brucianti amori letterari, e preso mille note su letture immaginate o donate.
Che La Pina e Diego abbiano poi fatto breccia nel mio cuore, non è un segreto. Tardo pomeriggio, luce che cala, cena da imbastire e questi due si accomodavano in cucina come vicini di casa pettegoli e un po' invadenti, ma pieni di allegria.
Adesso capto il segnale della Mia Radio solo nella zona collinare, dieci minuti prima di arrivare a scuola. Dò il buongiorno al Trio Medusa (Ieses La Dud Trio. E chi li ascolta capirà) e se ho proprio culo nel pomeriggio faccio una breve incursione a Tropical Pizza. 
Poi basta. Perchè da me, sotto le montagne, il potere della forza che Linus esercita sull'intera penisola, perde intensità.
Ecco, quindi. Dopo cotanta dichiarazione d'amore e fedeltà, non merito forse una revisione delle frequenze? Un piccolo controllo del segnale? Una verifica locale? 
Io chiedo, non si sa mai. E vi abbraccio.

mercoledì 27 gennaio 2016

Solo qui ed ora


Vedi mamma, 
io non voglio che tu pianga. Anzi, scusa, piangi molto se questo serve a farti star meglio, se con me finalmente ti senti libera di essere triste o incazzata. Piangi e impreca e manda tutto a farsi fottere, ma non venirmi a dire che piangi perchè nel crescermi hai sbagliato così tanto.
Dove hai sbagliato, mami? 
Nei giorni della mia adolescenza opposta e brada avrei dato una mano perchè tu me lo dicessi.
"Figlia mia, sei tutto quellio che ho!", e lo avresti detto in lacrime, e io ti avrei sollevata da ogni colpa con sorriso benevolo. Ti odiavo, dal tanto amare.
Avevo quindici anni, e a quell'età credi. Di conoscere, di dover raggiungere qualcosa, che la felicità sia un diritto acquisito per nascita, e immagini il tuo pensiero, giusto e probo, qualcosa di universalmente buono.
Adesso mi piaci moltissimo. Tutta, come sei.
Ti ricordi quanto ero dura? E spavalda, e zuccona, e linguacciuta. Ti ricordi che non sentivo ragioni?
Minigonna a gennaio e stivaloni a luglio. Ma ridevo sempre. 
Tre in chimica, due in matematica. Ma dieci in italiano.
Dicevo "vaffanculo" e "non rompermi le palle". Ma ti baciavo tutta.
Sì, sei stata proprio brava con me. Hai fatto quel che potevano le tue braccia, quel che reggeva il tuo cuore. E  volevi anche amare, danzare, sognare: eri così bambina e bella.
Cos'è uno sbaglio? La strada che sappiamo, l'unica che vediamo. In quel momento, in quella stagione, in quel luogo. Perchè allora chiamarlo sbaglio, errore? E' vita, e basta.
Guardami adesso. Ti sembro venuta così male? Guardami. Mi hai dipinta tu.

giovedì 21 gennaio 2016

Frugando


Ho avuto la malaugurata idea di infilarmi nelle cose che scrivevo prima.
E siccome prima galleggiavo in una sorta di limbo lobotomico, non son capace di leggermi. Mi irrito proprio, mi scatta un fastidio alle mani. Ma dove cazzo ero? Cosa minchia vedevo?
E' vero che fra il prima e dopo c'è di mezzo il mare. Un mare primordiale e nero, pullulante di creature mostruose dalle enormi fauci. Quindi sì, ci sta che dopo averlo attraversato tutto, uno arrivi dall'altra parte, al suo dopo, totalmente a rovescio. 
Eppure non sopporto. Quella sicumera, quella baldanzosa e giudicante arroganza, quei paraocchi da cavallo ammaestrato - la pupilla dilatata, la narice fremente, a passo di frusta.
C'era un malcelato desiderio di piacere, in ogni fottuta parola, un evocare e mostrare con finta noncuranza, i miei meravigliosi mondi interiori. E invece, il vuoto cosmico. Anzi, forse un terrore profondo del vuoto cosmico, che riempivo con fiori di plastica.

Giornate piene. Sono stanca.
Stasera aperitivo in quel posticino, quello che tanto mi piace. Arredamento spartano, oste odioso, ostesse ruvide e aspre, crostini al baccalà, vino profumato.  La compagnia sarà buona, è da tanto che non ci si vede tutti assieme.  Mi farà bene. 

Ecco. Scrivevo questo mentre morivo dentro. Chi mai l'avrebbe pensato? Perchè non potevo urlare che non ero "stanca", ma stavo bruciando? Che non erano "giornate piene", ma risvegli pieni di dolore?
Ci vuole tempo, tanto tempo, per imparare a raccontarsi la verità.
A ben pensarci, mi faccio una carezza.

lunedì 18 gennaio 2016

Bad dream


Cammino per strada e mi guardo in giro: è un luogo che non conosco, una dimensione parallela e surreale, qualcosa a livello percettivo me lo dice. D'un tratto capisco di essere in un sogno, e da subito mi è chiaro che non voglio starci. Comincio ad annaspare, cerco con gli occhi un'uscita, consapevole che non so dove e quale possa essere, perchè non l'ho mai attraversata. Bisogna aprire una porta? Pronunciare una frase?
Comincio a correre lungo strade deserte e strette, sovrastate da palazzi altissimi. Corro e corro, mi dico che forse, sfinendomi, in qualche modo uscirò dal sogno. Pian piano attorno a me tutto si fa scuro, sento avvicinarsi il clangore di una battaglia. Il sogno in cui mi muovo sta per tramutarsi in un incubo e devo agire in fretta se voglio salvarmi.
Entro in una casa abitata, ma tutti mi sfiorano e nessuno sembra accorgersi di me. Allora mi avvicino ad un televisore, con fatica lo alzo, con uno sforzo enorme lo butto a terra. Si rompe, con fragore assordante.
E ce la faccio, e apro gli occhi.

martedì 12 gennaio 2016

Segni di pace

Ore undici, i bambini di quarta lavorano silenziosi. Hanno grande libertà di movimento: vanno e vengono dall'aula discreti, per cercare materiale, testi, per un consiglio o un aiuto di un compagno più grande. Non serve alzare la mano per chiedere di uscire, spezzando un clima quieto ed operoso. Mi fido di loro, sono rispettosi, sanno comportarsi.
Da un po' manca Francesco, mi affaccio al corridoio, non lo vedo. Domando sottovoce ad un paio di compagni, ma non sanno. Allora scendo le scale, curioso nelle stanze di passaggio. Lo trovo in spogliatoio che gioca con le macchinine, assieme ad un alunno più piccolo. Mi vede e sobbalza.
"Perchè sei qui Francesco?", gli chiedo. Lui si volta verso l'amico e gli porge la macchinina rossa. Poi si alza e si avvia sbuffando verso le aule.
"Posso sapere cosa succede?", insisto fermandolo.
E lui d'un fiato, rabbioso, dice che Giacomo lo ha apostrofato con parole brutte ("ma brutte maestra"), e che lui è rimasto così male da sentire il bisogno di una pausa. 
Rientro in aula seguita da Francesco, che già esulta, e mi avvicino a Giacomo. Alza gli occhi, ci vede e di colpo appassisce sulla sedia. Dico solo: "quindi?". 
Il compagno di banco cerca di dare la sua versione dei fatti e (spietato) rincara la dose. "Meglio che non ti racconti quello che ha detto mestra, perchè è un'offesa terribile". Gli ricordo che non mi sono rivolta a lui per avere risposte e aspetto le parole di Giacomo. Quello sospira, poi rassegnato inizia il monologo.
"E' che vedi maestra, Francesco sta ogni volta in mezzo, vuole sempre ascoltare quello che si dice, e io sono stufo. Mi dà fastidio quando sta attaccato, che non posso neanche respirare. Vorrei stare in pace qualche volta, lavorare senza averlo addosso!"
"Ok. Questo è quello che volevi dirgli. E invece cosa gli hai detto?"
"Non so se possoo".
"Puoi".
"Togliti dalle palle. Ecco. Così ho detto".
Estrema ed efficace sintesi di un pensiero articolato. Zac, dritto alla meta, senza indugi. Mi viene da ridere, ma ovviamente non posso.
M'è toccato il pippone delle parole gentili, alternative, che non fanno male. Loro si sono stretti la mano, e via a giocare a pallone. Senza starsi troppo addosso, però.

domenica 10 gennaio 2016

Fiorire


"Se ti innamorerai..."
Tu hai troncato, non mi hai lasciato dire.
"Col cazzo che mi innamoro, mai più. Quando l'unica persona in cui credi ti rovina, come fai a fidarti di qualcuno?"
Quella che rovinava, ero io. Così la bocca me l'hanno chiusa i rimorsi. Avrei voluto dirti che la vita, dietro i colpi bassi, spesso ci mostra porte aperte, vie di fuga. Che a volte, ciò che attraversiamo come la più dura delle prove, come il peggiore dei tormenti, si rivela una possibilità inattesa di fiorire. 
Io così avevo fatto (lo ricordi, vero?), quando mi avevi accompagnata davanti quella porta aperta. Mi ero voltata mille volte a guardarti, prima di uscire. Circospetta, inconsistente, avevo mosso il primo passo su un sentiero impervio, alieno. Poi però avevo preso coraggio, e le falcate erano diventate ampie, snelle. Alla fine è stata una corsa a perdifiato, una fuga. 
Ora che hai finalmente trovato qualcuno di cui fidarti, lo capisci, lo vedi? Che il nostro stare insieme ci impediva di fiorire (storti, curvi, sbilenchi, imperfetti, ma pieni di colori)?
Ecco, volevo solo augurarti molti colori. Con tutto il cuore.

giovedì 7 gennaio 2016

Happy

Qualche giorno fa, dall'atrio della stazione guardavo fuori. Il portico sulla strada, le auto in corsa, le insegne luminose.
Dentro caldo, fuori così freddo.
E mentre restavo lì, senza decidermi ad uscire, è passata. La bambina rosa.
Giubbotto rosa, scarpe rosa, bicicletta rosa e cuffia rosa. Piccola, anzi minuscola, ma così maestosa.
La bambina rosa pedalava corto e rotondo con andatura ondivaga e regolare. Cantava. Anche la testa si muoveva al ritmo di quelle pedalate felici, agili. Destra, sinistra, destra, sinistra. E cantava.
D'istinto l'avrei rincorsa, solo per guardarla in faccia, solo per dirle "ehi, tu". 
Invece sono uscita e sono salita in macchina. Faceva proprio freddo. 
Ingranando la prima mi son detta che la felicità era tutta lì, allacciata in un paio di scarpe rosa.


venerdì 1 gennaio 2016

Guardare, desiderare



Viviamo nella logica per cui il nuovo è sempre meglio e quindi tutto esige un ricambio. Io credo che la bellezza di un legame stia nella ripetizione. E' la continua ricerca del nuovo a riprodurre sempre la stessa insoddisfazione. Nella fedeltà, c’è la possibilità di scoprire qualcosa nella stessa persona. “Ancora” è la parola dell’amore.

Ora, che un uomo per strada guardi intensamente una donna (e viceversa, ovviamente) mi pare sacrosanto. Mi si ribalta lo stomaco però quando quell'uomo o quella donna sono ben accompagnati.
Ok, sono scema. Antica inside. Limitata e ottusa. Dovrei dirmi che gli occhi sono fatti per vedere e che vedere non significa desiderare. Dovrei dirmelo, ma non me lo dico perchè non ci credo.
Quando è capitato a me, di guardare intensamente (indi di desiderare, ma ancora non lo sapevo) la mia storia d'amore era bella che finita.
Se uno (o una) si compiacciono di un culetto rotondo in transito, non raccontiamoci che l'essere umano è attratto dalle forme armoniche e che in fondo, tra un bel sedere ed un'opera d'arte non c'è grande differenza. Tu che guardi con insistenza, quel culetto lo toccheresti volentieri. Ecco, l'ho detto.

Non so, forse sbaglio. Forse è lo strazio di assistere alla disfatta generale dell'Amore, che lascia macerie ovunque. Non c'è attorno a me coppia appagata, in dolce e sano equilibrio. Inquietudine vedo, vibrazioni e fremiti, che non trovano risposta nella meraviglia che potrebbe essere la vita a due. Cosa c'è di più bello che scoprirsi e riscoprirsi? Che invitarsi ad esplorare, a crescere, a vedere il nuovo in quello che crediamo già visto? Cosa c'è di più glorioso che accarezzare un corpo profondamente conosciuto, con la gioia di donargli un nuovo sentire? Specchiarsi in una piega, vista mille volte, eppure fresca, e narrare le sue gesta, perchè ci appartengono.
Certo che a volerlo, a provarci, tocca essere in due.

Più l'amore dura più il desiderio, anche erotico, è intenso. Noi viviamo invece nella menzogna che la sola cosa che conti sia il godimento fine a se stesso. Non il mondo vissuto insieme ma il mondo goduto dall'Uno".
(Massimo Recalcati) 

La vita è così, stupisce

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