giovedì 12 luglio 2018

La panchina


Ho sempre pensato al mio blog come ad un rifugio. Aprivo la porta, mi infilavo tra le parole scritte e quelle ancora appese, da tirar giù, e mi sentivo in pace.
I primi passi li mossi col Diario di una maestra, nel marzo 2012: se sfoglio adesso quelle pagine, mi struggo. In ogni riga leggo prepotente la voglia di uscire scoperta, di mostrare la donna fremente che nel reale negavo e negavo con ottusa determinazione.
Attrerso quei post confusi e felici, cautamente sondavo lo spazio attorno a me. Prendevo le misure e mi misuravo; dapprima con brevi incursioni, poi con lunghe e brade corse a perdifiato. E se all'inizio i temi, i toni, i visitatori, i tempi, parevano frutto del caso, pian piano (e lo colgo adesso, a posteriori) le cose trovavano un loro senso e assetto, nelle pagine del blog e nei miei reconditi scaffali.
Man mano che i commentatori diventavano presenze abituali, scoprivo altri diari, altre vicende umane, mi confrontavo con esistenze distanti, forti, meditative, assetate, frivole, combattive, che a loro volta in me forzavano soglie, passaggi, varchi.
E sempre di più quel luogo di condivisione mi sembrava una panchina rossa sotto un albero, in un parco pubblico. Io stavo lì seduta all'ombra con la mia sporta colma di storie sulle ginocchia e osservavo i passanti. Alcuni transitavano privi di interesse, altri mi lanciavano uno sguardo e poi andavano oltre, altri ancora si accomodavano accanto a me, con garbo, a una certa distanza. 
Ci voleva tempo per conoscersi, molte storie andavano estratte dalla sporta. 
A volte, dopo tanto leggersi, annusarsi, mettersi a nudo, veniva il momento delle divergenze, dei bei confronti, che spesso proseguivano nelle rispettive caselle mail e altre si concludevano davanti ad un calice di vino. Vero.
Con la stessa grazia mi sono accostata alle altre panchine, su cui sedevano anime sconosciute, degne di massimo rispetto, così come i loro scitti. E potevano passere settimane di studio e lettura, prima di lasciare un commento lieve, in punta di piedi.
In fondo era la loro panchina.
Quando tutto nella mia vita è profodamente cambiato, si è fatto avanti il bisogno di congelare quella pagine, troppo dense del vuoto attraversato.
Così in un pomeriggio di maggio ho scelto lo sfondo floreale e azzurro delle Parole spettinate, più in tinta con la donna che da quel dolore si risollevava vestita di nuovi colori.
Ci sono amici blogger di lunga, lunghissima data. Che ancora citano le vicende della Maestra e con i quali si è condiviso altro, oltre. Alcuni, arrivati più tardi in queste pagine, fanno parte in qualche modo della mia vita: mi capita di pensarli, di chiedermi come sia finita questa o quella vicenda, di sentire il bisogno di portar loro un sorriso. 
Quello che accomuna i miei lettori e che a loro mi accomuna, è un interesse personale, che va al di là della pagina scritta. Un'affezione che nasce dal sentirsi parte di vicissitudini, gioie e tormenti e che di certo non sostituisce e non adombra le amicizie tangibili del quotidiano, ma ne conserva alcune dolci caratteristiche.
Per principio ho sempre commentato blog che ritenevo di mio interesse, i cui argomenti stimolanti e gradevoli mi portavano a sani e costruttivi confronti e il cui autore mi appariva persona dalla mente vivace e degna di stima. Che senso avrebbe avuto altrimenti, accostarsi a quella panchina, occupata proprio da quella persona, con la sua sporta di storie sulle ginocchia?

C'è da dire che da qualche tempo registro un generale collasso nella sfera delle relazioni. Ho amici invischiati in brutte questioni lavorative, dove l'etica non sta di casa. Altri che subiscono o perpetuano tradimenti plurimi, sordi ad ogni richiamo della coscienza. Ho conosciuto e allontanato gente capace di infangare e disonorare, senza il minimo moto di vergogna. Ci sono umanità fragili ed inconsistenti che si ergono a giudici supremi, incapaci di guardarsi il palmo delle mani sporche.
La società liquida, dice Bauman, l'ego sopra tutto, l'altro come specchio.
Ecco, forse la mia scelta di restringere il campo, nella vita, a pochi amici, poche cose, poche parole, trova riscontro adesso anche qui, nel mio rifugio segreto, sulla mia panchina rossa.

Poso la sporta con le storie, per un po'. Forse la riprenderò sulle ginocchia più avanti, o magari altrove.
Ho solo bisogo di tirare un po' il fiato.

domenica 8 luglio 2018

Le verità

Da qualche anno, ossia da quando ho iniziato a tastare la mia consistenza, ho cambiato il mio modo di accostarmi all'altro. Sono decisamente più cauta, più protettiva, più consapevole che l'essere umano mostra quel che riesce a mostrare ed è - tendenzialmete - menzognero. Meno coscienza di sè e più bugie, questo sinteticamente è l'assunto. 
Ora per bugie io intendo tutto quel cumulo di fulgide parole, fasulle convinzioni, narrazioni inesatte, idee artificiose che esprimiamo, esibiamo o semplicemente ci sussuriamo, per salvaguardare la nostra immagine, cioè l'immagine di noi che abbiamo faticosamente costruito nel tempo e che desideriamo entri in gioco nella relazione con l'altro.
Faccio un esempio. Un uomo che ha dovuto lottare per raggiungere una certa posizione, ama raccontarsi che si è costruito da solo. Fa di questo una bandiera e tende a dimenticare (la nostra mente seleziona i ricordi e i fatti con grande perizia) tutti gli episodi che non avvallano la sua tesi o che sbiadiscono la sua luminosa immagine.
Sia chiaro, questa è un'operazione che tutti mettiamo in atto e che per certi versi può risultare salvifica. Basti pensare a chi vive grossi traumi e decide di non affrontarli/rielaborarli, ma riesce comunque a vivere, a trovare un suo equilibrio.
Quindi non giudico in malo modo la menzogna che preserva l'identità (seppure fallace), perchè non è un atto cosciente. Eppure resta il fatto.
Ecco, io per dirne una, ho passato anni e anni a raccontarmi un'adolescenza brada e ribelle, che peraltro c'è stata tutta. Ma ho sempre omesso, a me stessa e nel racconto che ne facevo, che quello spirito indomito e racalcitrante andava di parti passo con un totale smarrimento, con una vertigine continua, con un dolore tanto assordante da zittire ogni altra voce. Mi piaceva di più la ragazzetta sveglia e impavida, capace di fronteggiare con audacia qualsiasi adulto, mi pareva più vincente e socialmente accettabile. Ma non era vera.
Spesso smonto i miei altarini - ne costruisco a iosa - e non è mai piacevole vedere davvero le cose come stanno.
Così adesso mi approssimo all'altro con stupore e meraviglia immutati, ma non posso evitare di chiedermi quale verità racconta, quanto di sè è riuscito a svelare e quanto riesce a mostrarmi.
Diciamo che tengo un certo margine. Sono sempre io, quella che nelle relazioni si tuffa di testa, ma  indosso il paracadute, ecco. Mi dò tempo, dò tempo all'altro, lascio che le cose prendano forma, provo capire se le nostre verità - e le nostre omissioni - sapranno prendersi per mano e saltar giù assieme.

mercoledì 4 luglio 2018

Tempo lento

Quando sono in vacanza faccio girare il tempo a modo mio. Anche a modo suo, è ovvio, ma senza patemi.
Stamattina lui è andato via con la bicicletta da strada e ha messo la sveglia alle sei. Io mi sono alzata, abbiamo bevuto il caffè assieme, poi quand'è partito sono tornata a letto con il libro nuovo. Le persiane erano accostate e la camera era in penombra; sentivo ronzare pigramente qualche ape nel giardino, attorno alla lavanda. Poi i vicini hanno raccolto canotti, salvagenti, figli e borse frigo e sono chiassosamente saliti in macchina. E da lì, silenzio assoluto. Dopo un po' mi sono riaddormentata e ho sognato. 
Al risveglio ho guardato il cielo: c'era ancora foschia e non mi andava di scendere in spiaggia. Così (visto che mi sto allenando come una persona seria e il fitness non va mai in vacanza 😃), nel salotto fresco mi sono allestita uno spazio per gli esercizi. Musica, tappetino, bottiglietta d'acqua e via...un, due, tre...e vai, stringi i glutei...su, su, su...
Mi sono fatta la doccia in un tempo largo, vuoto e ho fatto cose che riduco sempre all'osso: l'impacco ai capelli, la crema idratante stesa a dovere, lo smalto.
Fuori, hanno cominciato a frinire le prime cicale. Allora ho tagliato un melone, ne ho sistemato un po' sul piattino assieme a due fette di dolcissimo prosciutto crudo e mi sono seduta in terrazza.

La terrasse
Parecchio più in su, verso la strada, il suono ritmico e rotondo di un pallone calciato.
Mangiando ho letto ancora, alzando a tratti gli occhi per salutare il mare che continuava a cambiare colore.
Quando lui è arrivato, accaldato e con un mare di cose da dire, la pasta fredda era già sulla tavola apparecchiata. E anch'io ho raccontato del mio libro, di un articolo curioso, del nostro cane che, dicono da casa, ci cerca ogni mattina fiutando ogni angolo della camera da letto.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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