Da qualche giorno m'è partito il conto alla rovescia. Guai se lo sanno le colleghe, è solo il ventidue di agosto.
Così ho cominciato con la programmazione, che se la fai bene sei a metà dell'opera. Solo che al solito, ho messo troppa carne al fuoco e adesso mi tocca sfrondare. Lo dicevo pure all'insegnante new entry: poco, ben fatto e senza paura. Che poi si ricalibra e sono loro a dirti cosa vogliono, a mostrarti la strada.
Ho voglia di entrare in aula, di vedere i bambini, di ascoltarli. Del contorno, non ho affatto voglia.
La fatica esiste eccome, a me facile non viene nulla. L'ho sentita tutta nelle cosce, nei polpacci, e pure nelle spalle, anche se lo zaino pesava poco e niente. Che mi pare sempre di essere proprio al limite, invece poi guardo su e vado, con una forza nuova che arriva da chissà dove. E ogni momento mi fermerei a toccare, a scattare una foto, a buttar giù un appunto. Ma più ti fermi più è difficile riprendere il cammino.
Non arrivare alla meta, sia una sella, un rifugio o una vetta, lascia l'amaro in bocca. La meta, dà poi corpo ad ogni passo, snello o rotondo, ad ogni respiro, lieve o profondo.
Quando sono arrivata su ho azzerato ogni cosa. Sull'erba ho mangiato il pane, il formaggio, mi sono raccolta per riposare. Un'australopiteca muta, affamata, più scimmia che donna.
Cercando qualcosa da leggere nella libreria rossa ho trovato la Merini. Lui ci aveva messo dentro un segnalibro, come se quella pagina avesse importanza, come a ricordare. Magari era messo a caso, non importa. Ma mi è sembrato che lo stesso, quel segno volesse dirmi qualcosa.
Spazio spazio io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita; voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso della divina sapienza.
errare e saltare il fosso della divina sapienza.
Ecco io questa meravigliosa poesia potrei rovesciarla. Potrei voltarla da sotto a sopra e riscriverla trovando il contrario di ogni parola.
Sono fatta così, di cose piccole, di granelli, di passi da formica.