lunedì 29 gennaio 2018

Figurine

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,

senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

W. Szymborska


Sento di dovere molto alle piccole cose. In questi anni densi di mammitudine e maestritudine e vane ricerche del centro di gravità permanente, ho perso di vista il senso ultimo del mio stare al mondo: la grande e miracolosa caccia al tesoro cosmica.


"Come diventare un esploratore del mondo" (K. Smith)
Sabato per esempio ho scoperto, all'attaccatura dei capelli, dei minuscoli e soffici giovani soggetti. Sono biondi, lievi e stanno lì tutti ammucchiati ai lati della fronte. Che quando mi faccio la coda non li infilo da nessuna parte. Mi son parsi commoventi e molto marzolini.

Stanotte mi sono svegliata con una fame impressionante, primitiva. Del resto ieri sera avevamo mangiato un piatto di minestra e poco più. In mutande, scalza e a tentoni al buio ho raggiunto il frigo, ho preso la bottiglia del latte e ho bevuto a canna (il latte in casa lo utilizzo solo io, ndr). Ho premuto il gusto spesso e freddo con lingua sul palato, mentre stavo in quel silenzio fitto, ma dolce, come di attesa. 
Un attimo dopo, in mutande, scalzo e a tentoni è arrivato lui. Ha aperto il frigo e si è preso uno yogurt. Siamo rimasti lì, appoggiati al piano della cucina uno a fianco all'altra. 
Latte, yogurt e silenzio. 
Ma non c'era da dir niente.

Nel sottobosco la terra freme. Ho visto le campanelle bianche, qualche croco, due o tre primule. Per poterli toccare sono scesa abbastanza incautamente, la terra era bagnata e scivolosa. Olli come impazzita girava tutto attorno. Li ho accarezzati con la mano, ho detto solo "bentornati", ad alta voce.

sabato 27 gennaio 2018

Una mattina


E' che l'altro giorno, di punto in bianco, mi son sentita come quando uno butta giù lo zaino alla fine di una lunga traversata e si raddrizza e si allunga e tira dentro aria.
Insomma proprio di punto in bianco, non so come, ho capito che le cose non vanno male, molto bene o abbastanza male, per causa/merito mio. Che posso smetterla di sentirmi responsabile di tutte le corrispondenze umane che stabilisco, di credere che occuparmene a tempo pieno le renda più fulgide o lievi.
Per tutta la vita mi sono dannata a "tener su" amori, amicizie, relazioni che quasi sicuramente sarebbero naufragati se non ci avessi investito infinite energie. Mi sono occupata di tenere costantemente aggiornato il registro del chiarire, dell'esprimere, dello spiegarsi, del condividere, dello spulciare dietro e dentro anche nelle fasi più scure o difficili. Mi sono sempre imposta il primo passo, la prima parola di scuse, la prima richiesta di prossimità e riconciliazione. Non perchè sono buona, solo perchè credevo fosse compito mio. E perchè avevo paura di perdere.
Basta, ho smesso. Ma il bello è che non me lo sono imposto: è arrivato da sè.
E questo non lo confondo con la bellezza del nutrire, del donarsi, con la dolcezza di offrire ascolto, calore, del portare con generosità vita nella vita. Ho solo smesso di remare controvento, di dipingermi accettabili questioni penose, di pensare che valga sempre e comunque la pena, anche quando l'altro offre briciole e inadeguatezza.
Così ho festeggiato con una mattinata dedicata a me. Un po' di nulla, il pc, il divano, due crostoli col caffè, un grattino alla Olli, una leccata della Olli, i capelli lavati raccolti nel turbante.

sabato 20 gennaio 2018

Piccole donne

Me, dieci anni
A cavallo fra la scuola elementare e i primi anni delle medie, a fine agosto io e la cuginetta venivamo spedite tra i monti con la nonna. I genitori riprendevano il lavoro, ma la scuola faceva ancora vacanza e non era pensabile lasciarci a casa da sole tutto il giorno. 
Così soggiornavamo per due settimane a casa della Ester, anche detta la signorina. Io la scrutavo di continuo, per capire dove si fosse annidata la signorina nella sua faccia secca e bruciata dal sole.
E insomma in questo paesino umido e piovoso, con indosso degli improbabili gilet multicolori fatti a maglia dalla nonna, una sera scoprii il primo pelo sotto l'ascella ed ebbi l'impressione che di colpo le mie gambe si fossero allungate a dismisura. Mi sentivo sgraziata, spigolosa, altissima. Fondamentalmente parecchio brutta.
Furono gli sguardi caldi, come carezze, di un giovanissimo pastore (eh, so che pare una storia svizzera di bambini alpini, ma è devvero andata così) a insinuarmi un dubbio. Perchè mi guardava in quel modo, perchè mai stava per ore in cortile, nell'attesa che uscissi di casa con la nonna, solo per dire "ciao" e scappare via correndo?
La nonna rideva di sottecchi.
- Perchè ridi?
- Perchè è sceso giù dritto dalla malga per venire a salutarti. Non hai sentito che puzzava ancora di mucca?
- E perchè voleva salutarmi? Eh?
- Sciocca che sei.
E basta, lei cambiava discorso.
So solo che da quel giorno cominciai a pettinarmi i capelli, prima di uscire di casa. Tantissimi colpi di spazzola, uno via l'altro, con lo stomaco in subbuglio. Perchè mi piaceva, mi piaceva come nient'altro al mondo, quello sguardo caldo, come di carezza.

domenica 14 gennaio 2018

Resti di ieri

Ieri sera dopo cena eravamo stesi sul divano, con il solito assetto. Perchè se fino ad una certa ora ognuno occupa il suo posto, più tardi si finisce per sovrapporsi in qualche modo, vuoi per un grattino, vuoi per la mia propensione alle mescolanze.
Insomma lui si è tirato su, che doveva mettere un legno nella stufa e nell'atto di alzarsi ha inanellato una serie di gesti che parevano studiati, per quanto mi son parsi belli. 
In sequenza:
1) si è messo a sedere rapido, svelto, sciolto;
2) si è passato le mani ai lati della testa, come a volersi sistemare un poco o come a cacciare il primo sonno;
3) si è sollevato e ha tolto la felpa in un unico, elastico gesto;
4) con indosso la sua t-shirt grigia a maniche corte (e le braccia lunghissime all'aria) è andato verso la stufa.
Ecco, io so cosa vorreste dire. Che non c'è proprio nulla di così esaltante.
E invece vi sbagliate. Perchè nel momento in cui è passato dalla posizione stesa a quella seduta, io l'ho visto ventenne. Non so dire perchè, davvero, ma d'un tratto lì sul divano c'era il ragazzo scarmigliato e inquieto e sognante della foto che teniamo sul cassettone. 
Mi sono commossa e gliel'ho detto ovviamente, in qualche modo ho cercato di mettere parole. E mentre dicevo, mi sono ricordata della nostra prima gita, del suo modo di estrarre la sigaretta dal pacchetto: conservava un che di adolescenziale, di esposto, di vulnerabile, a dispetto dell'aria sicura che voleva ostentare.
Oggi ripensandoci, ho capito che sono le tracce di slancio infantile, i residui acerbi, il sentore che in un cuore possa annidarsi un palpito ingenuo e sognante, a calamitarmi e sedurmi. 
Immagino che sia la mia ragazza, ballerina e fremente, a scegliere per me.

mercoledì 3 gennaio 2018

Obiettivi


La mamma di una ex allieva mi chiede aiuto per un testo che la bimba, in prima media, deve comporre. Al di là del titolo stimolante, sul quale stendo un velo pietoso, l'insegnante si raccomanda che il testo contenga almeno 200 parole e non più di 300. Scoramento e afflizione. 
Come può un ragazzino di undici anni provare il brivido della scrittura che apre e svela e stupisce, facendo i conti della serva? Con la gabbia attorno?
Bene, nel 2018 voglio mettere e mettermi ali. 

Qualche mese fa, una signora parlandomi della timidezza del suo bambino mi ha detto testualmente: "ha presente quando alle feste arriva il momento dei cotillons? Ecco, lui non ha mai il coraggio di prenderli". Ho annuito come sapessi.
Credo di aver letto da qualche parte ricchi premi e cotillons (suppongo attorno agli anni '80), ma senza aver davvero afferrato il senso. Così ho fatto due più due e ho capito che si tratta dei regali che il festeggiato fa agli invitati dopo aver ricevuto i regali. Una cosa parecchio tortuosa e abbastanza da ricchi. 
Ecco, nel 2018 non vorrei avere a che fare con la parola cotillons.

Conosco una donna devota, adorante, che per il suo uomo si immolerebbe. Quegli amori ciechi, estremi e totalizzanti. Anche perchè il marito è un emerito stronzo. 
Uno che va raccontando, con l'occhio lucido, di culi rotondi, tette svettanti e giovani cubane che non aspettano altro. 
Uno che alla fine, basta respirino. 
Uno che tratta quella moglie come fosse feccia.
Ora, nel 2018 voglio carezzarmi molto e guardarmi con tenerezza, per dare (e prendere) un amore giusto, appassionato e lieve. 

Oggi vestendomi per uscire, mi sono ricordata di quando mettevo il doppio pantalone e la doppia maglia, per sembrare meno magra. Le ossa delle anche sporgevano così tanto che faticavo a dormire a pancia sotto.
Poi sono fiorita e adesso devo tener sotto controllo l'esuberanza. 
Nel 2018 voglio trattare bene il mio corpo. Nutrirlo con attenzione, dargli ascolto e riposo, portarlo sempre a spasso in posti belli, farlo rotolare con l'altro corpo amato, senza posa.

Buon anno amici.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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