giovedì 28 settembre 2017

Case e parole


Non ho tantissimo tempo per scrivere ultimamente e quando finalmente mi scavo mezz'ora, le vocine smaniano, si dannano. Finiscila di perder tempo in  cazzate, torna sui libri!
Ma siccome sono campionessa di orecchie da mercante, spernacchio le vocine e accendo il pc.
Durante l'estate ho avuto modo di saltabeccare in rete e di scovare diari sconosciuti, redatti da autori a me ignoti e commentati da altrettanto ignoti lettori.
A volte fa bene uscire dalla "comfort zone", addentrarsi in qualche inesplorato territorio che forse ci somiglia poco, ma fa luce su altre e nuove prospettive delle quali tocca sempre e comunque tener conto. In fondo, pare che la rete rappresenti in qualche modo la realtà, sia un po' lo specchio dello spazio/tempo che fisicamente attraversiamo ogni giorno.
Così mi è saltato all'occhio qualcosa che prima, da neofita, non avevo mai visto o colto. Ho avuto l'impressione che in molti casi si faccia ingresso nella casa di un altro con l'intento di scoprire polvere sugli scaffali, piatti nel lavello, letti disfatti, cibo scaduto in frigo. Sembra che in molti, alberghi il segreto piacere di cogliere in fallo, ravanare fra le contraddizioni, richiamare alla coerenza, bacchettare e mostrare la vera verità. Ma mica su temi scottanti, incisivi o fondanti. No no, è sufficiente dichiarare una smodata passione per le scarpe tacco dodici e il primo che passa butta là una pesantezza di commento in cui pesta duro sulla natura caduca ed effimera dell'uomo. Basta dire che le auto costose le guidano quelli col pisello piccolo, e giù teoremi infiniti sull'emancipazione femminile o i genitali dell'elefante indiano.
Sarò io che semplifico troppo. Che non guardo a questo spazio come l'occasione di salire in cattedra o di istruire e illuminare in qualche modo. Che se frequento la casa di un altro, le pagine del suo diario, è perchè le parole che sceglie hanno un senso per me: mi fanno bene o mi fan pensare.
Da parte mia cerco di raccontare le cose a modo, ma tratto argomenti assolutamente personali e piuttosto irrilevanti, che non chiedono di rimanere inscritti chissà dove o di risvegliare coscienze sopite. Mi appartiene il taglio soggettivo e diaristico, perchè da sempre la mia voglia è quella di dare corpo e voce all'ordinario: una foglia secca, un telo da mare blu, biscotti nel barattolo, post-it fra le pagine di un libro, insetti marroni (e questa è per l'amico Pier).
Ecco, nello stesso modo in cui entro a casa d'altri senza avvertire l'urgenza di passare un dito sulle mensole e scelgo chi frequentare col setaccio della prossimità, mi piacerebbe che nelle mie stanze colme di parole l'ospite trovasse piacevole stare. Nell'affinità e nella divergenza, con riscontro e confronto, nel silenzio e nel sapido dibattimento. Ma con il rispetto e la disposizione d'animo che ogni sano scambio contempla.
Leggermi può garbare, annoiare, dar fastidio. L'imporante è sapere che in giro c'è davvero tanto altro.

venerdì 22 settembre 2017

Due paia di occhi

Insieme viene dal latino volgare insemel, che a sua volta deriva da insimul (nello stesso tempo).
Quindi insieme ha a che fare con la simultaneità. Allora non basta un banale "stiamo insieme" per definirsi coppia, serve anche stare (in uno stesso spazio, quando possibile) simultaneamente. Che se due "stanno insieme" e fanno vite troppo parallele, viene a cadere il principio numero uno.
Domenica mi sono molto arrabbiata con me, e continuo a guardarmi storto. 
Ma tocca fare una premessa. Ci sono uomini/donne dallo spirito indipendente, esplorativo, svincolato, che sentono il rumore della vita anche quando c'è silenzio. Ce ne sono altri che possono attraversare l'esistenza soltanto insieme, perchè tutto si compie nella comunanza di sguardi, passi, parole.
Ovvio che gli assoluti non esistono. L'uomo asociale può apprezzare una buona e discreta compagnia, l'individuo più gregario desidera anche spazi intimi e contemplativi.
Ecco allora che in percentuale, nel solito grafico a torta, la mia natura risulta più o meno questa:

Sia chiaro, mica vuol dire che il 90% del mio tempo lo passo simbioticamente avvinta ad uno. No, perchè io sto parecchio in relazione e comunanza anche per lavoro. Che i bambini ti abbracciano, ti fagocitano, ti danno baci molto bavosi e questo colma assai il mio anelito alla prossimità.
Poi ci sono i figlioli. E le amiche. E la mia mamma, che però è lontana. 
Ma tanta roba resta vacante, e quella inevitabilmente si posa sulla testa dell'uomo che amo. 
Il caso vuole (ma una mia terapeuta diceva che la vita ci pone sempre delle nuove sfide, sta a noi accoglierle o dribblarle) che lui appartenga alla categoria sopra citata uomini dallo spirito indipendente, esplorativo, svincolato, che sentono il rumore della vita anche quando c'è silenzio.
Insomma un bell'affare.
Così domenica per una serie di concause, mi sono ritrovata a mettere parole a questa mia esigenza di guardare le cose con due paia di occhi, di affacciarmi ovunque sul mondo spalla contro spalla, coi pensieri che si leggono e le storie che si raccontano. Di mostrare qualcosa col dito, anche in silenzio, di seguire il dito di un altro che mostra, e sentire che lo stupore e la bellezza si dilatano nelle cassa di risonanza delle bocche schiuse. Di ritornare verso casa un po' confusi, un po' arrossati, di fermarsi a bere una Guinnes allungando le gambe sotto il tavolo e pensare a cosa buttare su per cena.
E mentre dicevo, piangevo e piangevo forte, che ero così affranta d'esser fatta come il grafico qui sopra, e di non provare quel piacere nel fare le stesse cose da sola. Che si può fare le cose belle assieme e poi anche da soli, ma non mi entra in testa neanche se me lo sbatto giù col martello. 
Perchè il 10% lo raggiungo in un attimo. Calcolando il percorso casa-lavoro, è quasi già andato.

giovedì 14 settembre 2017

Volevo essere grande


Hai presente quella che sta dentro di me, quella di 15 anni?
La conosci, divora un'idea piena d'urgenza e poi ne sputa il seme per andare a spasso, con anima a rovescio, assente.
Disdegna le incombenze, le scadenze, fa spallucce, poi tira su una coda di cavallo e guarda altrove.
Sogna. Ma senza riguardo per le tasche capovolte, il tempo avverso, mani chiuse o bocche aperte. "Adesso!" dice, e applaude lieta mentre attende l'avverarsi.
E' gelosa, rissosa, ombrosa. E' fremente, scioccamente sorridente. E quando sorride, danza.
Ti fa tremare coi suoi piedi snelli, con l'odore d'erba negli abbracci e nei capelli? Allora passa oltre agli inciampi, ai vuoti a perdere, ai sobbalzi.
Guarda, la porti via con niente: un sasso azzurro, una spiga di lavanda, quattro o cinque luci in un caleidoscopio.

domenica 10 settembre 2017

Post molto fazioso in cui esagero un po' (ma solo un po')


Per quanto riguarda l'alternarsi delle stagioni, a casa mia ci si schiera in modo drastico e tombale: primavera/estate vs autunno/inverno. 
C'è poco da dire, da spiegare. I fautori della granita contro gli adepti del minestrone.
Chi mi conosce, sa: viva le Havaianas e a morte i MoonBoot.
Con la stessa veemenza e ardore scende in campo la fazione opposta, sbandierando argomentazioni inoppugnabili, tipo: "le manopole di lana sono bellissime", "il freddo vivifica", "la luce invernale è perfetta", "vuoi mettere quando nevica", "i colori dell'autunno sono impareggiabili", e "pensa a quando accendi la stufa e fuori fa meno cinque". 
Nessuno osi eccepire che la bellezza sta nei contrasti, che non apprezzerei il tepore se non attraversassi il rigore, che si deve vivere il momento (in quanto ogni tempo svela i suoi tesori).
Io ho sempre vissuto il cambio dell'ora, la luce calante, l'avvento del primo maglione come una sorta di lutto, al quale bene o male ho fatto fronte. Addio ginocchia sbucciate, mattine pigre, frinire di grilli, latte e menta, capelli incrostati di sale e sabbia tra le dita dei piedi. Benvenuti compiti, sferzate di Bora, cappotto verde muschio (che sotto puoi pure metterti il vestito giallo limone e non lo vede nessuno), sveglia che suona, finocchi lessi, sciroppo per la tosse.
Così da qualche giorno è iniziato il siparietto. Io sbuffo e mi avvolgo in una coperta, lui con un sorriso largo rispolvera felpe e giacchetti. Io sospiro guardando il sole eclissarsi all'ora del tè, lui si compiace dell'oscurità mattutina, che fa tanto Norvegia.
Naturalmente ognuno ha i suoi accoliti, e quando la famiglia allargata è al completo le compagini si affrontano trascurando ruoli e gerarchie.
Ma quest'anno non voglio essere colta alla sprovvista. Perchè, pur sottolineando che mai e poi mai rinuncerò alla glorificazione dei mesi più caldi, è ovvio che opporsi al moto di rivoluzione terrestre risulta piuttosto inefficace.
Quindi affronterò l'annuale traversata nelle terre estreme organizzando il giusto equipaggiamento (atto a scaldare corpo e anima), come ogni provetto esploratore insegna. Sicuramente necessito di:

- scorta di preparati per cioccolata calda, gusti vari
- cappotto blu a godet - stile zarina -
- per la serie "non ho mai le scarpe adatte", delle scarpe adatte
- un plaid fatto a mano - punto riso -
- collezione di calze parigine a righe, rosse, verde smeraldo, azurro cielo
- un buon liquore all'uovo, che vorrei produrre da me (ma è un'ipotesi forse troppo romantica)

Ed ora, un bel respiro e sono pronta a partire. Che dio ce la mandi buona.

mercoledì 6 settembre 2017

Benvenuto rancore


Non è che tutta la gente con cui lavori ti deve andare a genio, si sa.
Nel mio ambiente in scala ridotta, dove il gomito a gomito è d'obbligo, si potrebbe idealmente auspicare ad un filo di sana tolleranza reciproca. Invece no, se uno è stronzo, è stronzo. 
Un po' tenti il confronto e il dialogo, un po' eviti, ma a volte finisci proprio per troncare. Bello non è, considerando le situazioni in cui tocca fare buon viso indossando smaglianti sorrisi: riunioni docenti, colloqui con le famiglie, plenarie scolastiche.
Fino a prima, prima della consapevolezza che nella vita mi è concesso formulare apertamente opinioni che altri possono non condividere (non cadrò colpita da una folgore, non verrò crocefissa, non resterò sola fino al giorno della mia morte, ecc...) ero stata un po' amica di tutti. Che significa avere una struttura così liquida e plasmabile da infilarsi in qualsiasi bottiglia. Che suona tanto vile e opportunistico, da potersi definire "paraculismo". 
In verità, ero terrorizzata dall'idea di perdere. La disapprovazione, il contrasto, il conflitto, mi parevano l'anticamera di penosi e laceranti abbandoni.
Dopo, quando tutto ha preso un altro corso (e purtroppo è storia recente), ho recuperato con gli interessi. Non sapevo capacitarmi di cotanta libertà: davvero potevo dissentire, inveire, colpire e affondare? 
Ecco, vuoi perchè furori e veemenze li ho coltivati fuori tempo, vuoi perchè nasco fatta di tiepida polenta, d'essere bastarda non mi è mai riuscito. Costituzionalmente. Magari sbotto, faccio caciara, mi inalbero, piango, uso il turpiloquio, ma la sottile arte dell'infamia non era roba mia.
Fino a qualche mese fa.
Quando hai a che fare con creture preziose come i bambini e con i loro genitori (oggi molto ansiosi e fragili), è un niente che rischi il rogo. Chiedi di riordinare le classe e li hai schiavizzati, intimi il silenzio e castri il loro bisogno di espressione. Per dire.
Ecco, io tempo fa ho voluto tutelare qualcuno, evitandogli la gogna. Ho fatto sì che alcuni fatti venissero messi nella giusta luce, per scongiurare un clima di caccia alle streghe, così facile da nutrire e fomentare. Ho preso, per questo qualcuno, una posizione precisa, anche se fra noi non correva buon sangue. Sono stata oggettiva e pulita, nonostante le troppe incomprensioni.
Ebbene, adesso questo qualcuno ha creduto che non fossi degna dello stesso trattamento. Ha deciso di raccogliere le mie schiette parole e le ha intagliate, mozzate, affilate. Ha riferito frasi e gesti strappati dal contesto, per dar corpo alle sue insinuazioni, ha usato ingegnosi strumenti fuori dalla mia comprensione. Con la stessa espressione sorridente che mi riservava ogni mattina, ha inferto colpi feroci, profondi e indelebili.
Allora ho sentito in bocca un sapore metallico, acre. E ho capito che se n'era andata quella leggerezza bella, che non avrei più guardato all'altro con trepidazione e fiducia e voglia di scoprirmi.
Ma sì, meglio tardi che mai.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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