venerdì 30 dicembre 2016

Professione regina

Quando per tanto tanto tempo di professione fai la regina, poi non ti riesce mica altro.
Che due sudditi bastano, a fare di una donna una regina, e non importa se lo scettro poi lo tengono loro, a regolarti ogni minuto e ogni respiro.
Ma non sei davvero una regina quando è solo di te che hanno bisogno al risveglio, quando solo le tue mani annodano la sciarpa in quel modo speciale, quando la frittata al formaggio che pare una luna nessun altro sa farla?
Ho guardato e masticato il mondo per loro, gliel'ho reso più lieve. Allora una brutta caduta è diventata l'occasione per cerotti da eroe, il tradimento di un amico la possibilità di stringere altre mani, un luogo inospitale e tetro il gioco di ingentilire, trasformare, render bello.
Come quella volta, in culo al mondo. Eravamo arrivati stanchi, dopo un viaggio difficile e lunghissimo. E niente era come ce l'aspettavamo, con gli insetti che correvano dappertutto, e i materassi lerci. Sarei scappata a gambe levate. Invece guardate che mare, e poi stasera accendiamo un sacco di candele e ceniamo sulla spiaggia
Quando sei una regina ti dai un mucchio da fare perchè il regno risplenda e tutto fili via liscio. Ti dimentichi cosa ti piaceva prima, perchè ti piace molto di più tener strette le loro mani attraversando un bosco (chissà che incontri faremo...stiamo zitti zitti), costruire elmi a Natale con le scatole del pandoro (sì, prima lo faccio a lui e poi a te) o insegnar loro ad allacciarsi le scarpe (quando hai fatto le orecchie al coniglio, ne passi una sotto). Perchè i sudditi danno alla regina molto più di quanto lei dia a loro: la rendono indispensabile, invincibile. 
Verrebbe da dire che dopo, quando crescono un poco, tocca ritrovare altri gesti, altri tempi. Che alla fine, dovrai essere re o regina di te stesso. 
Tutte cazzate.
Quando tolgono le rotelle alla bici, si versano l'aranciata da soli, si innamorano di quella coi codini, lo capisci che sarà difficile, tanto difficile. Ricordarti di com'eri prima, di cosa ti piaceva e togliere la corona. 
Ma per quanto ci provi, non puoi neanche immaginare quanto duro sarà.

domenica 25 dicembre 2016

Millimetri di autostima



Sei sostituibile. Chiunque può fare quello che fai tu.
Fine. Di ogni slancio.

Ho sempre avuto bassa autostima. In realtà mi si è sollevato l'amor proprio quando ho finalmente capito che sono pur io capace di miserabili gesti, un po' come tutti. Nel senso che toccare la mia pochezza mi ha permesso di vedermi tutta intera. Qui fai cagare, qui sei benino, qui così così, qui super. Che ognuno di noi è super da qualche parte. 
Io per esempio sono una brava maestra. Non mi riferisco al metodo, agli approcci, alle possibilità di insegnare qualcosa in modo efficace. Che lì c'è sempre da imparare, studiare, sperimentare. Anche perchè non esiste un modo. Un modo valido e buono per tutti.
Ecco, la mia bravura di maestra sta proprio lì. Perchè io li guardo moltissimo, e a forza di guardare come parlano e si muovono e si mettono in relazione, mi pare di capire cosa a loro serve. Qual è la domanda che mi fanno, anche senza dire.
Ora questo non significa che non canno mai. Canno eccome. Ma l'entusiasmo e l'energia che metto in quel cogliere implicite domande e tentare corrette e calzanti risposte, è una gran cosa. Insostituibile, credo.

L'altro giorno nel bosco faceva così caldo che mi sono messa scalza. Scalza scalza e ho camminato. Solo che si andava in discesa e le falcate erano lunghe, mica come passeggiare al parco. Sul far della sera trascinavo le gambe per casa. Distrutte. Non si direbbe che una solettina di gomma cambi così tanto appoggio, andatura, utilizzo di gruppi muscolari. Come dire che basta un niente, pochi millimetri a spostare l'ordine delle cose.
Il mattino seguente però, ero come nuova. Ecco. Sani millimetri.

domenica 18 dicembre 2016

Nervi scoperti

Tra novembre e dicembre, due volte. 
Un motivo deve pur esserci. E' sempre stato un problema, in tutte le fasi delle mia vita, tanto che appena supero la soglia semplici conoscenti, alle persone amiche lo dico chiaro. 
Io non ricordo mai i compleanni. Sappilo. Che se per te è fondamentale, meglio chiudere qui.
La cosa curiosa è che io le ho provate tutte, perchè alcuni ci tengono davvero e vorrei assecondare. Agende, notebook, calendario, promemoria sul telefono. Ma in un modo o nell'altro, anche di fronte all'evidenza, evito, dribblo. Resetto.
Così quando la Claudia mi ha chiesto, il 26 ottobre, se il 26 novembre potevo esser libera per un aperitivo, l'ho pure sfottuta. Evvabbè, sei mica la regina d'Inghilterra! Cazzo, un mese prima fissiamo gli aperitivi?
Da sotterrarsi. Perchè non ho fatto uno più uno. Macchè. Ha dovuto chiamarmi lei il 27 novembre per dire che la serata era stata molto piacevole.
Uguale con la Jessica, a dicembre. Che le mando un messaggio idiota (in cui ovviamente non le faccio gli auguri) proprio il giorno del suo compleanno. Ma io ignoro che sia il suo compleanno, nonostante le sia amica da anni e spesso l'abbia festeggiato assieme a lei. Poi lei discreta omette e a me (non so come) vien su che i primi del mese, forse, magari, chissà. 
Sì, è oggi, dice lei. Mi son sentita così idiota.
A mia discolpa c'è da dire che ricordo ogni parola, ogni confidenza raccolta. Nomi, storie, luoghi, emozioni, amori, date. A volte mentre qualcuno racconta io so già, ma per discrezione non interrompo. Sai quella morosa che avevo all'università. Marta, vorrei dire io, ma taccio.
O mi informo sulla tal visita di controllo, e miracolosamente me ne ricordo il giorno stesso, pure in tempo utile.
Sono le candeline il nervo scoperto.
Comunque Universo, sappi che a me frega una cippa che ci si ricordi del mio compleanno. Così per dire.

martedì 13 dicembre 2016

Nostalgie


Mentre camminavamo nel bosco (sulla strada del ritorno già mi saliva il tipico magone del ma quando ci ritornerò?) facevamo la classifica degli odori più buoni al mondo. Ci è venuto così perchè il profumo che saliva dalla tappeto di foglie era roba da perderci la testa. Attorno agli stavoli il sole mandava su dall'ultimo sfalcio un sentore di fieno, che se chiudevo gli occhi poteva sembrar maggio.

Quindi ecco a voi la classifica dei dieci odori che più mi animano:
1) Pioggia sulla strada d'estate
2) Legno tagliato
3) Mare
4) Grigliata
5) Pastelli a cera
6) Zucchero filato e frittelle alle fiere
7) Olio solare
8) Pane tiepido
9)  Bosco di abeti
10) Vernice fresca

Alcuni provengono da una cartella rossa, altri da un borsone a righe colmo di palette e secchielli. Certi mi danno languore, o materializzano voci, occhi. I più densi mi chiamano a loro come sirene, e devo andare, subito, ritrovarli. 

Allora un passo via l'altro, in mezzo al bosco dicevamo. Carta. Pizza. Lana bagnata. Ragù. Nivea. 
E mi è passato un po' il magone, perchè tanto ci ritorno. presto

giovedì 8 dicembre 2016

I was once like you are now


Capita a volte, che attorno tutto sembri convergere. Che come dentro una congiunzione astrale, ogni cosa vista, detta, fatta, mstri una precisa direzione. 
Succede per esempio quando una donna prova ad avere figli, e magari non ci riesce. L'universo pare costellato di pance, alla tv passano immagini di neonati paffuti e - guarda caso- la collega secca e zitella porta i pasticcini in ufficio per dare a tutti il lieto annuncio.
Insomma da qualche settimana il pensiero di mio padre si fa presente in modo subdolo e fastidioso. Pur trattandosi di un eterno insoluto (nonostante anni di terapia e vani tentativi di metabolizzare il suo abbandono/totale assenza), avevo finito per archiviarlo nella casella "enigmi umani", cosa che mi ha poi permesso di scendere a patti con la mia eterna necessità di CAPIRE. 
Invece molte volte c'è ben poco da CAPIRE, se non che:
- la gente fa le cose
- le fa senza pensare
- alcune volte pensa
- spesso si lascia guidare dalla paura
Se consideriamo che la paura rappresenta una pulsione primordiale, possiamo ben comprendere che essa spinga ad agire in modo abbastanza irrazionale, e quindi imperscrutabile.
Detto questo, torno a mio padre. Anzi, torno ai padri.
In queste ultime settimane, in diverse forme e situazioni mi si è mostrata la "figura del padre", e mi son detta che fare il padre è cosa complessa e tutt'altro che istintiva. Ora lo so che potremmo attingere agli studi antrolpologici, sociologici e pure etologici, ma che le cure parentali spettino, nel regno animale, alle madri, è cosa nota.
In verità, intorno ho diversi fulgidi esempi di padri amorevoli e solerti. Ma di norma, e soprattutto nelle generazioni passate, i padri si rivelano pallide presenze, laddove non palesino una certa noncuranza.
Di solito, i padri tacciono. Pare debbano essere più pragmatici, più concreti, meno inclini all'esprimere e al fare luce. Sono la parte solida, loro, quella che non si piega.
Invece hanno paura. Che non sono avvezzi alle parole, che le parole vanno dritte giù e pescano in fondo. E una volta in fondo, tocca mostrare quello che c'è, fasti e miserie. E perchè mai? A chi giova tutto questo svelare?
A me sarebbe piaciuto.
Ne ho fatte di cazzate, ma ti voglio bene. Tanto mi bastava. 



sabato 3 dicembre 2016

Mi piace

Mi piace l'amore quando scopre debolezze e si piglia per il culo dolcemente. Poi ride.
Perché l'amore ride, e ride assai.
Mi piace l'amore geloso, poco poco e poi schietto, tantissimo, che se c'è da arrabbiarsi sbrano. Che se c'è da far pace lecco, bacio e liquida mi faccio.
Mi piace l'amore quando trova le parole, e quando non le cerca, perchè fa tana in un silenzio. 
L'amore che mi piace si fa assieme oppure ognuno per suo conto. Da soli leggere, rosolare, scrivere, infornare, avvitare, rammendare. Insieme camminare, guardare, versare il vino, porgerlo. 
Mi piace l'amore se ascolta. Se crede ci sia sempre qualcosa da svelare, e non si abitua. 
Quando si fa carne, mi piace che l'amore pensi poco e sia sfacciato, appena impuro.
Mi piace l'amore quando gioca alla campana, buttando avanti un sasso nel domani.

domenica 27 novembre 2016

Testimoniare


Pensavo di scrivere una lettera ai miei figli. Alla luce delle cose, adesso, guardandomi intorno, indietro, di lato. Non una roba moralistica o didascalica, densa di buoni consigli e lezioni di vita. Più una specie di storytelling, in cui il vissuto, i sogni, gli inciampi, la bellezza, vadano assieme.
Questa voglia di testimoniare ha preso forma giovedì sera a teatro, mentre ascoltavo un brano di Jack London. In buona sostanza si diceva che ogni essere vivente è chiamato a giustificare il suo stare al mondo con opere e gesti. Se in quanto uomini abbiamo la facoltà di pensare e costruire e lasciare tracce, non possiamo permettere alla nostra vita di scivolare via senza peso, estranei alla nostra natura, ai nostri talenti, alle nostre spigolature. E soprattutto, tocca mettere tutto a frutto, il bello e il brutto, l'armonia e le dissonanze.
Siamo qui per Esserci, nè più nè meno.
Volevo dir loro anche un'altra cosa. Che quando amiamo qualcuno, lo amiamo al di là di noi stessi, oltre il nostro cono di luce. Non amiamo in funzione di ciò che desideriamo, che cerchiamo, che vorremmo, non ci aspettiamo precise corrispondenze e incastri perfetti. Amiamo qualcuno e basta, lo amiamo con le sue misure, lo ameremo anche se non potrà mai essere un disegnino nel nostro bel quadro. 
Perchè anche l'altro disegna il suo bel quadro, ci piaccia o no.
In realtà, dopo tanto pensare ho deciso che non scriverò nulla. Perchè le cose s'hanno da vivere e attraversare tutte, sparati a cento all'ora. 
Così mi hanno vista fare. E credo sia abbastanza.

domenica 20 novembre 2016

Spettacolo

E' il tempo che determinando la realtà la rende deludente.
Ma la realtà, se scomposta, frantumata, ripensata, rielaborata, può diventare un grande spettacolo.
(La grande bellezza)

Erano anni che non andavo ad una festa. Una festa vera, dove si balla - dio solo sa quanto mi piace ballare -, si intavolano conversazioni sorseggiando del vino, si piluccano cose con le dita.
Mi sono stanata a fatica. Ma tutti a dirmi quanto sono asociale, che non scendo mai dall'eremo e bla bla bla. Allora mi son portata fuori.
Mi ci è voluto un sacco di tempo per scegliere qualcosa da mettere e sono uscita all'ultimo per comperare le calze adatte.
In buona sostanza mi sono divertita, ma non ho ballato. I revival mi mettono addosso una gran tristezza, che ai miei piedi la musica piace fresca.
Adesso per dire, fra le mura di casa mi ballo questo:


Nel momento in cui i Bee Gees ci davano dentro col falsetto, ho visto un tizio che pareva Morandi tentare due passi alla Manero. Un altro con addosso il parruccone emulava il cugino di campagna sovrappeso. Poi è giunto il proprietario del locale, un gioviale Maradona galante che nel presentarsi mi ha rapito la mano. 
E mentre veniva servito del magnifico risotto alla salsiccia (beh, siamo pur sempre nella pedemontana) ho fatto la conta. Settanta per cento donne. Tendenzialmente allegre, compatte, ironiche. La compagine maschile in pista invece, appariva più grigia e tendenzialmente si prendeva sul serio. Mi son parsi inconciliabili.
Fuori pioveva ed io ero lì, così affettuosa con i miei sbagli.

lunedì 14 novembre 2016

Tempo pieno


Lei entrò nella stanza aggiustandosi i capelli, cercando un sorriso in cui guardarsi. L'uomo però non alzò la testa. Allora lei si disse che iniziava proprio male quel colloquio, con capelli da aggiustare e nessun sorriso in cui guardarsi.
E così, tamburellando la matita sul tavolo e continuando a tenere gli occhi altrove - ora alla pioggia incessante, appena dietro ai vetri - lui chiese con vaga insofferenza: cosa fa nella vita?
E' facile, pensò la donna.
Raddrizzò la schiena e rispose in un fiato. Amo a tempo pieno. 
L'uomo smise di tamburellare. 
Volse quindi a lei lo sguardo e cercò, senza trovarlo, un segno di squilibrio o dissennatezza.  
Così, scandì molto lentamente, per farsi comprendere da quelle mani bambine, lei non fa altro?
La donna, inclinando appena la testa, come le bestie quando un suono, o un gesto, sfuggono alle leggi di natura, sembrò cercare un modo. 
Poi, con voce quieta, un poco altrove, parlò.
Non mi resta molto tempo per fare altro, signore. Amare come io amo chiede dedizione e presenza, fiato e carne. Il pensiero, al risveglio, non va al caffè che sorseggerò o agli abiti che indosserò. Non va neppure alle ore che trascorrerò fuori casa, all'ombrello che potrebbe proteggermi, ai guanti che potrebbero scaldarmi. Da quando apro gli occhi signore, io sono occupata ad amare. E si ama - pochi lo sanno, ancor meno lo praticano - tessendo. Servono mani bambine, e tocca sapere quale filo, quel preciso giorno andrà intrecciato. Occorre, per saperlo, dimenticare di allacciarsi le scarpe, o di bere all'ora di pranzo. Perché quando l'amore ha questa forma, è all'altro che osserviamo le scarpe e porgiamo il bicchiere.
All'udire la parola "carne", umida e così prossima a "pensiero", si sentì turbato. Questo lo fece arrabbiare.
Disse allora, per colpirla: nessuno desidera un tale soffocante amore, nessuno può sopravvivere amando a questo modo. 
Lo so bene signore, rispose la donna con enfasi, difatti vorrei passare ad un part-time.




giovedì 10 novembre 2016

Era meglio se avevo i baffi


Non ho mai tollerato quei genitori che in colloquio, tutti sorridenti, si rivolgono ad una delle insegnanti dicendo candidamente: "sei la sua preferita".
Ora, parliamone. A che pro lo dici? Per ingraziarti una maestra e pestare i piedi alle altre cinque? Perchè tu sei "sincero" e per scelta ideologica non ometti mai nulla? Perchè pensi che il tuo bambino abbia diritto ad esprimere (e ti fai portavoce) tutto ciò che sente, prova, desidera, vuole? Forse auspichi un allineamento verso il tuo bello e il tuo buono: sia mai che le altre insegnanti turbate da cotanto diniego, non decidano di emulare la prescelta, rendendo così più lieve e rosea la vita della creatura.
Quale sia il tuo intento, caro genitore incauto, non c'è dato di saperlo. 
L'ultima in ordine cronologico mi è stata riferita l'altro giorno. Pare che una mamma abbia palesato alle colleghe la predilezione di sua figlia per me trovandone ragione nel mio essere sensuale. Ha detto veramente così: sensuale
"Credo abbia scelto Gioia perchè è sensuale, femminile e un po' scollata".
Bionda, tettona e un filo svampita. Ma tanto piacente.
Credetemi, l'ha detto davvero. 

sabato 5 novembre 2016

E' novembre

Foto di Gioia

Martedì ho spartito il sentiero con uno scrittore che amo molto.
Passa per schivo, ombroso, sgarbato. Passa per algido, distante. 
Credo sia silenzioso e basta. Perchè guarda le cose e le raccoglie, con pazienza.
Dopo s'è andati in una trattoria Slovena - odore solido di cipolla e carni fritte - che il cammino ci aveva messo fame. Eravamo tanti, tante le voci e le cose dette. Io mi son messa in parte, che godo immensamente dell'ascolto, del mettere assieme i pezzi, come indizi, per costruire le storie di ognuno.
Lo scrittore era seduto di fronte a me. La sua compagna, una donna senza età, capello corto brizzolato
e nessun vezzo. Lui la carezzava e le faceva assaggiare ogni cosa. Poi ha raccontato di quando ha incontrato l'orso, steso in mezzo al bosco.
Abbiamo offerto un posto in macchina ad uno del gruppo, sembrava giovane ma non lo era, sembrava infastidito e invece era impacciato. Gli ho chiesto se aveva dei figli ed è stato come tirar su la saracinesca. Nell'auto bianca che attraversava il giallo di novembre ha portato la sua vita, e mi son detta che le persone sono tanto sole, così sole da porgere la loro esistenza ad una sconosciuta con il raffreddore e gli scarponcini slacciati.

L'altro giorno a scuola si parlava di miti e leggende, del bisogno che l'uomo ha di trovare un senso alle cose intorno. Mi chiedevano perchè, nelle prime sepolture, quei neanderthaliani posassero fiori, oggetti, bei sassi. Poi hanno parlato loro. Della morte, dei bisnonni, di quello in cui credono, delle loro preghiere sacre e profane.
Il bambino ortodosso ci ha mostrato come si segna lui, che non giunge le mani. L'amico invece, ha raccontato che lui lo sente sempre il suo angelo.
M. taceva, pensava. Poi ha detto: "sai maestra, io credo solo a due cose, perchè sono sicuro che esistono. Credo a Gesù. E a Babbo Natale".
Pari dignità.

lunedì 31 ottobre 2016

Mani



Mi son presa una batosta di quelle. Laringite, che poi è diventata tonsillite, che poi mi hanno dato l'antibiotico e il cortisone e non dormivo niente così ero debole debole e col fiatone. Quattro giorni e mezzo a casa, quasi una settimana lavorativa: in otto anni di scuola mai era successo.
Potevo solo stare, condizione a me tanto estranea quanto avversa. Perchè a parole mi mancano il tempo, lo spazio, le occasioni, poi quando tutto è propizio smanio. Sono una falsa pigra in verità.
Insomma l'altra sera guardavo un programma su Laeffe. Alcuni bimbi andini preparavano collettivamente un piatto locale: pesce marinato, avvolto in foglie di banano e cotto sui carboni ardenti. Tali pescioni giganteschi venivano trattati con incisioni al coltello fitte e longitudinali, atte a favorire la penetrazione di una marinata nelle carni ancora crude. Quindi, dopo un certo tempo in immersione, andavano rapidamente racchiusi in uno scrigno di foglie di banano e cotti.
Insomma lo facevano i bambini. I bambini, da soli. Maneggiavano il coltello, abilissimi ed efficienti, senza indugi nè remore, senza fretta ma rapidi, con gesto preciso e misurato. Poi, le piccole dita forti e lievi opposte al pollice avvolgevano, tac, tac, tac. E via un altro pesce.
Guardavo quelle mani. Mani lisce e scure. Controllate, esperte, vive. Sapienti. Mani che hanno fatto, rifatto, provato e sbagliato, dove nessun adulto ha sostituito quel coltello affilato con uno "adatto", senza lama e senza efficacia.
Ecco, ho pensato che qui stiamo sbagliando tutto, ma tutto. Il corpo dei nostri bambini è dimenticato, il sapere stagna nella calotta cranica, chiuso nei concetti, nelle nozioni,  in dispositivi metallici che li tengono costantemente a capo chino (ma li vedete? a testa bassa infilare la vita?) nella ripetizione sterile di teorie da loro mai sperimentate,
Conoscono poco e male quelle teorie ed ancor meno conoscono la pratica che le sostiene.
La mano è l'organo dell'intelligenza, disse la Montessori. Serve fare per sapere, serve imparare a piantare un chiodo, a tagliare una fetta di salame, ad allacciarsi le scarpe, per essere davvero competenti.
Ma nel momento in cui tutto arriva loro pre-scritto, pre-definito, pre-fabbricato, li riduciamo a meri fruitori. Senza mani e senza domande.
Abbiamo bambini che non usano più le mani, porca puttana, e nessuno ha diramato l'allerta.

mercoledì 26 ottobre 2016

Due note

Ospiti inattesi
Giovedì sera prima di cena fumavo in terrazza l'ultima (a volte è la seconda, altre l'unica) sigaretta della giornata. La mia resistenza ad assecondare l'arrivo della stagione fredda si palesa nella difesa tenace delle estremità inferiori, ultimo avamposto: ancora non so piegarmi alle pantofole (ma a ben pensare, ho mai indossato delle pantofole?).
Insomma ero in terrazza coi miei calzini a righe, e fumavo. Ad un tratto ho avvertito un tocco lieve, un peso molto leggero, proprio sul piede destro. E' vero che la mia terrazza si affaccia su un bel prato, che tutt'intorno ci sono campi e orti. Ma è anche vero che vivo al primo piano, pertanto ipotesi agghiaccianti non ne avevo formulate.
Ho dato la colpa al  vento. Al fatto che ero sovrappensiero. Alla mia testa matta.
Ma quando stavo per rientrare, con la coda dell'occhio l'ho visto filare. Minuscolo che pareva una noce.
Vi risparmio il resto. Reazione inconsulta, appelli, ricerca spasmodica e vana. Che poi non ero schifata, non mi terrorizzano i topolini. Ero piuttosto colpita da tanta spavalderia. Come si permetteva? Sul mio piede? Mentre fumavo? E da dove cacchio giungeva? Mica pensava di entrare in casa al caldo, no?
Sabato mattina ci si interrogava, quando aprendo il bidone dell'indifferenziata vuoto, l'ho visto sul fondo. Così piccolo e così immobile.


Ebbene non so come sia finito lì dentro, il bidone è parecchio alto e liscio come l'olio. Fattostà che ci è entrato e non è  più stato capace di saltarne fuori.
Minchia signor topo, ma perchè? Mi ha preso una tristezza signor topo, veramente.


Fastidio
Non sto qui a moralizzare, lungi da me, solo che alcune cose mi urtano proprio.
Come dire, ci sono contesti e contesti. Mostri il culo, le tette, ammicchi? E fallo pure se quello è il tuo ruolo. O fallo se non sei un pubblico personaggio che in pubblico si esibisce, se nel tuo stare al mondo non rappresenti qualcosa, qualcuno.
Del tipo. Da una pornostar ci si aspetta che metta all'aria la patata. Da una valletta di Passaparola ci si attendono siparietti, stralci di cosce e frammenti di chiappe. Da un ministro, dichiarazioni d'intenti e proposte di legge.
E da uno sportivo? Che ci aspettiamo? Risultati, bei messaggi sulla tenacia e la responsabilità, sulla rinuncia che fortifica ed eleva. Uno sportivo comunica ai più giovani che attraverso il duro lavoro si ottiene grande appagamento, che si può essere belli, famosi e riconosciuti senza per forza dare in pasto pezzi di sè, nè cedere alle lusinghe del facile guadagno. Che non è necessario posare da tronisti o atteggiarsi da veline, per ottenere il successo.
In teoria. Invece eccoli, in un'esibizione di pezzi.



Fatico a cogliere il senso, lo scopo: cosa mi dicono di nuovo, quale il messaggio sotteso? Dovrei trovare esaltante il connubio tra sportività e figaggine? Sciogliermi per la tonicità che va a braccetto con la determinazione?
Ma per favore. fate il vostro. Allenatevi, gareggiate, portate a casa medaglie e trofei. Che belli siete belli e sexy siete sexy e pure straricchi che non sapete dove metterli.
Le società sportive perdono i giovani, che non coltivano passioni, che faticano a uscire dal mucchio, a sposare un qualsiasi impegno.
Allora passate altro, trasmettete il senso profondo di una scelta pulita e svincolata, la libertà di non aderire al nulla. Veicolate che si può, che è possibile tenere chiuse le cerniere e allacciati i bottoni.
Che poi di culi e bicipiti (più veraci e meno autocelebrativi) é pieno il web.

mercoledì 19 ottobre 2016

Sotto


A metà dicembre un tale scopre di avere il cancro. Il medico gli annuncia che probabilmente non vivrà a lungo. Dopo i primi giorni di intimo strazio sente arrivato il momento di comunicare la triste notizia ai familiari, ma non sa trovare la forza, il momento.
Così la sera della vigilia mentre l'albero scintilla e viene servito il brodo di cappone, il tale, nel tempo di un silenzio si fa chiara la voce. E dice.
"Ho il cancro".

Merda, vien da pensare, non era meglio aspettare? Perchè così il boccone va di traverso, il vino prende l'aspro, le conversazioni muoiono in bocca. Di che cazzo é lecito parlare dopo che uno stronzo ha invitato la Morte a cena?

Ecco. Si racconta che qualcuno abbia ridotto al silenzio il tale, definendolo assolutamente inopportuno e scandaloso (e lo era, certo che lo era!), affermando che aveva sbagliato luogo e tempo. Pare che qualcuno, indignato da tanta dabbenaggine, abbia raccolto sprezzante il cappello scuotendo la testa e se ne sia tornato a casa, incredulo.

Cosa passava nella testa di quel tizio, così inopportuno? Magari credeva che il tintinnare delle forchette avrebbe grattato via gli spigoli alle sue parole. O forse - quello scriteriato - pensva che il paté, il prosciutto in crosta, le meringhe al cioccolato, venissero dopo. Dopo gli abbracci che di certo valeva, un così fatale annuncio.
Ebbene la novità, signore e signori, é che la morte sta sotto. Sotto gli strati di vernice, sotto gli occhi bistrati, sotto i minuetti affettati e la foto di gruppo.
Sotto. Perché diamine, la morte non ha certo un buon odore.

sabato 8 ottobre 2016

Promozioni


C'è stato un tempo molle, in cui mi sono scoperta femmina. Quel tempo ha scalzato i paletti che per anni avevo piantato con impegno e sistematica cura.
E' avvenuto troppo tardi, e ha portato con sè un'epoca buia in cui nulla era più solido, praticabile. 
Nella fase della vita in cui di solito i contorni sono ormai delineati, ogni segno si è cancellato.
Mi dico che poteva non avvenire mai, che potevo per sempre restare in quella porzione d'erba verde sulla quale splendeva costante un tiepido sole. 
Potevo, ma non è andata così. E ora mi piace tanto questa Gioia fuori dal recinto, senza copertura, senza paracadute, che non la cambierei mai con nessuna.

In quel tempo lo sguardo di un uomo incrociato per strada era conferma, compattezza. Esistevo, ero viva, il mio corpo parlava, riceveva risposte. E dopo averlo sentito addosso ed essermene nutrita, so di averlo cercato annaspando quello sguardo, come chi ha fame, come chi dipende.
Il gioco seduttivo non implica per forza interesse, non chiede sempre coinvolgimento. Può essere sciolto, libero, anche fine a se stesso e fonte di illusorie certezze.
Piaccio? Allora valgo, ho senso.

Un uomo che (per sfinimento) ha smesso di farmi una corte sistematica e tenace, da poco mi ha definita "una corazzata". Non sa quanto abbia apprezzato, quanto mi abbia fatto sorridere.
Perchè un guscio di noce non si capacita di essere promosso. Perchè potrei giocare, godere del supplemento di attenzioni, lasciarmi appagare senza impegno né vere concessioni. Perchè gratifica piacere, al di lá dell'Amore, di quanto portiamo in petto, dell'essere leali.
Certo che gratifica.
Ma adesso io mi guardo con dolcezza, mi trovo amabile, so di essere viva. Lo so per me, e da me.
Ecco, non vorrei fare riguardo. Magari la dipingo di celeste o di rosa la corazzata, che fa meno specie. 

lunedì 3 ottobre 2016

Stretta

Niente, ci ho provato.
Bella l'idea dei castelli aperti, quelli privati che di norma sono chiusi al pubblico. Un'alternativa per la giornata piovosa e bigia che non dava cenni di schiarite e altrimenti non poteva esser spesa. Che a me piace leggere sul prato, per dire. O calpestare foglie.
E' partito tutto male, perchè a vedere tante auto mi è venuta l'ansia. Mi angustiava l'idea di tribolare per il parcheggio: tutto saturo sin dall'imbocco della strada. 
Ma sistemato il mezzo e fatto un bel respiro, ci siamo avviati verso il capannello che attendeva la guida. E anche lì gente, troppa. Pazienza.
E' che io, in mezzo alla gente non posso fare a meno di osservare compulsivamente. Così compulsivamente da stancarmi gli occhi, da confondermi i pensieri.
Ho sentito un profumo molesto, grossolano. Ho visto scarpe tirate a lucido e capelli freschi di piega. Rossetto semipermanente rosa confetto e smalto abbinato. Occhi spenti e bassi su display, coppie mute, distanti.
Ho pensato che siamo ancora così pieni di complessi, così tremendamente provinciali da tirar fuori la faccia della domenica, il cappotto buono della festa, da lavare l'auto prima della gita fuori porta.
M'ha preso una malinconia.
Lo so benissimo, sono stonata io. Io che ho fatto cinque mesi col pareo e adesso non so passare a indumenti degni d'esser definiti tali. Io che cammino scalza, che a malapena tollero le hawaianas, che tra poco dovrò stringere lacci, tirar su cerniere, infilare bottoni negli occhielli, e smanio già da ora.
Io che considero l'auto una scatola per andare dove mi serve (e sia chiaro, mica vado fiera della mia incuranza...mi sforzo pure a corrente alterna) e la parrucchiera una penosa costrizione (prorogabile se e quando posso agire da sola), fatico un mondo a stare nei "si dovrebbe". E più passano gli anni, più fatico. Più ne sto fuori e più fatico.
Così ho mollato lì code e messeinpiega e commenti sull'umidità dell'aria. Sono andata qui.


Ho bevuto un buon rosso, mangiato pane e mortadella, chiacchierato, ed era già ora di cena.
Ho sciolto pure i capelli, che l'elastico mi tirava un poco.

martedì 27 settembre 2016

Bottini

Vado matta per i bottini. C'è quel ricordo di passeggiate con la mamma, che piena d'entusiasmo svelava gelsi, susini, meli e assaggiava gaudente, offrendomi sul palmo della mano tesori caldi di sole, che io rifiutavo schifata (ma è sporco! e se ci sono insetti? e se ti vede il contadino?).
Mi vergognavo, quasi.
E siccome tutto torna, eccomi a replicare. Trepidante alzo gli occhi ai rami, mi guardo attorno, mi allungo, tasto e colgo. Se posso, addento subito.
Esiste qualcosa di più bello? 

Così oggi si voleva cucire assieme un cammino e una raccolta. Boschi profumati e lucide castagne.
Faceva caldo, e la fatica del salire era quella di giugno.
I ricci verdi custodivano frutti ancora minuscoli, striati di chiaro. Forse troppo presto. Ma il profumo dei ciclamini mi ha fatta sveglia, lesta.


L'autunno è già tutto qui, basta scostare una foglia (gran sospiro). E' ghiande brillanti, è nocciole tenere, è albe scure.


Alla fine ecco un pianoro a vigneti, odore di mosto che gira la testa. Si inseguono i tralci, come serpenti giallo verdi sulla china del colle, si tace.
Appena più il alto mani capaci e premurose hanno fatto spazio agli orti, agli alberi da frutto, hanno potato e pulito e protetto.




Ho rubato una pera ruggine e granulosa, l'ho messa nello zaino. La mela invece l'ho mangiata, era tiepida, la buccia spessa, stringeva in bocca.
E in questo giardino del paradiso ho dormito per terra, ascoltando ronzare di voli.

Così prima di scendere ci siamo detti che per le castagne tocca aspettare ottobre. Ma tornare a mani vuote, no. Sia mai.



martedì 20 settembre 2016

Post scompost


Ho sognato che Lillo e Greg si autoinvitavano a cena proprio la sera in cui preparavo la pizza. Ho accettato un po' a malincuore, temevo mi facessero le ore piccole sul divano.

C'è qualcosa che ho smesso di sentire, sono più leggera. Non saprei dire cos'è. Una specie di paura, forse un'apprensione, o un fremito interno.
Non so neppure se sia un bene in realtà, ma in sostanza sto meglio: meno onde = meno marosi.

Sono andata a ritirare un timbro che avevo ordinato e il tipo del negozio (noto ai più come uno showman mancato) ha messo su un siparietto di tutto rispetto. Attraversando il negozio da sud a nord con passo marziale ha esclamato enfatico: "Gioia mia, luce dei miei occhi, credevo non tornassi più, temevo mi avessi lasciato!", con gran divertimento degli astanti.
Ebbene sono diventata viola. Ma si può?

Giorni fa, in modo assolutamente accidentale e al di fuori della mia volontà (anzi, se ne avessi avuto sentore avrei fatto di tutto per esimermi) mi sono trovata fra le mani un pezzo di vita altrui. Un pezzo intimo, un frammento che per pudore ho immediatamente allontanato, come bruciasse.
Ma inevitabilmente, di colpo sono stata catapultata dentro una vertigine, in qualcosa che non mi apparteneva, ma che dentro sbatteva ovunque.
Ci ho messo un po' a liberarmene. Della vergogna (irrazionale, perchè nulla andavo cercando), e del disequilibrio che ci dà guardare dentro, attraverso il buco della serratura.







mercoledì 14 settembre 2016

Struzzi


Alle dieci di sera ho aperto in modo selvaggio un pacco di tortellini. Ricotta e spinaci, per essere precisi. L'ho aperta e mi sono mangiata quattro tortelli crudi e freddi, in piedi davanti al frigo spalancato.
Non é buon segno. Di solito gesti come questo annunciano l'arrivo del ciclone mensile o evidenziano una condizione generalizzata di stanchezza/tensione/irrequietezza.
Direi la prima.
E pure la seconda, a ben pensarci.
E' che non capisco, non mi spiego le cose.
Non riesco a capacitarmi di come, chi ti ha voluto bene e ti ha apprezzato e ti ha trovato amabile, di colpo - certo, a fronte di un tuo gesto - possa cambiare registro. Provando non solo fastidio nei tuoi confronti, ma addirittura temendoti come la peste. Togliendoti il saluto, dicendo di te le peggio nefandezze, trattandoti senza alcun rispetto e pure a suo vantaggio.
Ora, sia chiaro, non sono una vittima. Ho fatto le mie cagate spaziali, ho agito in modo inconsulto, ho capovolto e rovesciato. Però ero sempre io. Ero io in evoluzione, io che correvo avanti, io e basta.
Come dire. Se qualcuno che profondamente conosciamo e profondamente accogliamo nella sua interezza, d'un tratto agisce in modo inatteso, tocca porsi alcune domande: 
- inatteso per chi? 
- rispetto a quali attese? 
- davvero accoglievo proprio tutto? 
- o lasciavo in ombra ciò che mi disturbava vedere? 
Perchè siam fatti così, dipingiamo l'altro per come lo vorremmo. per quanto ci rispecchia, lo vogliamo calzante, salvo poi dire scuotendo la testa (non appena esercita il potere di essere se stesso) "mi hai deluso".
Vorrei solo dire, a chi si erge giudice e per comodità (ancora, ancora per fare lo struzzo, ancora per non confrontarsi ed infine, frugarsi dentro) cancella un altro dalla sua vita marchiandolo col bollino rosso:

Ma tu, amavi?

sabato 10 settembre 2016

Ehi, non è ancora finita l'estate. Sia chiaro.

E allora gli ho detto arrivederci.
Al mio mare. Che per l'occasione si era fatto lustro, tirato a festa proprio.
"Sei bello mare", gli ho detto".
"Anche tu", mi ha risposto.
Parole semplici tra noi.
A fine giornata si è mangiato il pesce, buono da leccarsi le dita.
Che ero praticamente sotto casa di Ala e non ho avuto neanche modo di offrirle un taglio di vino. Voi però non diteglielo.
Pare si compissero gli anni, non so di preciso. Pare che a qualcuno andasse di festeggiare in laguna.
Infine si menziona una pioggia di bei pensieri e dolci telefonate d'auguri.
Poi basta, finisce così.



lunedì 5 settembre 2016

Una donna



Non succede due volte di essere amato con l'intensità di una missione.
Non succede a molti di noi neanche una volta.
(La Natura Esposta, Erri De Luca)

Conosco una donna che ha superato la settantina. Che si occupa di una madre bambina e dei suoi bambini cresciuti. Che si fa carico delle altrui pene, dimenticando per un'ora le sue. 
Questa donna dagli occhi belli ha sempre creduto nella gente: alla fine anche il più sordo ascolta, capisce, cambia. Si immagina perfino che l'uomo con cui si corica, un mattino al risveglio possa dirle sorridendo "non bevo più, ho smesso". Che tutte le promesse diventino roba che si tocca, si assaggia, si posa. Roba con cui scaldarsi.
Nell'attesa ci va lei da sola, agli alcolisti anonimi, dopo aver portato una fetta di torta alla sua mamma, dopo averle lasciato un bacio sulla fronte. Ci va per ascoltare, perchè ascoltando si impara tanto, si lima un po' il tormento, si riempiono gli spazi degli abbracci mancati.

Nessun uomo mai farebbe ciò che lei fa con leggerezza di farfalla e cuore ballerino. 
E non parlatemi di maschi cacciatori, di femmine che alimentano fuochi e di cazzate sul DNA delle scimmie. Io me ne fotto,
Che mi si conceda di somigliarle almeno un poco, di camminare qualche volta lievemente, come lei sa.


venerdì 2 settembre 2016

Giorni




Sono giorni intensi, lunghi e ristretti.
Giorni che fatico a spiegare, forse, giorni in cui il sangue sembra esser più denso e la grancassa del cuore segnare un ritmo lento, ma compatto, sonante.
Come se le caviglie fossero più salde, come se non m'importasse più dei moti, delle correnti, dei refoli. Di rimanere sempre vigile, e protesa.
Magari entro nell'età adulta, che era ora.
Magari passa, e domani torno a caccia di farfalle. Chissà.
Ora lascio che sia.

lunedì 22 agosto 2016

Granelli e spazi

Da qualche giorno m'è partito il conto alla rovescia. Guai se lo sanno le colleghe, è solo il ventidue di agosto.
Così ho cominciato con la programmazione, che se la fai bene sei a metà dell'opera. Solo che al solito, ho messo troppa carne al fuoco e adesso mi tocca sfrondare. Lo dicevo pure all'insegnante new entry: poco, ben fatto e senza paura. Che poi si ricalibra e sono loro a dirti cosa vogliono, a mostrarti la strada.
Ho voglia di entrare in aula, di vedere i bambini, di ascoltarli. Del contorno, non ho affatto voglia.

La fatica esiste eccome, a me facile non viene nulla. L'ho sentita tutta nelle cosce, nei polpacci, e pure nelle spalle, anche se lo zaino pesava poco e niente. Che mi pare sempre di essere proprio al limite, invece poi guardo su e vado, con una forza nuova che arriva da chissà dove. E ogni momento mi fermerei a toccare, a scattare una foto, a buttar giù un appunto. Ma più ti fermi più è difficile riprendere il cammino.
Non arrivare alla meta, sia una sella, un rifugio o una vetta, lascia l'amaro in bocca. La meta, dà poi corpo ad ogni passo, snello o rotondo, ad ogni respiro, lieve o profondo.


Quando sono arrivata su ho azzerato ogni cosa. Sull'erba ho mangiato il pane, il formaggio, mi sono raccolta per riposare. Un'australopiteca muta, affamata, più scimmia che donna.

Cercando qualcosa da leggere nella libreria rossa ho trovato la Merini. Lui ci aveva messo dentro un segnalibro, come se quella pagina avesse importanza, come a ricordare. Magari era messo a caso, non importa. Ma mi è sembrato che lo stesso, quel segno volesse dirmi qualcosa.

Spazio spazio io voglio, tanto spazio 
per dolcissima muovermi ferita; voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso della divina sapienza. 

Ecco io questa meravigliosa poesia potrei rovesciarla. Potrei voltarla da sotto a sopra e riscriverla trovando il contrario di ogni parola. 
Sono fatta così, di cose piccole, di granelli, di passi da formica.

martedì 16 agosto 2016

Di perdite, di certezze


Il mio incubo ricorrente non ha trama, non ha storia. E' una percezione, che scava non so dove, non so come, ma scava a sangue.
Uno sguardo riempie l'inquadratura. A chi appartenga è relativo, ma so con certezza che è per me di vitale importanza. Questo sguardo mi ha molto amata, mi ha tenuta e carezzata, pieno di indulgenza e di premure. E' stato mio, gli sono appartenuta.
Ora però sfugge, mi sfiora appena, pare altrove. Provo a fermarlo su di me, a catturarlo, a riprendere quella dolcezza. Ehi sono qui, guarda, mi vedi? Ti sorrido, volteggio al sole, per te.
Ma ecco che si volge altrove, ritrova la stessa grazia che aveva riservato a me, ad altri occhi che non sono i miei.
Mi sveglio senza fiato, senza forze, tremante.

In gelateria incontro una mamma, presente alla conferenza della scorsa estate. Conosce il Montessori, si batte per averlo qui in zona. Racconta che anche il suo bimbo mi ha vista quel giorno, seduta al tavolo dei relatori, emozionata come non mai. Mi dice che appena si è accomodato in sala, ha osservato attento lo schieramento di sconosciuti insegnanti e formatori che si apprestavano a prendere la parola. Poi, puntando deciso l'indice su di me, ha esclamato: "mamma, quella maestra lì voglio io".

In mezzo al bosco mi è capitato di nuovo. Tutta la storia dell'aura, che si accendono mille lucine, poi non vedo più nulla, solo un mare iridescente, e mi sento debolissima. Dicono che è una forma di emicrania, una risposta stellare ad un banale rilascio di sostanze chimiche attorno alle mie meningi.
Di solito però mi spaventavo, perdevo il controllo, perchè nella percezione soggettiva questa cosa è infinitamente lunga, articolata e invalidante. Anche se dura una decina di minuti.
Questa volta l'ho accolta e basta. Mi sono distesa sul manto di foglie secche, ho lasciato arrivasse e andasse respirando il profumo di terra e legni. 
Mi è sembrato che niente ci fosse da perdere, che tutto ciò che davvero importava era lì sopra di me, sotto di me.

giovedì 11 agosto 2016

Morbide stelle


Sciame meteoritico previsto per stanotte. Non voglio mancare, non me le perdo da diversi anni.
L'altra sera ci abbiamo provato, ma è arrivato il temporale. 
Eravamo in tanti, su per il sentiero con gli zaini in spalla, il sole che scendeva e le chiacchiere dei bambini mai zitti un attimo, tanta era l'attesa. E il prato, i profumi, le cose buone tutte sul tavolo, che non si sapeva da dove iniziare. Le mie persone, i gesti che conosco, una ricetta al volo, le bambine che volevano una canzone.
Din din din fa il campanellino.
Ancora Gioia.
I pirati ballano sul ponte delle navi.
Ancora. 
Ma che nuvoloni, arriverà mica la pioggia?
E raccattare tutto al volo, accendere le torce che ha fatto buio, le gambe piccole e le gambe grandi in tanti coni di luce, i primi goccioloni e l'odore inconfondibile della terra bagnata. La mia estate.

Guardavo gli amici, guardavo noi. Pensavo che ci sono persone morbide, abbandonate, e persone che mantengono un loro controllo sulle cose. Forse chi può lasciarsi andare ha scambiato molte parole con se stesso, è indulgente con le sue pecche, sa di essere mancante, un po' offeso, ma si piace abbastanza. E lo dice, con la sua morbidezza: sappiate che non sono invincibile, integro, giusto. Sono solo io.

mercoledì 3 agosto 2016

Intera

Un tuffo a bomba nel mare gelato, che sali su in un attimo, con un guizzo di cosce, e spalanchi la bocca.
Praga questo è stata. 
La scelta di non bagnarmi nel flusso umano – auto in corsa, corpi, puzza  – mi faceva credere che non sarei più stata capace di confondermi fra altre facce, gambe, voci. Invece no, so ancora farlo e scopro che a dosi piccole mi procura un certo godimento.
Quel perdersi, divenire nessuno, che nel tempo del turbamento mi pareva doloroso e inaccettabile, ora si ammanta di interesse. Sono nessuno, nessuno, per qualche giorno non ho nome, titolo, ruolo, posizione. Una in mezzo a tanti, piedi fra i piedi. Razza umana.
Adesso, che ho fatto della mia pelle un confine, adesso che so essere una, posso farlo. 
Così mi è piaciuto stare nella piazza colma, e respirare tutte le vite e le storie che potevo tenere in  un fiato. Mi è piaciuto stringermi, lasciarmi sfiorare dai suoni, vuoti, accarezzare dagli odori, pieni. Che c’erano due donne anziane mano nella mano. Una sposa asiatica con l’ombrello bianco, in posa per la foto. Il suonatore di sitar, una pingue signora a caccia di Pokemon, quel ragazzo sulla metro, immobile, occhi da sterminatore del gulag.
E io ero lì, in ognuna di queste cose, a pezzi. Ma intera, come non mai.

domenica 24 luglio 2016

Cose matte

L'altra sera siamo andati in Sella, a scattare qualche foto. Cercavamo un alito fresco, verde chiaro, silenzio. Il posto (di cui vi ho già parlato) è questo:


Dunque arriviamo in cima verso sera, e nonostante quel pianoro sia un luogo di venti e brezze, l'aria è ancora spessa, calda. Ci sistemiamo di fronte alla chiesetta, poco distanti da un terzetto di giovani donne sedute su un plaid. Intorno, tutto si dispiega come in un bellissimo libro illustrato le cui immagini saltano su quando volti pagina: pop, il monte, pop, le nuvole, pop il prato fiorito.
E' raro trovare lassù qualcuno che non sia in transito. Di solito si incrociano camminatori, gente che fa la sua corsa, o che passa per raggiungere altri sentieri.
Insomma, nell'assenza assoluta di suoni, le tre chiacchierano amabilmente. Anzi, a dire il vero, una di loro parla a raffica e alle altre non resta che annuire.
Parla, parla, parla. Di quello che le fa il filo, dell'altro che non le dà tregua, dei consensi che ovunque miete. Parla a voce piuttosto alta e con "esse" sibilante, così volente o nolente siamo costretti ad ascoltare. La osservo, non mi riesce facile attribuirle un'età. Direi intorno ai vent'anni, ma le altre paiono più grandi. E' molto carina, faccino pulito da catechista.
Zì, inzomma, quando abbiamo finito all'oratorio zono andata a prendere Paola...
Ecco, mi sembrava. 
Intesse quindi un discorso articolato sulla sua bellissima zpontaneità, sul suo cuore aperto e i suoi modi schietti. E per rendere ognuno di noi davvero partecipe, per dare prova che le sue parole sono fondate, entra nel vivo, esemplifica.
Io zono fatta così, mi piacciono le "cose matte" (sic). L'altra zera ho detto alla mia amica che potevamo trovarci fuori invece che a caza, magari prenderci una birretta e portarla al parchetto, berla su una panchina! Zono fatta cozì io, mi piacciono le coze diverze, le "idee matte" (sic). 
Ride soddisfatta, attende un plauso. Aggiunge poi che lei si sente ancora così giovane, nonostante abbia già trent'anni e sua mamma non smetta di ripeterle che sarebbe ora di finirla con queste cose matte.
Certo che quella di portarsi una birra al parco e berla su una panchina, a trent'anni, è l'idea più balzana che si possa avere. Impensabile. Rompe gli schemi.
Faccio in tempo prima di scendere, a sentire l'ennesima cosa matta di questa pazzerella divergente e imprevedibile.
Le piace uno, ma questo è impegnato e blindatissimo. Sono soltanto amici, ma nella vita non si sa mai. Così lei spesso lo chiama per invitarlo a fare quattro passi, due chiacchiere. E l'ultima volta ha voluto davvero sorprenderlo con una cosa matta delle sue. Allora gli ha acceso delle piccole candele sul luogo dell'appuntamento, mettendo un bigliettino a fianco di ogni candela. Strano a dirsi, lui è arrivato e si è precipitato a spegnere tutte le candele come meglio poteva, accartocciando i bigliettini in tasca senza nemmeno leggerli. Pare le abbia detto sconvolto: "ma sei matta?".
Però gliel'ho visto in faccia che la zorpreza gli era piaciuta. Zolo che non è abituato alle coze matte.

lunedì 18 luglio 2016

Possedere


L'altra notte ha avuto un incubo. Piangeva nel sonno, si lamentava, si girava da una parte all'altra.
Allora l'ho svegliato piano, con attenzione e parole lievi.
"Ci avevano svaligiato la casa...siamo entrati e non c'era più niente, niente". Così ha detto, appena ha aperto gli occhi, appena ha capito che tutto stava ancora al suo posto.
Ci ho messo un bel po' a riprendere sonno. Perché pensavo che al di là del senso di violazione, di quel brutto sentire che viene se qualcuno profana il tuo spazio, io non perderei nulla.
Non ho gioielli.
Non ho preziosi.
Non ho oggetti dal valore riconosciuto.
Non ho un'auto degna di essere rubata.
Ho quattro supporti tecnologici e mediali superatissimi che un ladro schiferebbe.
Possiedo metà di una casa che non occupo, e i pochi risparmi sono tutti lì,
Difficile mi dicevo, nell'arco di una vita, non aver investito economicamente in qualcosa di importante, non aver vincolato il proprio denaro ad un pezzo forte, agognato, desiderato, ed infine fatto proprio.
Significa forse che non ho velleità, sogni, scopi?
Mi sono detta che forse è anche buona quest'assenza di legami con le cose materiali, che a conti fatti, non ho nulla di superfluo che si è fatto essenziale, quindi posso permettermi di "perdere".
Ma ho anche capito che le mie velleità, i miei sogni, i miei scopi, sono sempre stati legati alle esperienze, al costruire scenari utilizzando tutti i colori, al cucire un po' di bellezza intorno. Per me, per chi amo, perchè mi è sempre parso questo il senso di tutto. Allora nel sugo al pomodoro ci metto anche le olive e se faccio l'amore accendo una candela e una sera ballo, se c'è da ballare. 
Che le olive costano due euro, la candela è in offerta all'Ikea e i piedi ballano da soli, quando c'è la musica giusta, leggeri e flessuosi.

P.S. Mi scuso anticipatamente per la monotonia del tema che ultimamente domina. Ma è così: quando giro intorno ad un pensiero ci affondo e ci riaffondo finchè non faccio un pelo di luce. 

giovedì 14 luglio 2016

Cannucce


Stamattina riordinando lo sgabuzzino ho trovato queste cannucce colorate. Comperate al mare per costruire una lanterna, che doveva volare e non volò, la cui luce tremula illuminò mani e sorrisi di una notte scalza e salmastra. Da tre anni sono lì, non le ho più usate.
Il primo pensiero è stato di inventare qualcosa, di metterle assieme con un senso, in questa giornata piovosa e grigina. Ecco, io non ho pensato di assemblare una cosa e basta, una cosa che piacesse a me e nulla di più. Ho pensato a farne un dono.
Ma perché? Perché le mie cazzo di azioni devono sempre contenere una cazzo di intenzione? Uno slancio, un fremito, un segno di me? Perché il mio fare sta indissolubilmente legato al dare?

E mentre me ne stavo lì, con le cannucce in mano, mi è venuta in mente la storiella della pipì. A me pare di ricordarla, ma è poco plausibile. Probabilmente mi è stata raccontata così tante volte, che alla fine sembra mia, quella memoria.
Avevo due anni, aspettavo piena di emozione l'arrivo della nonna da Udine. Quando finalmente entrò in casa, carica di pacchetti e bagagli e allegria, io non stavo più nella pelle. Mi allontanai in gran fretta, senza neanche salutarla e poco dopo riemersi con il vasetto della pipì colmo tra le mani. Tronfia e sorridente lo alzai verso la nonna. Ecco nonna, vedi? E' per te. L'ho fatto io, sono io, guarda che dono di me. 

Qualche volta afferro le cose belle e minute, le allargo e le illumino, le faccio grandi, me le ficco in bocca, me le caccio dentro, lascio che si gonfino e occupino tutto lo spazio. E' come se fosse una questione meramente fisica: solo appagato e pieno il mio corpo trova pace, dimentica i vuoti. 
A riempirlo sono le parole, le connessioni colte al volo fra gesti e intenzioni, gli abbracci, i languori, qualcosa che pulsa e vive, la presenza.
Con le cannucce in mano mi son detta che non so fare regali a Gioia, e questo mi è parso davvero molto triste.

lunedì 11 luglio 2016

Stato civile


Dalla scorsa settimana sono ufficialmente una divorziata.
Non che questo cambi la sostanza, le dinamiche, le prospettive. Tutto identico a prima.
Aggiungo che mai, in questi tre anni ho pensato che poteva andare diversamente, che avremmo dovuto provarci creativamente, che ci fossero alternative. Anzi, più riguardo quello che ci è accaduto, più mi sento di dire che la direzione, chiara e lampeggiante, era scritta da tempo.
Mi dispiace che non siamo più stati in grado di trovare un modo per stare serenamente uno alla presenza dell'altro. All'inizio la rabbia, il non detto, il dolore, attraversavano lo spazio tra noi come frecce incandescenti. Si resisteva pochi minuti, quelli necessari a comunicare l'indispensabile.
Siamo poi passati ad impacciato riguardo e ragguardevole distanza, incapaci di pescare al registro comune, al sacco delle cose conosciute, condivise, dei ricordi, del lessico familiare. 
L'appuntamento in tribunale era alle 9.30, ma appena siamo arrivati ci è stato chiaro che almeno altre venti coppie erano state convocate al medesimo orario. Nell'attesa, tutti gli avvocati presenti - riconoscibili in modo imbarazzante - si sono affrettati ad estrarre da pochette e taschini i loro lussuosissimi smartphone per dedicarsi ad infinite e gesticolanti conversazioni telefoniche lungo i corridoi. Abbandonandoci tutti lì, ai nostri impacci.
Si è cercato qualcosa di neutro da dire, qualcosa che non aprisse finestre sbagliate. I figli, il lavoro, le vacanze, il caldo. Osservavo le altre coppie, ed era facile intuire come si fossero lasciati. Umanamente, dolorosamente, consensualmente. Alcuni non si sono mai rivolti la parola, altri avevano con sè i figli, e chiacchieravano allegri come fossero famiglia. Anche scollati, anche distanti, avrei saputo congiungerli fra loro come nel gioco dei puntini: A va con F, C va con G, B va con E. Perchè si capisce dagli occhi, dai gesti, dal modo di vestire, che due hanno condiviso tanta vita, e quel che resta della coppia che erano, ce l'hanno ancora addosso.
Alla fine siamo stati bravi, avrei voluto dirglielo quando l'ho salutato sotto il portico del tribunale. Perchè ci è riuscito pure di ridere, e gli ho offerto una caramella porgendogli il pacchetto senza dire "vuoi?", e bevendo il caffè mi ha passato la bustina dello zucchero di canna, che al bar io metto quello. Siamo stati bravi, perchè di noi dicevano "a loro non capiterà mai", invece capita, anche se una settimana prima che esploda tutto sei lì a preparare la colazione insieme e fai un sorriso e ricevi una carezza. Che credi sia Amore, invece è amore - facile confonderli, suonano uguale - e nessuno dei due mente mentre dice "ti amo", è solo che non sa.
Ma non gliel'ho detto. L'ho guardato salire sulla bicicletta, poi ho girato l'angolo.

domenica 3 luglio 2016

Athletic me


Non so perché, ma trovo buffissime le mie foto in versione dinamico-sportiva.
Ci ho provato con la tuta da fondo: tenuta regolamentare, giacchino snello, fascia celeste in testa e coda alta, come le vere. Una silura altissima nella distesa bianca, una specie di corpo estraneo nel freddo profilo del nord.
E se arrampicare mi piace così tanto, se tutto quel tastare lieve, quel carezzare la pietra, mi sembra di una struggente bellezza, immortalata nel gesto di salire, paio una pin-up nell'atto di fare "miao". Gli arrampicatori sono esili, minuti, io prendo sempre troppo spazio. Tette, gambe, roba.
L'altro giorno, al termine di una meravigliosa escursione in bicicletta, sono stata ritratta in sella al mio mezzo. Ero ben disposta, col sorriso grintoso e tutto, ma quando mi son rivista ho provato infinito sconforto. Che sportiva sarebbe una che diventa così rossa in faccia dopo qualche chilometro di corsa, che mantiene una posa lieve e salottiera anche spingendo energicamente sui pedali? 
E lasciamo perdere tutto il resto. Le mie reazioni claustrofobiche nei confronti del casco (prude), dei pantaloncini da ciclismo (stringono), degli occhiali protettivi (fanno caldo), dell'imbrago da arrampicata (non respiro). 
Considerando che:
1) da bambina mi avviarono a diversi sport con esiti a dir poco catastrofici;
2) l'unica attività della quale mi infatuai con tanto di farfalle allo stomaco fu il pattinaggio;
3) dopo svariati allenamenti e piroettanti toe-loop frutto di innumerevoli cadute, l'allenatrice mi chiese la cortesia di non esibirmi al saggio, in quanto superavo di un paio di teste tutte le altre bambine e la coreografia ne avrebbe risentito;
4) avevo nove anni:
...ci vuole tanta, tanta pazienza.


mercoledì 29 giugno 2016

Abbastanza lontano per

Sono marina, non c'è niente da dire.
E' verissimo, i monti mi piacciono da matti, ma tutto sta nel fatto che i monti erano fondali marini, prima prima prima.
Quando arrivo al mare il mio corpo torna alle origini: anche i capelli diventano giallo stoppa e si ribellano al pettine, tentacoli serpeggianti di medusa. Mi piace lasciarmi il sale addosso, più che posso, e mentre leggo su uno scoglio, assaggiarmi la pelle.
Mangiare una pesca facendo scolare il succo fra le dita, intagliare legni, cacciare sassi, viaggiare scalza.
Purtroppo la funzione "pensiero" rimane sempre piuttosto vigile, ma col passare dei giorni pare farsi meno inflessibile.
Insomma amici non so. Se torno.

giovedì 23 giugno 2016

Confetti



Mi facevo leggere Pinocchio, serialmente, Anticipavo col labiale ogni dialogo, ogni battuta. Quando il nonno spegneva la luce e mi dava la buonanotte, nell'aria aleggiavano immagini, parole.
Confetti al rosolio, per esempio: li sognavo di notte. Non ne avevo mai visto uno, ma li immaginavo candidi, con la glassa zuccherina e croccante, il ripieno tiepido e profumato.
Ecco, in questi ultimi giorni ho gustato alcune gioie piccole e rotonde che a pensarci, mi paiono rigeneranti e deliziose come i confetti della Fata Turchina.

Confetto 1
Torno da un breve giro in bicicletta. Bici nuova, moltissimo stratosferica per una che frena in discesa, si gratta il naso mentre pedala. e chiama i rapporti "i cambi di destra" e "i cambi di sinistra".
Insomma me ne torno un po' sfrecciando e un po' lemme, senza regolarità alcuna, lungo una strada secondaria e bellissima immersa nel verde, che qui e là si affaccia sul torrente azzurro.
Mi viene incontro una figura scura, che da lontano non so riconoscere. Quando mi raggiunge, vedo che si tratta di una donna di colore avvolta in un drappo verde, che - nonostante una certa mole - avanza lesta e sciolta, impugnando un lungo bastone da cammino. Incrociandomi apre un sorriso bianco e vasto, e dice "ciao" con la voce più rassicurante e melodiosa mai sentita.
Ma da dove spunta questa meraviglia?

Confetto 2
Durante la festa di fine anno i genitori hanno allestito in cortile un ricco buffet.
Uno degli alunni piccoli, quattro anni, emerge dalla selva di gambe e si avvicina. 
"Vorrei una fetta di torta al cioccolato maestra, ma non vedo dov'è", dice guardando avvilito la folla ammassata attorno ai tavoli. 
Intercetto uno dei miei, classe terza, gli faccio cenno.
"Accompagneresti M. a prendersi una fetta di torta per favore?", chiedo.
Osservo. Il grande prende la mano al piccolo, si fa strada. Giunto al tavolo dei dolci si infila repentino fra i corpi e recupera il bottino. Poi ecco, sorride trionfalmente al piccolo e con gesto cavalleresco e pieno di cura si inginocchia e gli porge la fetta di torta posata sulle mani aperte, avvolta in un tovagliolo.
Mi sono sentita così fiera.

Confetto 3
Ieri siamo andati per boschi, boschi selvaggi e puri, poco attraversati. Il sentiero saliva abbastanza ripido, e io, nonostante la gran voglia di cime, picchi, rocce e visioni panoramiche, arrancavo un po'. Sarà stato il primo caldo, o lo stress accumulato nelle ultime settimane (credo che sarei capace di rimanere a letto per tre giorni consecutivi), ma ad un tratto l'erba fresca - che aveva preso accordi con la pizzetta posta sul fondo dello zaino - mi chiamava a gran voce. Un simpatico coro di sirene.
Così mi sono fermata da sola, ho appoggiato la schiena contro un albero e sono rimasta lì, nel silenzio assoluto.
Ad un tratto mi è parso di sentire un soffio, uno sbuffo, un suono anomalo alle mie spalle. Così mi sono voltata cauta, lentamente: ad un metro di distanza, in una chiazza di sole, stava un capriolo dorato, tutto occhi e orecchie, Ci siamo guardati, un attimo.
Poi, spaventato, è scomparso nella boscaglia con quattro salti lievi.

mercoledì 15 giugno 2016

Amata


Questo biglietto, scovato tra foto e ricordi, lo scrissi al compagno di mamma, attuale marito. Avevo più o meno quindici anni e gli raccomandavo un buon uso della nostra vita. 
Siamo andati a Trieste, da troppo tempo non vedevo la mamma, e la nonna. 
In ospizio l'aria era irrespirabile e ho di nuovo assistito all'angosciante sfilata dei vecchini accompagnati in bagno, prima di cena. Li piazzano in corridoio, e poi sul water uno alla volta, serialmente. Se per caso avevano bisogno mezz'ora prima, ciccia. Se al momento non hanno affatto bisogno, via lo stesso.
La nonna - camicetta bianca, collana di perle, golfino nero - se ne stava nei pressi dei finestroni e chiacchierava. Non so come, pare sfuggirle lo strazio intorno.
Ci ha fatto una gran festa, esibendoci come trofei.
Frasi rigeneranti del tipo: "finalmente un po' di gioventù", "buonasera signorina", o "arrivederci ragazzi", mi è dato di sentirle solo in occasioni come questa, e tesaurizzo.
Ha parlato, poi ha parlato. Infine ha parlato e parlato. Noi ascoltavamo senza interrompere e io, che conosco ogni sua storia, aggiungevo i dettagli persi, come in un gioco ad incastri. Lui attento, curioso, stupito da tanto brillante dire e ricordare.
Quando una delle inservienti si è avvicinata a ricordaci che era ora di cena, nonna ha chiesto cinque minuti supplementari. Partendo alla larga, ma non troppo, ci ha tenuto a definire alcune cose.
"Gioia è la nostra meraviglia", gli ha detto sorridendo, "e ci fa stare tutti bene. Tu mi sembri un bravo ragazzo, ma sappi che se non la tratterai come si merita, dovrai vedertela con me".
E io mi son detta che finché sono "nipote", oltre che "figlia", ci sarà sempre una bambina dai grandi occhi, dentro di me.

mercoledì 8 giugno 2016

I wish


Insegno per scelta in una scuola in cui si riconoscono e si nutrono i talenti individuali. Sei bravo in matematica, ti destreggi con il calcolo e maneggi i decimali come fossero caramelle? Allora in seconda potrai fare la radice quadrata. Sei uno scrittore in erba? Ti sarà data la possibilità di uscire dal testo stereotipato e infantile, di incontrare i grandi "autori", di produrre racconti, trame, storie. Magari anche un libro autoprodotto che potrai leggere ai compagni.
Ho sempre pensato che questo valorizzare l'individuo dovesse andare a braccetto con una consapevolezza dei limiti, con un'attenzione rispettosa dell'altro e di quanto ci sta intorno.
Come dire, riconosco la tua genialità e la tua bellezza, ma sappi che non esisti solo tu, che vivi calato in una realtà fatta di altre individualità (umane e non) degne di altrettanto stupore e ascolto.

Ma qualcosa non torna. Porti i bambini al museo e mentre un addetto illustra con passione ed entusiasmo gli oggetti presenti nella stanza, li osservi. Uno sbadiglia. L'altro pone domande complesse, troppo complesse, così complesse da essere insensate, fuori luogo (ma cosa vorrà dimostrare?). Uno interrompe, fa rumore, come a cercare sguardi. L'ultima, alla quale faccio segno di tirar giù la scarpa da una sedia antica, mi chiede col labiale "ma perchè??", senza dare cenno di aver compreso il mio gesto eloquente.
Sono tornata a casa con la testa piena di domande. Dove si sbaglia? Perchè faticano a decentrarsi, a cogliere quanto ruota, respira, si muove, intorno a loro?

Poche ore dopo, attendo il mio turno nella sala d'aspetto del dentista. Scrivo un messaggio alla collega-sister.
Sono avvilita amica. Oggi ho le mani vuote.
Qualcuno occupa la sedia a fianco.
"Ciao".
Lo guardo distratta. Ne stimo l'età al volo: sette e mezzo.
"Ciao", rispondo.
"Come ti chiami?", mi chiede.
"Gioia. E tu?"
Si chiama Marco, probabilmente dovrà mettere l'apparecchio. La mamma e il papà stanno facendo richiesta per il finanziamento. Dice che sono operai, e lavorano sempre. Racconta che la sua mamma sceglie per lui sempre le cose migliori. Per esempio ha deciso di non mandarlo a scuola in paese, perché lì c'è una maestra che si fa le unghie in classe, e con le stesse forbicine poi taglia il sacchetto delle caramelle che distribuisce ai bambini. Ridono gli occhi rotondi dietro le lenti un po' spesse, mentre esclamo "orrore!".
Fa la seconda. Snocciola tutto quello che ha imparato quest'anno, orgoglioso.
"E le paroline capricciose? Non le avete fatte?", dico.
Mi squadra, mi misura, sorride. "Ma sei una maestra? Non sembra".
E' tra i più bravi, mi spiega, solo una volta è finito fuori dalla porta. Che se ti capita, devi stare fermo con la schiena poggiata al muro.
A questo cuor contento, tutto pare bello, desiderabile, degno di nota. E' curioso ma non invade, è interessato e  chiede con garbo,
Mi chiamano, devo andare, quasi mi dispiace.
"Ciao Marco. Grazie per la bella compagnia".

Marco ha poco. Dal poco nascono desideri, e i desideri muovono sogni, e i sogni richiedono mani lievi, parole composte, occhi accesi.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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