domenica 25 giugno 2017

Isole


Ci piace quest'isola secca e lunghina. Somiglia a un'elisione senza disciplina, a un segno meno tracciato con poca convinzione, a una luna sottile e bambina che gioca a fare il morto. 
Come sempre siamo partiti prestissimo e abbiamo fatto parecchia strada in macchina, svegli quanto basta per tenere gli occhi sulla strada. Che sei lì a chiederti: ma ho preso la crema solare?, e non ti capaciti di essere partito veramente. 
Poi succede che di botto, appena scendi sul molo e fai i biglietti per il traghetto, sei in vacanza. Sarà quel bianco che riflette ovunque il sole, o l'odore del catrame che confonde. E viene da fare una cosa vacanziera, tipo comperare una vaschetta di patate fritte anche se sono le nove del mattino, o annodarsi sul fianco un telo mare.
Pure le altre volte, nell'attesa, ci è piaciuto osservare la moltitudine in transito, le tante lingue nell'aria a cui far corrispondere mondi, volti, come nel gioco in cui tiri una riga da sinistra a destra. Questi sono francesi, non c'è dubbio. E questo? Con le gambe lunghissime e i sandali di cuoio?
In una delle poche chiazze d'ombra ci siamo passati una birra fresca, abbiamo infilato le mani in un cartoccio unto e profumatissimo. Poi la fila delle auto si è mossa, e ci siamo affrettati frugando nelle tasche alla ricerca dei biglietti, scordando la lattina sul marciapiede. Mi sono voltata per recuperarla, ma già un uomo si era avvicinato, guardandosi un poco intorno. L'ha raccolta, ha bevuto ad occhi chiusi, la mano sul fianco.
Sali sul traghetto tra i ragazzi nordici, coi musi biancolatte e gli zaini enormi, in mezzo alle facce dei locali spaccate dal sole, un poco ostili.
Se iddio vuole, nessuna traccia di italiani coi rayban a specchio.
Si siede poco distante uno strano trio, gente dell'est: fenotipi che da noi non si vedono più. Hanno addosso tutta la fatica di stare al mondo di quelli che sono venuti prima, segni inequivocabili. Fronte bassa, occhi piccoli e rapaci, gesti che non conoscono convenzioni. Lei pare una contadina ungherese, ha capelli corti che si direbbero regolati con le forbici da cucina. Ride buttando la testa indietro, spalanca la bocca.
Sono talmente stanca di questo guardare che dimentico la compostezza e mi addormento distesa sulla panca. 
L'isola ci viene incontro, ci apre le porte. E ha la voce roca, l'aria trasandata e la bellezza di sempre.

giovedì 15 giugno 2017

Fine anno, tempo di saluti e silenzi



Cambia scuola questo bambino che mi piace tanto. Devo aver commesso un atto grave per meritarmelo, ma nessuno ha avuto la voglia di mostrarmi l'inciampo. Se intendevano punirmi, hanno mirato bene.
E insomma questo bambino che si appresta a salutarmi, l'altro giorno mi confidava che le nuove maestre non gli paiono troppo simpatiche. Nè carine. Che sicuramente non faranno dei bei lavori. Io gli ho spettinato i capelli e ci è salito il magone. 
Tra noi c'è una sintonia rara, che si è fatta da sè con gli occhi, senza bisogno di dir nulla. Anime che si sono già incontrate, chissà come e quando, che si parlano.
Se c'era una fotocopia da fare, dei fogli da distribuire, se mi fermavo a sistemare l'aula o a riordinare i libri, lui era lì, affacendato, pronto a farsi carico di un'incombenza. Se leggevamo un racconto (e si sa, un'insegnante legge ai suoi bambini ciò che la emoziona, augurandosi di ispirare cotanti palpiti) lui sedeva in prima fila e tutto proteso rideva quando c'era da ridere, sospirava se c'era da sospirare. Pur essendo in seconda, aveva svolto il programma di terza, e tutto affrontava pieno di curiosità, passione, quesiti, proposte. Ha quella brama di fare e sapere che anima pochi, che non conosce pause o stanchezza.
L'avevo nominato Segretario Numero Uno e siccome il suo posto resterà vacante, gli ho proposto di passare il testimone.  Mi ha chiesto del tempo per riflettere e ieri è arrivato con una lettera, che ha voluto leggere ad alta voce.
Io ho scelto M. perchè conoscendolo dall'asilo già mi sembrava molto bravo. Adesso che è in terza è molto responsabile e anche un super amico, ma spero che nessuno si offenda perchè non è stato scelto.
M. si è proprio commosso e nel suo discorso da neo-eletto ha dichiarato di sentirsi addosso una grande responsabilità, ma che farà sicuramente del suo meglio. Si sono stretti la mano.
Ecco, io spero di averti insegnato a vedere, a stupirti, a dubitare e cercare risposte. Ti lascio queste parole, che mi paiono tanto belle e ti strizzo l'occhio come facevo sempre, incrociandoti nei corridoi.

Non esiste una cosa più poetica di un’altra. 
La poesia non è fuori, è dentro.
Cos’è la poesia? Non chiedermelo più, guardati allo specchio, la poesia sei tu.
Vestitele bene le poesie.
Cercate bene le parole, dovete sceglierle, a volte ci vogliono otto mesi per trovare una parola.
Scegliete, perchè la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere.


Buon viaggio, Segretario Numero Uno.

sabato 10 giugno 2017

Volevo una vita raminga

I bambini di seconda leggono un brano. Lei, biodina, sognante, alza la testa dal libro e mi guarda.
"Cosa significa circo maestra?"
No, non può essere. Non ho capito bene la domanda. Mi avvicino a lei, scandisco bene.
"Quale parolina non conosci, tesoro?" 
"Circo. Cosa vuol dire?"
Mi manca il fiato per un attimo, ma i compagni fanno subito a gara per rispondere e riempiono il mio silenzio.
Prendo dolorosamente atto dell'amara verità: esiste un bambino (uno solo? e se fossero tantissimi?) che non conosce il significato della parola CIRCO. Mi sembra una scoperta che ha a che fare con l'evoluzione, con la pluralità di rutilanti offerte attraverso le quali oggi passa l'infanzia, più o meno consapevolmente. Cosa sarà mai un circo al cospetto dell'animazione 3D sul megaschermo, dove tutto pare vero ma è ancor meglio che vero? O del videogioco in cui "sei tu il protagonista!", che basta fare un clic qui e via nell'iperspazio.

Quand'ero piccola il circo metteva su le tende nel piazzale davanti a casa. In quella periferia polverosa transitavano compagnie misere e scalcagnate. Ma ai miei occhi di bambina, era quella la prova tangibile che esisteva un mondo altro, più incantato e desiderabile del mio, in cui i sogni arditi che facevo avevano forma di piroette, ruggiti, cilindri e lepri bianche.
I carrozzoni sostavano per qualche settimana e i bambini circensi venivano scuola alla Domenico Rossetti. Stavano solo tra loro, non parlavano e non giocavano con nessuno di noi. Li guardavamo di taglio, sospettosi ma riverenti. 
Un paio di volte, e come grande concessione, la mamma mi portò allo spettacolo serale. Non so neanche dire il fremito, il turbamento, mentre si prendeva posto sulle panche di legno e le luci si spegnevano. Facevo appena in tempo a calmare il cuore che di colpo zac!: rullo di tamburi, parata degli artisti, clown con gigantesche scarpe e fiori all'occhiello da cui usciva acqua a profusione.
Ridevo, sospiravo, portavo le mani alla bocca per uno stupore o uno spavento. Ad ogni numero mutavo i miei progetti per il futuro. Sarò la ragazza bella e sorridente del lanciatore di coltelli. No, sarò l'acrobata a testa in giù. Anzi, sarò la contorsionista sinuosa chiusa nella cassa del tesoro.
Se il domatore di tigri, regale nella divisa rossa coi borroni dorati, avesse allungato una mano, con un balzo l'avrei raggiunto, pronta ad indossare i panni di una stella giramondo.

Non pensavo ai poveri leoni vinti, all'elefante stinto e triste, alle scimmie rabbiose che la notte dormivano stipate in una gabbia troppo piccola. 
Io vedevo finalmente farsi carne la poesia, quel velo iridescente e malinconico che stendevo ogni giorno sulle cose, per raccontarmele più belle.

sabato 3 giugno 2017

Evvai!

Insomma ho vinto.
Ho scritto un racconto di 9000 battute, a pezzi e nei ritagli di tempo. Che ogni volta dovevo ritrovare il filo, i colori, le voci dei miei beniamini, per metter giù due righe decenti.
L'ho letto e riletto. Smussato e corretto.
Poi ho compilato la domanda con tutti i miei dati, che andava scannerizzata e allegata. Bonifico on- line di dieci euro per le spese di segreteria (diffida di chi chiede più di venti euro, disse un mio insegnante) e via, inviato il malloppo.
Poi ho atteso. E loro mi han risposto che avevano ricevuto ogni cosa.
Ora, non mi importa che fino ad agosto non si saprà nulla, perchè io il mio personale concorso l'ho già vinto. Ho sempre scritto e raccolto montagne di file. Racconti smozzicati, incipit da Cavalcata delle Valchirie morti sul nascere, centinaia di inizi e storie spezzate.
Ti tuffi in preda all'enfasi, la forza di gravità fa il resto. Nuotare per raggiungerte la riva opposta però, richiede fatica, impegno, espone al fallimento.
Nelle poche occasioni in cui sono riuscita a chiudere il cerchio, c'era un traguardo obbligato: una scadenza, l'impegno di una consegna.
Questo concorso mi ha proprio stanata, non sto neanche a spiegare la serie di coincidenze. La storia è cresciuta dentro di me dal primo giorno e si è lasciata raccontare senza mai remare contro. 
Ma in realtà, conta che l'ho fatto perchè volevo farlo. Nessuno attendeva il mio racconto con la mano tesa, nessuno mi avrebbe tirato le orecchie se avessi fatto a meno di consegnare. E pure l'insieme delle formalità/adempimenti - deterrente e alibi personale assoluto - è andato via liscio come un bicchier d'acqua.
E insomma son qui a comunicarvi che ce l'ho fatta. Ho vinto.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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