Caro Babbo Natale, rieccomi.
L'ultima volta che ti scrissi avevo il 35 di piede, difficilmente al mattino mi pettinavo i capelli, detestavo i finocchi lessi e su di me incombeva la Sandra.
Ti chiesi gentilmente, ma con una certa determinazione, ti togliermela di torno. Anzi, di smaterializzarla proprio, rimettendo magari assieme i suoi pezzi dall'altra parte del globo, possibilmente in luogo molto ameno e popolato da spietati tagliatori di teste.
Ricordi bene, la odiavo. Con tutta la forza distruttiva dei miei dieci anni.
Sandra scriveva bene, studiava molto, piaceva alla maestra, indossava stivaletti alla caviglia. Mi portò via nell'ordine: la migliore amica, il ragazzino con cui tornavo a casa da scuola mano nella mano e l'onore, inventando per me curiosi e divertenti appellattivi che ben rimavano col mio cognome. E tutti a ridere.
Ora, Caro Babbo, dopo diverse stagioni andate e acque passate sotto i ponti, è possibile che io tremi ancora dinnanzi ad una qualsiasi Sandra di passaggio? Che nel confronto io ancora senta di perdere, di non valere abbastanza, di non essere all'altezza?
No, stavolta non mandare in orbita nessuno. Niente spargimenti di sangue nè sparizioni.
Questa volta Babbo, mettimi davanti allo specchio. Drizzami le spalle, lustrami il sorriso e mostrami che non c'è Sandra che tenga. Perchè sono capace, ho gli occhi belli, so accarezzare, fare la maestra, guidare come un maschio, sfornare una torta, scrivere storie, cantare.
Ecco, per favore, fai che io lo sappia.