sabato 28 ottobre 2017

Così.


Quando uno se ne va a 97 anni, pare illogico farsi dei patemi. Come se fossimo mozzarelle, con la scadenza scritta. Dopo una certa data, via nel secchio dell'umido.
Vero che ci si fa l'idea, che ci si prepara, che inconsapevolmente si pesca nel sacchetto dei ricordi per salvare in tempo le cose belle, le parole pronunciate, i gesti conclusi e rotondi. Si rispolvera, si archivia.
Io conservo l'odore dell'olio per la macchina da cucire. Le chiacchiere alle cinque del mattino, lei che mi parlava così in fretta, io che a malapena tenevo gli occhi aperti. I baci che non si lasciava dare perchè si sentiva sempre troppo sudata, o spettinata, o stropicciata. Quelli che io le davo lo stesso, e le risate che faceva scansandosi come poteva. Conservo le raccomandazione che ha fatto al mio uomo un paio di anni fa. Trattala bene, che è speciale. Altrimenti te la vedi con me.
Mi vergogno, sono andata a trovarla poco da quando stava in ospizio. Cento chilometri a separarci, cento impegni sempre e comunque, ma sono onesta, non è solo questo. Troppo diffcile reggere l'insieme, troppo doloroso, ogni volta giorni e giorni per smaltire quel senso di perdita, smarrimento, angoscia. 
Siamo fatti male, la morte cerchiamo di lasciarla fuori, vorremo occultare la sofferenza.
Da quando mamma mi ha chiamata, da quando non sono più una nipote, qualcosa gratta forte fra la gola e la bocca dello stomaco. Va oltre il dispiacere, oltre il vuoto, chiama me.
Se almeno le avessi detto mandi.

martedì 24 ottobre 2017

E' martedì


Odio il lunedì mattina.
Perchè fuori è tutto pesto, ma la sveglia suona.
Vorrei una mattina spalancare gli occhi un attimo prima, uscirne trionfante. Ma quando lei suona mi trova sempre, irrimediabilmente, impastata nei sogni.
Odio il lunedì mattina perchè resta ancora un po' a letto amore, io vado a farmi la barba, a bassa voce. Che la barba al dì di festa non si fa e dentro il letto si resta assieme. Un sogno raccontato, un libro sfogliato. Odore di notte che rimane, fra il collo e la spalla. 
Lunedì mattina invece poggio svelta i piedi scalzi sul parquet, infilo i pantaloni mentre attraverso il corridoio, attacco il bollitore, porto giù il cane e mi stringo nel maglione, che par sempre così freddo. Metto su il caffè.
Poi tocca a me andare in bagno e quando torno in cucina c'è profumo di pane tostato. Lui mi guarda, ride, dice secondo me tu sei ancora a letto e a volte - credo quando le mie chiome non paiono troppo leonine - aggiunge che sono bella. 
Il lunedì mattina stiamo con la testa alle ore che verrano e con gli occhi all'orologio che sembra non tener conto di tutto quel che ancora c'è da fare. Il bucato da stendere, i denti da lavare. Diciamo cose di servizio - le diciamo anche bene, come fossero altre cose più lievi - e seguiamo il filo che ognuno di noi ha, del mettere assieme i pezzi per uscire. 
Vuoi portare via anche tu una banana? e allora le due banane aspettano lì sul tavolo, fra le tazze e le briciole, come due carezze di scorta.
Odio anche il martedì, e il mercoledì. Quando di giovedì comincio a farci l'abitudine, è già arrivato venerdì. 
Il venerdì mattina lo odio poco, che a scuola porto anche un cioccolatino. E poi lui uscendo dice bimba, è venerdì!, e mi pare che tutto si dispieghi.



venerdì 20 ottobre 2017

Parole sparse

Due note, un po' al volo.

Ho chiamato Amazon per un reso. Ha risposto una ragazza con forte accento sardo, gentilissima. Bei modi, bel porsi, ottime capacità comunicative. Si potevano leggere, dietro la voce carezzevole e precisa, i pomeriggi sui libri, gli appunti con la bic, le mani tremanti prima di un esame.
Mi sono così dispiaciuta. Perchè quella voce meritava di meglio, anche se (come ha detto Dario) in fondo aveva almeno un lavoro. Fa male sapere che questi ragazzi non possono solcare i mari in cui hanno scelto - dopo tanto sppesare, e sondare, e spendersi - di calarsi. 
Ho pensato che io faccio esattamente ciò che sognavo fare. Che ancora adesso, ogni mattina entro a scuola piena di attese, di dolce fermento.


La mia nonna combattente, che dall'anno scorso ha avuto un brutto crollo, viaggia verso i 98 anni. Non sempre è presente, più spesso si perde in qualche oscurità e rimane distante, fra il sonno e la veglia.
In uno dei rari momenti di presenza, quelli in cui riconosce la mamma e riprende il filo di antichi discorsi, ha detto: "non vedo l'ora di fare il contrario!".
C'è tutta lei in questo dire. La sua ostinata voglia di vivere, il suo modo di guardare alle cose, con slancio bambino.
E ci sono anch'io, geneticamente oppositiva.


sabato 14 ottobre 2017

Dove lavoro io

Riunione insegnanti e logopedista.
L'atmosfera è lieve, nonostante la stanchezza. Abbiamo mangiato in piedi, sul tavolo una buccia di banana, briciole di pane, un accendino.
Chiediamo, ci confrontiamo, non sempre la vediamo nello stesso modo. La specialista fa i nomi dei bambini che teniamo negli occhi e dice che alcuni dovremo tenerli molto nel cuore. Il prof di matematica si commuove, perchè proprio non ce la fa con quella ragazza pungente e schiva. 
Una collega si alza, deve chiamare a casa per sapere come sta sua figlia. Facciamo pausa. E., seduta accanto a me, controlla il telefono, poi lo appoggia vicino al mio quaderno. Osservo lo schermo pieno di tracce: ditate, unto, una grossa incrostazione.
"Ma ci vedi qualcosa?", dico facendo un gesto circolare con l'indice.
"Puliscimelo tu, dai amica", risponde lei ridendo.
"Puoi scordartelo, non lo faccio neanche con il mio".
Poi aggiungo che i telefoni, a casa mia, li pulisce il fidanzato. E qui ovviamente lei gongola tutta e mi prende un sacco in giro, ma io lo sapevo e l'ho detto per giocare.
"Meticoloso com'è, te lo tirerà a lucido immagino!"
"Eh già", rispondo "sono una donna fortunata".
Poi si avvicina al mio orecchio con una faccia briccona da adolescente brada.
"Ma anche quando si occupa di te...diciamo...dei tuoi anfratti, è così scrupoloso e zelante?"
Le tiro una gomitata che per un pelo non cade dalla sedia. Rido.
"Ma non scherzavo!", dice allargando le mani "in quella situazione è fondamentale la continuità!"
Continuo a ridere. Tutti si voltano e qualcuno chiede di cosa stiamo parlando, ma la pausa è finita.
Le faccio segno con la mano. Ti rispondo dopo.
Prendo la penna, ho un sorriso che resta.

mercoledì 11 ottobre 2017

Di quel che sono

Cinque anni.
Alla fine di ottobre di cinque anni fa, si chiudeva un'era ed iniziava per me un tempo di rivoluzioni e cataclismi e sovvertimenti tali, da rendere impossibile scorgere - a posteriori - una qualsiasi continuità fra il prima e il dopo. In un crescendo distopico che neanche nei peggiori sogni avevo potuto mettere in scena, la mia vita perdeva contorno, sostanza, peso.
Non mi par neanche vero, adesso.
All'origine di ogni cosa c'è una giovane donna affacciata alla finestra su una piazza rovente, gialla, eterna e bella da commuovere. Sotto di lei, le tante strade che la sua paura ha scelto di non percorrere, e gli sguardi che non vuol notare, e le carezze che si è negata. Tutto lì sotto, che basta dire .
E il consenso che le scappa dagli occhi - rauco, colmo, liquido - scende giù ad ali spiegate, portando distruzione e macerie.
Ci sono schegge di quel tempo che ancora non so tenere tra le mani, senza ferirmi. Segreti, bugie, auto in corsa, un paio di sandali altissimi e dorati. E poi lacrime, olio di mandorla, cuore nero e notti bianche. Gocce direttamente in bocca per non sentire più niente, sigarette fino a togliere le voci. Toccati adesso, dimmi che lo stai facendo, ma i bambini hanno fame e il purè si attacca.

Mi hanno chiesto se rimpiango la pelle che brucia. gli occhi rossi di febbre, il passo morbido che mostra carne e desideri. Se un poco, anelo al tormento.
Non ci ho dovuto pensare. Perchè questa me tiene spazio per spaghetti e risate, notti accoccolate, occhi di bimbi e lezioni appassionate. 
Conserva un po' di quel languore nella schiena che si inarca, accogliendo una carezza.


sabato 7 ottobre 2017

Cause


Non ho mai sentito l'urgenza di battermi per la salvaguardia dei cuccioli di foca o di manifestare al fine di scongiurare l'estinzione della tigre bianca siberiana. Non lo ritengo mica inutile, o di scarsa rilevanza. Anzi.
É solo che da tempo immemore il mio cuore trova risonanza con gli umani patimenti, con le ugge ed i tormenti di chi se ne sta solo, sul cuor della terra.
A otto anni mi spendevo con ardore da suffraggetta affinchè le "femmine" non fossero escluse, per tacito accordo, dai giochi dei "maschi". Riunivo le bambine e parlavo loro di parità e diritti.
Ritagli di quella veemenza restano all'attaccatura dei capelli, nell'incavo biancolatte del braccio.
Ora mi sale su una rabbia pazzesca perchè sento qualcosa che non va, che non torna, nelle nuovissime generazioni. Parlo di creature che adesso hanno meno di 15 anni, che ho modo di ascoltare, percepire, cogliere, osservare. Non solo in classe.
E' come se tutto attorno a loro fosse sfocato, come se i loro corpi e i loro sogni si collocassero in un migliore altrove, indefinito. Raggiungerli è sempre più difficile, tenere il loro occhi è una sfida. Anche i più puri, quelli con famiglie attente e presenti, spingono con forza il limite e occupano luoghi inadatti, stereotipi sempre più stretti e svuotati da ogni incanto.
Cantano 'sta merda qua:

Come il crimine, senza regole
come le ragazze con il grilletto facile
entriamo senza pagare
come dei calciatori di serie A
ci guarda tutto il locale
ma alla fine nessuno ci toccherà.


I calciatori di serie A.
Il grilletto facile (e lasciamo correre il doppio senso, che forse non colgono).
Ci guarda tutto il locale.

Poi però hanno dita frementi e occhi pieni di fame. Una fame che saziano male, in un modo che mai appaga.
E noi dove siamo, cazzo? Vogliamo smetterla di giustificarli? Ci prendiamo la responsabilità e l'onere di offrire una sponda, uno scorcio di bellezza, un abbraccio, un no senza repliche, un pianto sincero? Sappiamo mostrare che è possibile sollevarsi, cambiare prospettiva? Riusciamo toglierci di mezzo, a smettere di fare i genitori idiotamente perfetti, a non sostituirli malamente, ad avere un peso? Possiamo incazzarci se non fanno i compiti e non mettergli in mano un cellulare quando hanno appena imparato a scrivere, per placare la nostra ansia da separazione? Ce la facciamo a capire che sono così tanto SOLI?
E' una tragedia, io lo dico.

domenica 1 ottobre 2017

Italiana media


Il mio weekend è iniziato con una dose di raffreddore fotonico e un messaggio della vicina di casa, giuntomi nelle prime ore del mattino. Premetto che la donna in questione è una single sui 45 con due cani tipo Laika parecchio fastidiosi: scendono e salgono le scale abbaiando come un'intera muta groenlandese, fanno il diavolo a quattro se lei si assenta, aggrediscono ringhiando chiunque transiti nelle zone comuni, ospiti compresi.
La vicina dedica loro l'esistenza. E non aggiungo altro.
Scusa se faccio la zitella tignosa, ma c'è una cacca di Olli che non hai raccolto e se i miei cani la calpestano la portano in casa. Credo che la buona educazione...
E qui parte il sermone da bacchettatrice, che vi risparmio. 
Tre cose soltanto.
1) ciclicamente (ma troppo spesso per i miei gusti) mi attribuisce cacche che non ci appartengono, considerato che io MAI oserei lasciare in giro merda (in senso lato e non);
2) fino ad ora avevo evitato di esprimermi riguardo agli stolidi quadrupedi di sua proprietà, guidata dal principio di tolleranza. Se i latrati ci svegliavano (perchè è accaduto anche questo) infilavamo i tappi nelle orecchie e via;
3) detesto, ma veramente de-te-sto le storie di vicini dispettosi e ripicche a catena: mi son sempre detta che capita a gente molto insoddisfatta e triste e squallida.
Morali della favola:
- la tolleranza è un valore misconosciuto
- se taci prima o poi ti inculano
E ultimo, ma non ultimo:
- la prima gallina che canta ha fatto l'uovo.
Che secondo me, c'entra.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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