lunedì 31 ottobre 2016

Mani



Mi son presa una batosta di quelle. Laringite, che poi è diventata tonsillite, che poi mi hanno dato l'antibiotico e il cortisone e non dormivo niente così ero debole debole e col fiatone. Quattro giorni e mezzo a casa, quasi una settimana lavorativa: in otto anni di scuola mai era successo.
Potevo solo stare, condizione a me tanto estranea quanto avversa. Perchè a parole mi mancano il tempo, lo spazio, le occasioni, poi quando tutto è propizio smanio. Sono una falsa pigra in verità.
Insomma l'altra sera guardavo un programma su Laeffe. Alcuni bimbi andini preparavano collettivamente un piatto locale: pesce marinato, avvolto in foglie di banano e cotto sui carboni ardenti. Tali pescioni giganteschi venivano trattati con incisioni al coltello fitte e longitudinali, atte a favorire la penetrazione di una marinata nelle carni ancora crude. Quindi, dopo un certo tempo in immersione, andavano rapidamente racchiusi in uno scrigno di foglie di banano e cotti.
Insomma lo facevano i bambini. I bambini, da soli. Maneggiavano il coltello, abilissimi ed efficienti, senza indugi nè remore, senza fretta ma rapidi, con gesto preciso e misurato. Poi, le piccole dita forti e lievi opposte al pollice avvolgevano, tac, tac, tac. E via un altro pesce.
Guardavo quelle mani. Mani lisce e scure. Controllate, esperte, vive. Sapienti. Mani che hanno fatto, rifatto, provato e sbagliato, dove nessun adulto ha sostituito quel coltello affilato con uno "adatto", senza lama e senza efficacia.
Ecco, ho pensato che qui stiamo sbagliando tutto, ma tutto. Il corpo dei nostri bambini è dimenticato, il sapere stagna nella calotta cranica, chiuso nei concetti, nelle nozioni,  in dispositivi metallici che li tengono costantemente a capo chino (ma li vedete? a testa bassa infilare la vita?) nella ripetizione sterile di teorie da loro mai sperimentate,
Conoscono poco e male quelle teorie ed ancor meno conoscono la pratica che le sostiene.
La mano è l'organo dell'intelligenza, disse la Montessori. Serve fare per sapere, serve imparare a piantare un chiodo, a tagliare una fetta di salame, ad allacciarsi le scarpe, per essere davvero competenti.
Ma nel momento in cui tutto arriva loro pre-scritto, pre-definito, pre-fabbricato, li riduciamo a meri fruitori. Senza mani e senza domande.
Abbiamo bambini che non usano più le mani, porca puttana, e nessuno ha diramato l'allerta.

mercoledì 26 ottobre 2016

Due note

Ospiti inattesi
Giovedì sera prima di cena fumavo in terrazza l'ultima (a volte è la seconda, altre l'unica) sigaretta della giornata. La mia resistenza ad assecondare l'arrivo della stagione fredda si palesa nella difesa tenace delle estremità inferiori, ultimo avamposto: ancora non so piegarmi alle pantofole (ma a ben pensare, ho mai indossato delle pantofole?).
Insomma ero in terrazza coi miei calzini a righe, e fumavo. Ad un tratto ho avvertito un tocco lieve, un peso molto leggero, proprio sul piede destro. E' vero che la mia terrazza si affaccia su un bel prato, che tutt'intorno ci sono campi e orti. Ma è anche vero che vivo al primo piano, pertanto ipotesi agghiaccianti non ne avevo formulate.
Ho dato la colpa al  vento. Al fatto che ero sovrappensiero. Alla mia testa matta.
Ma quando stavo per rientrare, con la coda dell'occhio l'ho visto filare. Minuscolo che pareva una noce.
Vi risparmio il resto. Reazione inconsulta, appelli, ricerca spasmodica e vana. Che poi non ero schifata, non mi terrorizzano i topolini. Ero piuttosto colpita da tanta spavalderia. Come si permetteva? Sul mio piede? Mentre fumavo? E da dove cacchio giungeva? Mica pensava di entrare in casa al caldo, no?
Sabato mattina ci si interrogava, quando aprendo il bidone dell'indifferenziata vuoto, l'ho visto sul fondo. Così piccolo e così immobile.


Ebbene non so come sia finito lì dentro, il bidone è parecchio alto e liscio come l'olio. Fattostà che ci è entrato e non è  più stato capace di saltarne fuori.
Minchia signor topo, ma perchè? Mi ha preso una tristezza signor topo, veramente.


Fastidio
Non sto qui a moralizzare, lungi da me, solo che alcune cose mi urtano proprio.
Come dire, ci sono contesti e contesti. Mostri il culo, le tette, ammicchi? E fallo pure se quello è il tuo ruolo. O fallo se non sei un pubblico personaggio che in pubblico si esibisce, se nel tuo stare al mondo non rappresenti qualcosa, qualcuno.
Del tipo. Da una pornostar ci si aspetta che metta all'aria la patata. Da una valletta di Passaparola ci si attendono siparietti, stralci di cosce e frammenti di chiappe. Da un ministro, dichiarazioni d'intenti e proposte di legge.
E da uno sportivo? Che ci aspettiamo? Risultati, bei messaggi sulla tenacia e la responsabilità, sulla rinuncia che fortifica ed eleva. Uno sportivo comunica ai più giovani che attraverso il duro lavoro si ottiene grande appagamento, che si può essere belli, famosi e riconosciuti senza per forza dare in pasto pezzi di sè, nè cedere alle lusinghe del facile guadagno. Che non è necessario posare da tronisti o atteggiarsi da veline, per ottenere il successo.
In teoria. Invece eccoli, in un'esibizione di pezzi.



Fatico a cogliere il senso, lo scopo: cosa mi dicono di nuovo, quale il messaggio sotteso? Dovrei trovare esaltante il connubio tra sportività e figaggine? Sciogliermi per la tonicità che va a braccetto con la determinazione?
Ma per favore. fate il vostro. Allenatevi, gareggiate, portate a casa medaglie e trofei. Che belli siete belli e sexy siete sexy e pure straricchi che non sapete dove metterli.
Le società sportive perdono i giovani, che non coltivano passioni, che faticano a uscire dal mucchio, a sposare un qualsiasi impegno.
Allora passate altro, trasmettete il senso profondo di una scelta pulita e svincolata, la libertà di non aderire al nulla. Veicolate che si può, che è possibile tenere chiuse le cerniere e allacciati i bottoni.
Che poi di culi e bicipiti (più veraci e meno autocelebrativi) é pieno il web.

mercoledì 19 ottobre 2016

Sotto


A metà dicembre un tale scopre di avere il cancro. Il medico gli annuncia che probabilmente non vivrà a lungo. Dopo i primi giorni di intimo strazio sente arrivato il momento di comunicare la triste notizia ai familiari, ma non sa trovare la forza, il momento.
Così la sera della vigilia mentre l'albero scintilla e viene servito il brodo di cappone, il tale, nel tempo di un silenzio si fa chiara la voce. E dice.
"Ho il cancro".

Merda, vien da pensare, non era meglio aspettare? Perchè così il boccone va di traverso, il vino prende l'aspro, le conversazioni muoiono in bocca. Di che cazzo é lecito parlare dopo che uno stronzo ha invitato la Morte a cena?

Ecco. Si racconta che qualcuno abbia ridotto al silenzio il tale, definendolo assolutamente inopportuno e scandaloso (e lo era, certo che lo era!), affermando che aveva sbagliato luogo e tempo. Pare che qualcuno, indignato da tanta dabbenaggine, abbia raccolto sprezzante il cappello scuotendo la testa e se ne sia tornato a casa, incredulo.

Cosa passava nella testa di quel tizio, così inopportuno? Magari credeva che il tintinnare delle forchette avrebbe grattato via gli spigoli alle sue parole. O forse - quello scriteriato - pensva che il paté, il prosciutto in crosta, le meringhe al cioccolato, venissero dopo. Dopo gli abbracci che di certo valeva, un così fatale annuncio.
Ebbene la novità, signore e signori, é che la morte sta sotto. Sotto gli strati di vernice, sotto gli occhi bistrati, sotto i minuetti affettati e la foto di gruppo.
Sotto. Perché diamine, la morte non ha certo un buon odore.

sabato 8 ottobre 2016

Promozioni


C'è stato un tempo molle, in cui mi sono scoperta femmina. Quel tempo ha scalzato i paletti che per anni avevo piantato con impegno e sistematica cura.
E' avvenuto troppo tardi, e ha portato con sè un'epoca buia in cui nulla era più solido, praticabile. 
Nella fase della vita in cui di solito i contorni sono ormai delineati, ogni segno si è cancellato.
Mi dico che poteva non avvenire mai, che potevo per sempre restare in quella porzione d'erba verde sulla quale splendeva costante un tiepido sole. 
Potevo, ma non è andata così. E ora mi piace tanto questa Gioia fuori dal recinto, senza copertura, senza paracadute, che non la cambierei mai con nessuna.

In quel tempo lo sguardo di un uomo incrociato per strada era conferma, compattezza. Esistevo, ero viva, il mio corpo parlava, riceveva risposte. E dopo averlo sentito addosso ed essermene nutrita, so di averlo cercato annaspando quello sguardo, come chi ha fame, come chi dipende.
Il gioco seduttivo non implica per forza interesse, non chiede sempre coinvolgimento. Può essere sciolto, libero, anche fine a se stesso e fonte di illusorie certezze.
Piaccio? Allora valgo, ho senso.

Un uomo che (per sfinimento) ha smesso di farmi una corte sistematica e tenace, da poco mi ha definita "una corazzata". Non sa quanto abbia apprezzato, quanto mi abbia fatto sorridere.
Perchè un guscio di noce non si capacita di essere promosso. Perchè potrei giocare, godere del supplemento di attenzioni, lasciarmi appagare senza impegno né vere concessioni. Perchè gratifica piacere, al di lá dell'Amore, di quanto portiamo in petto, dell'essere leali.
Certo che gratifica.
Ma adesso io mi guardo con dolcezza, mi trovo amabile, so di essere viva. Lo so per me, e da me.
Ecco, non vorrei fare riguardo. Magari la dipingo di celeste o di rosa la corazzata, che fa meno specie. 

lunedì 3 ottobre 2016

Stretta

Niente, ci ho provato.
Bella l'idea dei castelli aperti, quelli privati che di norma sono chiusi al pubblico. Un'alternativa per la giornata piovosa e bigia che non dava cenni di schiarite e altrimenti non poteva esser spesa. Che a me piace leggere sul prato, per dire. O calpestare foglie.
E' partito tutto male, perchè a vedere tante auto mi è venuta l'ansia. Mi angustiava l'idea di tribolare per il parcheggio: tutto saturo sin dall'imbocco della strada. 
Ma sistemato il mezzo e fatto un bel respiro, ci siamo avviati verso il capannello che attendeva la guida. E anche lì gente, troppa. Pazienza.
E' che io, in mezzo alla gente non posso fare a meno di osservare compulsivamente. Così compulsivamente da stancarmi gli occhi, da confondermi i pensieri.
Ho sentito un profumo molesto, grossolano. Ho visto scarpe tirate a lucido e capelli freschi di piega. Rossetto semipermanente rosa confetto e smalto abbinato. Occhi spenti e bassi su display, coppie mute, distanti.
Ho pensato che siamo ancora così pieni di complessi, così tremendamente provinciali da tirar fuori la faccia della domenica, il cappotto buono della festa, da lavare l'auto prima della gita fuori porta.
M'ha preso una malinconia.
Lo so benissimo, sono stonata io. Io che ho fatto cinque mesi col pareo e adesso non so passare a indumenti degni d'esser definiti tali. Io che cammino scalza, che a malapena tollero le hawaianas, che tra poco dovrò stringere lacci, tirar su cerniere, infilare bottoni negli occhielli, e smanio già da ora.
Io che considero l'auto una scatola per andare dove mi serve (e sia chiaro, mica vado fiera della mia incuranza...mi sforzo pure a corrente alterna) e la parrucchiera una penosa costrizione (prorogabile se e quando posso agire da sola), fatico un mondo a stare nei "si dovrebbe". E più passano gli anni, più fatico. Più ne sto fuori e più fatico.
Così ho mollato lì code e messeinpiega e commenti sull'umidità dell'aria. Sono andata qui.


Ho bevuto un buon rosso, mangiato pane e mortadella, chiacchierato, ed era già ora di cena.
Ho sciolto pure i capelli, che l'elastico mi tirava un poco.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

Mi piace

  • Paolo Rumiz
  • Passenger
  • Walter Bonatti e Rossana Podestà
  • pita ghiros