mercoledì 25 febbraio 2015

Categorie da evitare


Dunque.
Sto elaborando un pensiero (del tutto soggettivo, sia chiaro) sulle categorie di individui incrociati nel corso del tempo. 
Cosa accomuna le persone che dopo approfondita conoscenza mi hanno dato modo di prendere distanze abissali e incolmabili? Quali i caratteri, le peculiarità, i tratti distintivi?
Ovviamente la classificazione comprende categorie diverse. Analizzerei quindi oggi la prima e vasta famiglia: le gatte morte.

Gatta morta
Definizione (dal Treccani)
Persona che, sotto un aspetto tranquillo e mansueto, nasconde tutt’altro carattere. Ostentare semplicità oppure indifferenza, far finta di non vedere o sapere, per non destare sospetti e riservandosi di agire a proprio vantaggio in un momento più opportuno. 
Descrizione:
La gatta morta non è bella. Ma neppure brutta. E' neutra. Non mostra di distinguersi per scelte azzardate e/o originali: colori dal beige al grigio (con qualche tocco di nero, bianco e blu), trucco assente, scarpe impersonali. Ciò che la rende immediatamente classificabile è il timbro vocale: un po' nasale, a volte acuto. Comunica trascinando leggermente le vocali, come in una lieve (ma continua) lamentazione.
Perchè diffidare delle gatte morte:
Qui viene il bello. Perchè a dispetto del suo personale sciapetto la gatta morta piace al genere maschile. Colpisce dritta a segno utilizzando con maestria dissimulata le seguenti strategie:
- chiede svenevolmente aiuto (quale uomo può resistere al richiamo di una femmina in difficoltà? che si dichiara fragile e incapace? che si affida colma di fiducia a possenti braccia e superiore cervello?)
- adula senza posa utilizzando un registro ben collaudato: "tu che sei così bravo...", "tu che conosci questa cosa...", "tu che sai consigliarmi...", "tu che mi risolvi sempre i problemi", "solo a te posso chiedere questo..."

Fine della prima lezione. la prossima volta ci occuperemo della seconda categoria: uomini che quando si presentano ti guardano le tette.

domenica 22 febbraio 2015

Teorema

"Vorrei renderla felice"
"E' semplice. Ascolta bene.
Accarezzale la schiena mentre lava l'insalata. 
Fante donna re. In una domenica all'ora del tè, fai una partita a ramino con lei, gambe incrociate teste inclinate.
Alza il volume adesso. Alla radio passa il pezzo che tu sai, e invitala a ballare col sorriso che hai.
In mezzo a ordinazioni, commensali, clienti abituali, stringile la mano sotto il tavolo, a dire che ti importa del resto, noi siamo Due adesso.
Mostrati dolente, incorente, arrabbiato, imperfetto. Lei ti vuole vero, non senza difetto.
Chiamala infermiera, santa, puttana, donna in carriera. Gioca con lei sul tappeto, la poltrona, sotto un tiglio, un cielo vermiglio, una tenda canadese. Gioca l'amore con le braccia, i fianchi, la faccia. E ogni tuo umore: che siete sostanza, sapore.
Portale a casa un sasso, una storia, una conchiglia, un ramo fiorito, qualcosa che le somiglia. 
Leggi per lei. Seduto al suo fianco, le gambe allungate al sole, imprestale un passaggio, un dialogo incalzante, due parole.  
E svegliala una notte, che non puoi prender sonno. Dille che non sai immaginare, come sarebbe andare, senza affiancarle il passo".

giovedì 19 febbraio 2015

Surprise

E' stanco di lei. Del modo in cui allinea le scarpe nell'ingresso, degli spiccioli posati sul comodino, del residuo di caffè che sempre lascia, in fondo alla tazza. 
Questo pensa Giorgio, seduto in un bar minimalista e troppo nudo, troppo bianco. Grandi pannelli appesi occultano il volto dei pochi avventori ai tavoli: visibili solo membra, busti. E' curioso come si possa clamorosamente sbagliare ad immaginare. Lui prova. 
Polacchino maschile inglese. Pantalone di velluto. Cravatta gialla. Mani bianche, fragili. 
Sarà diafano, biondo, occhi cerulei.
Invece quello si alza, e sopra un collo scuro e nervoso si disegnano faccia larga, occhi febbrili.
E poi, in fondo alla sala, la curva di un polpaccio. Una caviglia sottile e l'arco del piede teso appena visibile nella scarpa essenziale, nera. Si muove piano quel piede, di una rotazione leggera, pensosa.
Le calze velate e fine mostrano l'invito della rotula morbida e poi scompaiano sotto una gonna grigio fumo.
Vorrebbe vederla, Giorgio. Vorrebbe capire quale volto, quale naso, raccontano le mani raccolte sul grembo con grazia o che accarezzano frementi l'aria mentre col busto si piega in avanti, e dice.
Allora si leva, aggira il pannello, raggiunge la cassa.
La donna si volta, gli sorride. E ora sono proprio quelle scarpe, le stesse che lei ogni sera allinea nell'ingresso, a mostrargli opache le sue esili verità.

domenica 15 febbraio 2015

Piove, dolcemente

Piove. Piove e fa freddo. Ma lo stesso mi penso a camminare e camminare, fiutando il buono che vien su dalla terra, dai sassi, dal bosco bagnato.
Si parla così. Di una domanda che ti hanno posto nel tempo in cui non c'ero e che tu metti lì, sul tavolo, come a guardarla meglio assieme a me.
"Cosa vuoi tu, dalla vita?"
Si può rispondere alla cazzo, ma anche no.
Dico che vorrei solo essere coerente con la mia natura. E amare, potentemente.
Potentemente.
Mi lasciano sempre nuda, i maledetti avverbi.

mercoledì 11 febbraio 2015

Bang!


Oggi a scuola una bimba scoppia in lacrime. Così, durante la lezione.
I compagni si fanno attenti, silenziosi, qualcuno si avvicina e prova a chiedere, a sfiorare.
Le domando se vuole parlare, raccontare, o se preferisce uscire dall'aula con me.
Singhiozza, ma scuote la testa: vuole restare lì, al tavolo, in quell'abbraccio collettivo. Allora taccio, lascio che siano i bambini con la loro grazia rispettosa a trovare la strada che metta luce.
E lei, occhi gialli sotto i capelli spaghetto, comincia a parlare. Spiega di un fatto - lo riconosce, è proprio una cosa banale, sciocca - che le ha fatto male, che le ha riportato vivo e intero un dolore. Un ricordo. 
Si definiscono eventi trigger, grilletto. Proiettili di gomma che arrivano dritti al cuore. E lo spaccano.
"Anche a me succede", commenta la compagna che le tiene la mano, "qualcosa mi pare tanto importante e gli altri non capiscono. Bisogna spiegare a tutti però, così lo sanno e stanno più attenti".
"Io li chiamo nervi scoperti", dico. Poi rilancio. 
"Quali sono i vostri nervi scoperti?"
E' un attimo: mani alzate, voci, parole.
"Il tuo maestra? Hai un nervo scoperto tu?"
Così mi siedo con loro. E racconto.

domenica 8 febbraio 2015

Plastica me


Tra ieri e oggi pensavo all'argilla.

L'argilla idratata è malleabile e può essere facilmente lavorata con le mani. 
Se lasciata asciugare diventa rigida. 
Quando è sottoposta a un intenso riscaldamento, subisce una trasformazione irreversibile diventando permanentemente solida e compatta.

Per un tempo molto lungo non mi sono idratata. Ero materia secca, piuttosto stabile, ma poco plastica.
Se una grossa mano mi avesse colpita, non avrei saputo assecondare o respingere l'urto.
Poi l'acqua. Qualche goccia soltanto all'inizio. Ma tanto è bastato.

Essere fatti di tenera argilla può spaventare. Mi segna un polpastrello, mi plasma un palmo.
Però ecco, due impronte leggere e sono albero in terra. Insetto nel cielo, chicchera sul desco. Fiore fra l'erba, luna nel firmamento. 
Però bada bene argilla. Non sei terra, cielo, desco, erba o firmamento. Sei tu.

Avrò mai la compattezza del mattone, irreversibile e permanente? 
Credo di no.

mercoledì 4 febbraio 2015

Foglia

Ieri sera, ho spento la luce e sono rimasta lì, ben sveglia. Ho preso finalmente un paio di chili e ritrovo il mio corpo, la sua interezza, le sue rotondità. Mi pare di volergli più bene. Allora godo di quel sentirmi fra le lenzuola, come qualcosa che ha un peso, una consistenza. Dei confini.
Così stavo, e respiravo profondo, e pensavo.
A come tutta la mia vita si possa ricostruire unendo alcuni puntini. Quei punti-snodo sono incontri, persone. Non fatti o eventi, luoghi o letture. Persone. Mi sembra molto significativo.
Come dire che io cresco, modifico lo sguardo, rivedo i mie vecchi schemi, ne costruisco di nuovi, quando sono in relazione con l'altro.
Per dire. Di un viaggio fatto ricordo un volto, una storia, una stanza: tracce umane.
Alcune di queste persone hanno proprio cambiato il corso della mia vita. Come la signora G., che vedeva con le mani. O quel maestro francese, che leggeva nel fare dei bimbi il loro dolore.
E i puntini, uno via l'altro, disegnano me.

Sono una foglia d'acero?
Così pensavo e mi sono addormentata.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

Mi piace

  • Paolo Rumiz
  • Passenger
  • Walter Bonatti e Rossana Podestà
  • pita ghiros