venerdì 29 aprile 2016

Del mio sangue


Ho dato il bacino della buonanotte a Figlio Piccolo. L'ho stropicciato e spettinato, e come sempre un po' mi scansava, ma se la godeva. E' così lui, ruvido e molle.
Allora gli ho detto in guardia, marrano, e saltellando sui piedi ho alzato i pugni, come un boxeur. Prima ha sbuffato, scutendo la testa. Poi rassegnato mi s'è messo di fronte, i gomiti chiusi, le mani sollevate, la sinistra sotto la guancia e la destra sotto il mento. Brevi aggiustamenti dei pugni serrati, ma non troppo.
E via, lesti sui piedi. Hop hop, gancio, parata, hop hop, fatti avanti se hai coraggio, schiappa che non sei altro.  
Facevo le facce, ridevo. Lui ci aveva preso gusto e provava un po' sul serio, a muso duro, voleva insegnarmi come tenere le spalle. Alla fine l'ho buttata in caciara e gli ballavo intorno come l'urogallo, che mi era passato tutto il sonno. 
S'è sfinito, rideva di gusto. Notte mammina. Con le stelle negli occhi.

martedì 26 aprile 2016

Mio, mio, mio


Riflettevo l'altro giorno sul desiderio che ognuno ha di isolamento. Di pace. Di silenzio. Di non condivisione. Ovviamente questo anelito cambia, e cambia in base alle anime, alla loro storia, all'età, alle fasi della vita. Ogni struttura umana è diversamente "sociale", ma anche l'individuo maggiormente connesso ricerca (a volte) uno spazio che porta la sua forma. Ci si infila, si rimette assieme, si compatta e poi torna al mondo.
Nel mio caso, questa salutare esigenza si presenta in modo assai sporadico. Ma quando (finalmente) la avverto, pare più un'urgenza che un desiderio, e si accompagna ad un vago senso di inquietudine.
In queste circostanze, non bramo luoghi ameni o traversate in solitaria. Bastano quattro mura che mi somigliano (i miei libri, i miei disegni, la mia musica, i miei film, il mio divano, la mia doccia e le mie cremine), un giusto tepore, i piedi scalzi, i capelli a cipolla, nessuno a interpellarmi, nessuno a cui prestare attenzione, nessuno a muoversi intorno. 
Avete presente quando uno torna a casa dal lavoro e sbocconcella in piedi pane e salame? Beve una birra a canna? Fa la pipì lasciando la porta aperta? Abbandona a terra una scia di vestiti per buttarsi sul letto, crocefisso dal languore postprandiale? Ecco. Quella roba lì.
Insomma mentre riflettevo, ho considerato che nelle dimore della mia infanzia/adolescenza non ho mai avuto una tana, un rifugio, un luogo col mio nome. Dormivo in salotto, uno spazio comune di transiti e oggetti e suoni altrui. Pensavo che poi, quando ho messo su casa e c'erano i bimbi piccoli, tutto era di tutti, ogni luogo era promiscuo, ogni giaciglio comune e pure il tempo, quel prezioso oggetto del desiderio, pareva saturo di richieste e bisogni d'altri.
Ecco, sia chiaro che sono nata per questo. La parola "INSIEME" è incisa nelle spirali del mio DNA. Ma scopro che in fondo, pure se così cucita, conservo un filo giallo di salutare egoismo. 
E mi scappa un sorriso bello.

giovedì 21 aprile 2016

Gioialbero

Oggi abbiamo fatto un lavoro bello.
Se fossi un albero
Avrei un lungo tronco liscio, chiaro e flessuoso.
Avrei la chioma aperta e i rami arcuati, le foglie spesse, d'acqua e fibra.
Nel bosco sarei piantato in mezzo ad altri, dove le radici si accarezzano, e sfiorandosi sussurrano. Io sono qui, tu dove sei? Ecco la terra morbida, le zolle tenere, vieni, ti faccio spazio. C'è posto anche per te. Dimmi delle tue foglie. Riposami accanto. Crescimi appresso.
Una bambina di seconda ha scelto di disegnare me, una Gioia albero


Ospito decine di piccoli uccelli, e svariati animaletti abitano le mie fessure. Pullulo di vita e movimento e primordiale caos.
Ho fiori fucsia, ha detto, perchè sono sempre allegra.
E in alto, li vedo bene, ci sono i tanti rami potati. Che tocca, tocca tagliare, non c'è verso. Tocca cambiare direzione alle fronde, fare largo al nuovo, al fresco, al verde, che sempre avanza. Crescere, è mutare, costantemente. Quando ho potato, l'ho fatto perchè ero ferma, immobile, e non c'era orizzonte, o desiderio, o meta, che valesse un sogno. 
Guardalo lì, quell'albero sognatore e lungo. Sono proprio io.

lunedì 18 aprile 2016

In questo mondo stupido

Sabato sera da Fazio c'era Caterina. Caselli. 
Per svariati motivi mi piace un mondo.
Ha l'età della mia mamma, e con la mamma l'ascoltavo. Non se la tira. E' solare, intelligente, avveduta. Attraversa le stagioni che è una meraviglia. Ha magistralmente interpretato "Insieme a te non ci sto più", splendido pezzo di Paolo Conte il cui riff canto con enfasi e trasporto sotto la doccia.

Non sarà facile ma sai si muore un po' per poter vivere
Arrivederci amore ciao le nubi sono già più in là

 
Non è mai stata una bellezza conturbante, così ha puntato sulla voce, sui testi intensi. Sulla faccia rassicurante e schietta da compagna di banco. Da vicina di casa. Da maestra d'asilo. Pure adesso che è grande, affermata, ride in quel modo fresco e leggibile, che pare seduta lì nella tua cucina.
E la cosa più bella, il bonus da mille punti, è che Caterina ha saputo darsi valore. Riconoscersi. 
Ora produce talenti. Li scova, li guida. Contiunua a coltivare la sua bellezza, a farla circolare.



Tutto questo per anticipare un concetto: non ho mai sopportato le battute sull'età che avanza. Come fosse un delitto crescere, cambiare faccia, postura, come fosse illegittimo sciupare i menischi, perdere i capelli, non esser più capaci di leggere gli ingrtedienti sul vasetto dello yogurt.
Anche da ragazzina mi disturbava la facile ironia sul tempo che passa, mi pareva acida, volgare, pleonastica. Mi sembrava generasse una sorta di senso di colpa, e di vergogna, per qualcosa di fisiologico e naturale, che tocca in sorte a tutti.
Sarà che ho incontrato occhi di vecchissimi giovani e di giovanissimi anziani. Sarà che - suona orrendamente banale dirlo, lo so, ma è vero - mi son sempre chiesta cosa avessero da dirmi, quegli occhi, e non quale numero portassero. Venticinque, sessantadue, trentuno, quarantasei.
Allora coraggio, per esorcizzare la paura di invecchiare, meglio una camicia hawaiana che una battuta idiota. 
Fa più colore, allegria.

mercoledì 13 aprile 2016

Ssssst....


E poi mi scrivono un messaggio, per dire che non posso mica fare a meno di postare qualcosa.
Due righe magari, un saluto. Mica sparire per così tanto tempo.
Son qui amici, davvero, sto bene.
Avrò in bozza almeno cinque pezzi, solo che non so, li leggo, li rileggo e non mi vanno giù. Non sono me. Sospetto si tratti di uno di quei periodi cuscinetto, che ben conosco, quelli da cui poi finisce per sbocciare qualcosa. Difatti son come rallentata, come statica: ho l'impressione che il mio corpo stia cercando di racimolare energie, o che non voglia disperderne.
La cosa buona è che non mi faccio domande. Non mi arrovello, non sto lì a pensare. Se sono così un senso ci sarà, se bradipica mi sento, bradipica accetto d'essere. È un momento, infilato nella lunga collana dei momenti.

Con l'ultimo residuo di vitalità stasera riflettevo sull'essere genitori. Li guardo tanto. E vedo così tante aspettative, attese, tacite richieste. Troppa roba caricata su piccole spalle. Non so, forse sono stanca. Ma vorrei poter dire a questi genitori che hanno dei bambini straordinariamente normali. Vorrei dir loro che d'ora in avanti si festeggerà il tempo dell'imperfezione, e i grandi smetteranno di essere lustri modelli di equilibrio e bravura e tolleranza. Diranno ogni tanto cose come: "questo non lo so fare", "scusatemi ma oggi ho le palle girate", "al lavoro ho fatto un pessima figura", "sono stanco", "ho bisogno di un abbraccio". E libereranno definitivamente i loro bambini dal triste e gravoso impegno che richiede l'eccezionalità. 

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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