mercoledì 24 giugno 2015

Zuccheri ed elefanti


Provo a scrivere, ma sento addosso la solita incontinenza glicemica.

Vorrei regalarti un completo doppiopetto
come tuo padre in bianco e nero
piazza San Marco, colombi e vento.
 
Mollo il colpo.Leggo gli ultimi post pubblicati nei blog amici e attendo che le parole (da ieri spingono e sgomitano senza creanza) si facciano ordinatamente strada.
Da S. trovo risposta, come sempre capita quando al cosmo si consegna una domanda.

Forse un giorno scoprirò che anche io ti facevo del male, 
con tutto quel mio amore, 
con tutta quella voglia di perdere la testa, 
con tutta quella dolcezza, 
con tutto quel voler sentire la vita continuamente. 
Forse tu volevi solo startene tranquillo, 
e con me non potevi. 
Con me non si può.  
(Susanna Casciani)

Oggi dicevo che fatico a comprimere, trattenere, incasellare. L'oceano che mi si muove dentro è immenso, e ho sempre l'impressione che a svelarlo tutto intero, potrei spiazzare, spaventare, allontanare.
I  pachidermi non trovano sedie per accomodarsi a bere un caffè accavallando le gambe.
Vale la pena allora, mostrarsi colibrì.
Tocca prestare molta attenzione alle orecchie però: potrebbero sfuggire.

lunedì 22 giugno 2015

Nuvole scure



Sono arrabbiata stamattina.
Sono arrabbiata perchè il prossimo stipendio non arriverà prima di due settimane, e io sono già alle soglie del rosso. Benzina, cibo, un minimale contributo spese per le mura colorate che mi abbracciano ad ogni risveglio, qualche vecchio debito da saldare (ma finiranno mai?). E la prossima rata dell'assicurazione è dietro l'angolo. E l'auto cade a pezzi, ma letteralmente a pezzi, che sono bloccati pure i finestrini. E un lavoro dal dentista che dovrei finire. Non adesso, di sicuro.
Novecento euro al mese sono pochi. Ma ho un lavoro, cazzo, un lavoro che mi piace, che è nutrimento e vita per me, al quale dedico energie infinite. Ho un lavoro, percepisco uno stipendio, posso ritenermi comunque una privilegiata. 
E allora, con chi mi posso incazzare?
Con la cooperativa da cui dipendo? Volti amici, persone, volontari che si fanno il culo quadro per mantenere in vita una struttura che prova a stare in piedi (senza aiuti pubblici, finanziamenti, sostegni) e che ogni anno si trova a fare i conti con un bilancio a dir poco indecente? 
Con me stessa? Che sì, magari potrei andare a stirare nel pomeriggio a casa di qualcuno, a pulire il sedere a qualche anziano, per arrotondare. Invece arrivo a casa sfinita, neanche la forza per fare una spesa. E non riesco neppure a seguire casa mia, come vorrei. Ci ho pure provato, ad impegnarmi in proposte di corsi extra scolastici: poche adesioni, insufficienti a far decollare un'attività: le famiglie sentono la crisi, non sprecano.
L'estate scorsa ho tenuto qualche bimbo, così farò quest'anno. E' indispensabile, scontato.
Ma dipendere, sempre dipendere da altri. Sentirsi poco autonomi, chiedere aiuto. Non sopporto, non sopporto questo, non ho vent'anni.
Allora provo con i buoni propositi, faccio una lista di priorità, di idee, provo a lanciare qualche sassolino nello stagno. Perchè voglio la mia forza contrattuale nel mondo, nella vita, nelle relazioni. Perchè mi sento quasi in colpa quando leggo, scrivo, sonnecchio e non produco. 
Perchè non voglio sentirmi un peso. E perdere la mia leggerezza. 

giovedì 18 giugno 2015

Dopopranzo


Scosta appena la tenda un'aria spessa. Le due di un dopopranzo. Quell'ora sospesa tra il mattino, tempo di cose dette, fatte, pensate, e il pomeriggio che smorza e spegne, preludio della sera.
Tapparelle abbassate e finestre socchiuse. Il silenzio interrotto a tratti dall'abbaiare di un cane, dal vociare di ragazzi in strada. Richiami di vita.
Troppo caldo per muoversi, troppo caldo per dormire.
Prova a rinfrescarsi il viso, le braccia, le gambe. Scendono le gocce d'acqua in piccole rotte anomale, dal collo al seno, dalle spalle alla schiena, dalle cosce ai polpacci.
Non si asciuga e infila una maglietta leggera: sorride all'aria che passa, da una finestra all'altra svegliandole la pelle.
La invita la penombra, la chiama il letto sfatto. Lieve e grata si lascia andare, godendo di quella freschezza. Scioglie i capelli, appoggia la testa al cuscino.
Rimane così, immagina.
Inarca la schiena e coglie la consistenza di un desiderio. Conosce il suo corpo, le sue domande e sa rispondere. Una mano alla bocca si lascia baciare, l'altra accarezza.
Immagina, la porta lenta si apre. Ti aspettavo.
Immagina di non avere fretta. Sfiorare senza toccare, con il naso, le dita, la bocca, il fiato. Senza toccarlo. Il ronzio di una mosca.
Immagina.
La bocca chiede, attendi. Le mani si aprono, attendi. Le cosce si schiudono, attendi.
L'attesa è un afrodisiaco potente.
Stesa, prona. Immagina.
La mano grande, dalla caviglia ai lombi. Ferma. Non muoverti. Dai lombi alla schiena.
Voglio la bocca. Aspetta. 
Immagina, e in un attimo il respiro spezza il silenzio.
Un telefono squilla, lontano.

domenica 14 giugno 2015

Ancora parole

In my place, in my place
Were lines that I couldn't change
I was lost, oh yeah
(In my place, Coldplay)




Ieri ho ritrovato un luogo dell'anima. Ricordi di sapori, consistenze, suoni. Ho rivisto Gioia scendere il sentiero, la notte di San Lorenzo appena trascorsa ad acchiappare stelle, i piedi leggeri. Tanto bella mi è sembrata, pronta a volare.

Vuoi per la mia storia, o per quell'inclinazione al sogno. Vuoi che da sempre le parole sono state per me tetto e carezza, rifugio e carne. La peggiore delle realtà, attraverso le parole declinava al dolce, fino quasi a parer buona. 
Delle parole sono un'estimatrice, una degustatrice esperta. Le osservo, le annuso, ne misuro la forma, ne tasto i contorni. E posso dire con esattezza quali strade abbiano percorso, per giungere a me attraverso labbra tese, morbide, asciutte, aperte, umide.
Ne uso forse troppe, di parole: dette, scritte, pensate, sussurrate. Così tante che a volte mi chiedo fin dove sia io ad ammantare di bellezza, luce e straordinarietà un cielo grigio, un tempo lento, un sorriso stanco, un letto bianco. Ma non posso farne a meno.
Ora la grande domanda è questa.
Vedo le cose per quello che sono? O le vedo per come vorrei fossero?
Magari le vedo proprio per quello che sono, e quando mi piacerebbero diverse allora agisco di restauro. Copro, passo una mano di vernice.
O invece -e questa ipotesi mi piace tanto, tanto di più- so trovare, con perizia e opera di minuzioso scavo, la faccia lucente e preziosa di un ciottolo grezzo?

sabato 6 giugno 2015

Errare a errori





"La perfezione non è alla portata del normale essere umano, e l’accanimento nel volerla raggiungere è inevitabilmente di ostacolo a quell’atteggiamento di tolleranza verso le imperfezioni altrui che, solo, rende possibile l'Incontro.” (B. Bettelheim)‏

Insomma sabato scorso ho partecipato ad un convegno ed ero seduta al tavolo. Dei relatori.
Il venerdì è andato via tranquillo: ho messo giù alcuni punti da sviluppare. Ma sabato mi sono svegliata con una certa ansia addosso. Quella roba che sale allo stomaco, alla gola.
Come capita in questi casi, mille cose si sono accavallate. I pantaloni che avevo pensato di mettermi avevano una macchia, non c'è stato tempo per piastrare i capelli e i punti che intendevo sviluppare sono rimasti dei miseri segni di bic su un foglio a quadretti.
Così ho infilato il vestito hippy, la tracolla viola e sono uscita di casa col mio pezzo di carta in mano. 
La sala consiliare era piena, ed ognuno dei relatori presenti vantava così tanti titoli ed esperienza e formazione, da farmi impallidire.
Avevo un pensiero, un'idea, una traccia in testa. Poi ho sentito di altre storie, progetti, ho sentito di luoghi in cui le cose funzionano, in cui la maestra  nella pratica quotidiana, prova ad essere quella presenza lieve e umile che la teoria ci descrive. E' possibile, mi sono chiesta? Lasciare fuori dalla porta complessità, interezza, sogni, paure?
Allora ho cambiato pensieri, idee, tracce. E rotta. Quando è toccato a me ho parlato dei limiti, dei nostri e di quelli dei bimbi che incontriamo ogni mattina. Stanchi, gioiosi, pensierosi, laboriosi, distratti, pallidi, affettuosi, tristi. Ogni loro gesto, parola, slancio, richiama parti di noi. Parti buone, luminose, ma anche spazi scuri, inesplorati e difficili da mostrare.
Solo abbracciando i nostri (bellissimi e umani) limiti, permetteremo al bambino di accogliere i suoi.

"Maestra oggi hai una faccia preoccupata".
"Sì, hai ragione. Ma credo che fra un po' passerà".
"Guarda che per merenda Tommi ha un panino col salame. In caso gli chiedi un pezzo".
"Fantastico, mi sento già meglio. Ehi Tommi, hai sentito?".

E’ sorprendente vedere come gli studenti possano perdere una parte della paura di sbagliare, profondamente radicata in loro, quando si trovano con un insegnante che non chiede di essere nel giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricerca dell’errore: del loro come del proprio
(N. Postman)

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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