E poi mi scrivono un messaggio, per dire che non posso mica fare a meno di postare qualcosa.
Due righe magari, un saluto. Mica sparire per così tanto tempo.
Son qui amici, davvero, sto bene.
Avrò in bozza almeno cinque pezzi, solo che non so, li leggo, li rileggo e non mi vanno giù. Non sono me. Sospetto si tratti di uno di quei periodi cuscinetto, che ben conosco, quelli da cui poi finisce per sbocciare qualcosa. Difatti son come rallentata, come statica: ho l'impressione che il mio corpo stia cercando di racimolare energie, o che non voglia disperderne.
La cosa buona è che non mi faccio domande. Non mi arrovello, non sto lì a pensare. Se sono così un senso ci sarà, se bradipica mi sento, bradipica accetto d'essere. È un momento, infilato nella lunga collana dei momenti.
Con l'ultimo residuo di vitalità stasera riflettevo sull'essere genitori. Li guardo tanto. E vedo così tante aspettative, attese, tacite richieste. Troppa roba caricata su piccole spalle. Non so, forse sono stanca. Ma vorrei poter dire a questi genitori che hanno dei bambini straordinariamente normali. Vorrei dir loro che d'ora in avanti si festeggerà il tempo dell'imperfezione, e i grandi smetteranno di essere lustri modelli di equilibrio e bravura e tolleranza. Diranno ogni tanto cose come: "questo non lo so fare", "scusatemi ma oggi ho le palle girate", "al lavoro ho fatto un pessima figura", "sono stanco", "ho bisogno di un abbraccio". E libereranno definitivamente i loro bambini dal triste e gravoso impegno che richiede l'eccezionalità.