domenica 28 febbraio 2016

Così


Oggi piove fitto, tira vento.
Non so in che tasca ho messo la leggerezza di ieri, quel sorriso fesso e bambino.
Detesto il mio modo di stare al mondo, questa buccia che non sa diventar spessa, che non mi protegge dagli urti, dai sorrisi fulgidi, dal freddo, dalle parole amare e appassionate e zeppe.
Ogni cosa arriva dentro, troppo dentro, senza che nessuna sentinella le blocchi il passo, senza permesso, passaporto, benestare.
E così parlo, ingoiatore di spade che estrae lento dalle sue profondità la lama.
E così faccio l'amore, liquida.
E così accolgo, tuffatore a cuore spalancato e braccia aperte.
E così vivo.

sabato 27 febbraio 2016

Saturday morning


Avere addosso un paio di scarpe comode. Anche graziose, mica ciabatte, dove il piede trova congruo spazio, la pianta si apre, le dita si muovono quel tanto.
E con quelle scarpe ai piedi sei proprio tu, indubbiamente tu, che ti sembra di avere in ordine pefino i capelli indomiti, quando le indossi. E vai, come non toccassi terra.
Così oggi ho fatto compere. Un paio di orecchini coi pendenti argentati, un paio di jeans azzurro cielo che donano chiappe rotonde, una t-shirt con lo scollo a barchetta. 
Poi ho preso otto pastine mignon, da portare alla Sere che mi offre il caffè. E nella vetrina colma di cose buonissime c'era una pizza al radicchio rosso che ho dovuto prendere. Me la sono mangiata guidando, leccandomi le dita e ridendo da sola, perchè avevo l'olio anche sulla punta del naso. 
Mi è sembrato tutto stupidamente bello.
Grazie alle scarpe giuste, è ovvio.

giovedì 25 febbraio 2016

Fuori tempo


E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, 
nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Potermi dire amato, 

sentirmi amato sulla terra.
(R. Carver)

E' che a volte il cuore mio martella. Ieri, sul far della sera per esempio, mi son chiesta quanto potesse reggere quel ritmo sincopato, quel fragore da grancassa. 
Ma nonostante i suoi vuoti pneumatici e qualche brusco allungo, gode di salute: è stato ben forgiato. L'hanno temprato alcuni sogni infranti, un pesce rosso saltato dalla boccia, due baci sulla tempia e quei versi, mille volte accarezzati: It's all I have to bring today -This, and my heart beside.
Lesto e leggero nell'incedere, abile nei numeri da circo, turgido e solenne nelle ore dell'amore. 
Così è il mio cuore: desueto e un poco demodè.

domenica 21 febbraio 2016

Non è un capello


Sono finalmente andata a regolare il taglio.
Prima di me c'era una donna, età indefinibile. Capelli bianchi ma viso da bambina, corpo flessuoso ma gesti pesanti. Bella, in un suo modo.
Mi è parsa una frequentatrice assidua, si rivolgeva a tutti con familiarità. Dopo una mezz'ora è entrato un uomo, alle soglie dei cinquanta. Si è avvicinato alla donna senza età, l'ha baciata dolcemente, le si è seduto accanto chiedendo se voleva qualcosa da bere, se desiderava un caffè. Ha quindi partecipato alle collettive chiacchiere da gineceo, sorridendo curioso. E per tutto il tempo, ma proprio tutto il tempo, ha tenuto d'occhio la sua donna, seguendone a distanza i movimenti (dalla poltrona al lavaggio, dal lavaggio alla poltrona), avvicinandosi quand'era possibile, conversando sottovoce con lei.
Verso mezzogiorno è uscito a prenderle un panino.
Poi le hanno proposto di tingersi una ciocca blu, e subito lei si è voltata a guardarlo. Era in dubbio, non sapeva decidersi. Lui allora l'ha invitata a provare, a osare. Le ha detto che avrebbe fatto comunque in tempo a coprirlo, quel tocco di colore, se poi non le fosse piaciuto.
Non so come sia andata, perchè a quel punto avevo finito. 
Mi restava una sensazione strana, sgradevole, l'impressione che la donna senza età fosse reduce da qualcosa. Un dolore, una malattia invalidante, una perdita.
Ho pensato al mucchietto d'ossa che ero, al mio stare appesa, come se ancorarmi potessi garantire stabilità, peso. Al bisogno assoluto di prossimità e presenza che la mia nuca fragile mostrava, impietosa. A quel bramare mani, occhi, pelle, perchè mani, occhi, pelle io non avevo più.
Sorridendo mi son detta che ora, posso tenere addosso ciò che mi somiglia, mi appaga, mi rende leggera. Che nessuna scelta è più figlia di un dolore.
Mi è parso d'essere così libera. Ho salutato, sono uscita di buon passo, nuovi fili d'oro fra i capelli.

mercoledì 17 febbraio 2016

Alfabeto delle emozioni


Scrivere a qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male.
(A. Baricco)

In seconda elementare scrissi una lettera a Marco B. Ci tenevo sapesse che lo veneravo come un biondo essere superiore, e che non mi importava affatto se era bassetto, perchè di fronte all'amore vero le misure sono bazzecole. Durante l'intervallo, con mani tremanti, infilai la busta (corredata di foto ritratto) nella sua cartella.  
Avevo chiesto a papà di scattare la foto, che mi ritraeva seduta in salotto con il Cicciobello fra le braccia. Circola ancora una copia di quello scatto compromettente: ho i capelli giallo pulcino e un sorriso disarmato, radioso.
E così, misi incautamente fra le mani di un settenne ogni mia debolezza, senza paura. Avrebbe potuto farmi a pezzi.
Invece Marco si prese del tempo, moltissimo tempo. Ma un giorno, mentre tornavo mesta verso casa mi raggiunse di corsa e senza parlare, mi prese la mano. Non cambiai espressione o passo. Non mi voltai a guardarlo, non chiesi. Non respirai.
Stelle, sogni, temporali, bolle di sapone e gelato alla fragola. Mi sembrò che fosse tutto lì, in quel palmo tiepido e asciutto.

sabato 13 febbraio 2016

I pezzi grandi


Eccessiva.
Insomma, lo sono sempre stata. Se devo piangere, piango come si deve, se mangio il cioccolato, finisco la tavoletta. Se un pezzo mi piace, lo ascolto a palla.
Così mentre guido sportivamente la mia Y, figlio piccolo sentenzia che ho sbagliato mestiere: dovevo fare il pilota, dice. Di rally, specifica.
E' che non va sempre bene pigiare al massimo. Misurare le forze qualche volta aiuta, irrobustisce, tempra. Andare a tavoletta alla lunga svuota, perchè finisci per prender dentro gli spigoli. 
"Tu sei impegnativa", così mi ha detto un'amica. Me l'ha detto piena di dolcezza, e suonava come il più bel complimento. E io, che provo con accanimento ad esser meno voluminosa? Non serve a nulla che mi dia così tanto da fare? Che mi disperi e mi consumi quando lo spazio non mi tiene dentro tutta, e provi speranzosa a trattenere il fiato, a tirar dentro un braccio, un piede, una spalla?
Anche da piccola mi capitava di pensare che fosse difficile starmi vicino.  Che se non diventavo una bambina giusta, e silenziosa, e col grembiule ben allacciato, mi avrebbero portata nel bosco e poi dispersa, come Pollicino.
E non c'è autocompiacimento se dico che mi dispiace davvero. D'esser fatta con questi pezzi grossi. 

mercoledì 10 febbraio 2016

Amour sauvage


Fa caldo oggi. Il formicolio alla sommità dei rami mi pare insopportabile. Sono inquieta: le mie radici fra le zolle spingono, scavano rabbiose. La linfa scorre troppo in fretta, conquista ogni tenera gemma smeraldo: preme, gonfia, infiamma.
Vorrei andare. Forse danzare. O far l'amore.
Ma non so torcere questo corpo massiccio e denso e greve, non so affastellare le mie fronde in due braccia capaci di cavar dalla terra i tentacoli scuri. Un tempo sapevo.

Un tempo, con dita agili e schiena eretta annodavo i biondi capelli alla sommità del capo. Un tempo camminavo sciolta, le curve dei fianchi a dettare il passo. Andavano i piedi, a tempo di rondò, e i seni sfrontati sfuggivano ai lacci del corsetto. Chiedevano d'essere lambiti.
Operò forse l'invidia di qualche vecchia megera. O a tesser la fattura, fu la moglie storpia del fornaio. 
Un mattino la morbidezza si fece legno. Il velluto della pelle, scorza. Il mio dolce andare, inerzia e stasi.

Fa caldo oggi. Voglio che lui torni, voglio posi il suo corpo asciutto e bello sotto queste fronde e lasci che l'ombra mia lo copra. Voglio udire la sua voce accesa e fremente declamare strofe nel fulmineo levarsi, quando simula un affondo col fioretto e poi si inchina, come a chiamar l'applauso. 
Ho provato a toccarlo così tante volte. Ho pregato quel ramo basso e curvo di sfiorargli il volto, quando cede al sonno. Ho implorato le foglie di stillare una goccia di rugiada sulle sue labbra pallide. Non so cosa darei per offrirgli i miei umori, per suggere i suoi. 
Eccolo, arriva. Sale la china con baldanza, un fascio di libri sotto il braccio, canta. 
Abbandona le fronde vento, s'arresta il brulicare nero degli insetti, serra il merlo ali e becco. 
Ogni cosa, tace.

domenica 7 febbraio 2016

Montanara


Ieri pensavo che davvero non potrei mai tornare in città: il traffico, la saturazione umana, l'orizzonte ingombro. No no, accada quel che accada nella mia vita, io starò ben lontana dai centri urbani.
Gli amici mi danno della montanara. Mi scrivono messaggi surreali del tipo "ma lassù sei uscita con le ciaspole stamattina?", oppure "buona giornata, sempre che arrivi il sole anche da te!". Per dire. 
La Roberta, parrucchiera cittadina di fiducia, viene a sapere da una collega che mi sono sistemata un po' la frangia da sola (con le forbici da cucina, ma questo l'ho volutamente omesso). La collega deve pure ammettere che ho fatto un bel lavoretto, ma vengo comunque bacchettata. "Sei mica un'eremita! Avanti, passa di qui che ti sistemo un attimo", mi dice la Roberta al telefono, con piglio autoritario e un filo piccato.
Ma l'apogeo è stato raggiunto una decina di giorni fa, quando m'è toccato pubblicamente dichiarare che avevo i geloni ai piedi. Premetto che non sapevo neppure esistessero, i famigerati geloni, o perlomeno li credevo estinti dai tempi della Campagna di Russia. Invece no.
Ora, scolpirmi i capelli con l'accetta o evitare le scarpe tacco dodici nei giorni più rigidi, mi paiono inezie se guardo il mio fuoco che scoppietta (l'ho acceso proprio io, con la legna accatastata fuori, che ho raccolto nel cesto appena finita la colazione) o mi reco al Cinema Teatro Sociale per vedere un film che è uscito un mese fa, e che qui arriva solo adesso (in sala siamo in otto, compresa la tabaccaia che entra e mi fa un cenno con la mano). 
Tutto questo fa di me una ME, entità definita e riconoscibile in una comunità che si misura con la festa del formaggio e la romantica vicenda di due fuggiaschi nascosti in una valle quasi inaccessibile (ai quali una donna del luogo porta in dono una gallina). 
Una ME che saluta la panettiera e il cartolaio, che sceglie il luogo in cui bere l'apertitivo in base a dove s'infila il vento. 
Già. Che per l'aperitivo i capelli tagliati con l'accetta io li sistemo a puntino. Sia mai che un refolo da nord me li scompigli.

martedì 2 febbraio 2016

My skin

Nei giorni del primo risveglio scrissi ad un uomo che mi voleva. Non si desse la pena di inseguirmi, perchè avevo cent'anni. Smettesse di bussare, perchè oltre la porta sedeva una vecchia, cieca e arsa, senza nulla da porgere.
Mi occorreva quella morte prematura, quell'assenza di sentire. Me la tenevo cara.
Ora che ho destato il mio corpo bianco, ora che conosce rapimenti e sussurri, mi pare a volte sfugga. Come se le connessioni, i raccordi, i segnali, fossero ancor tutti da rodare. Come se la pelle non avesse mai fatto tesoro, o conservato memoria di carezze, malanni, fremiti, fuochi accesi, labbra. 
Come se solo adesso, fosse pronta a custodire.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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