sabato 4 novembre 2017

Cambiare sguardo


Il tema su cui sto da qualche giorno è quello della realtà viziata dal vissuto. Delle cose che vediamo e che inevitabilmente passano attraverso il nostro sguardo spurio.

Abbiamo sempre bisogno di categorizzare. Incasellare. Definire.
Mettere giù paletti e tirare righe che stabiliscano confini, limiti. Di là i buoni, di qua i cattivi. I giusti e gli ingiusti, i fedeli e gli infedeli, quelli che usano parole e gesti che ci somigliano e quelli che invece non riusciamo a comprendere ma ai quali diamo comunque un nome, per non sentirci troppo coglioni.
La mia mamma, riferendosi a qualcuno che mi ha impropriamente giudicata, dice "devi spiegare che non è come pensa!". E io le rispondo che non spiego proprio niente a nessuno. Che se uno vuole semplificarsi la vita con le liste e gli schieramenti e la statistica, senza prendersi la briga di chiedere,  capire, confrontarsi, per me è cosa chiusa. 
Scegliere di giudicare, denota l'incapacità di spostare le granitiche certezze alle quali ci aggrappiamo per non sentire tutto il vuoto che sta sotto. 

Facevo i complimenti ad un'amica l'altro giorno. Le dicevo che è proprio molto brava, perchè riesce ad ascoltare senza pregiudizio, senza vizio. Un ascolto empatico, che accoglie e lascia spazio al possibile. Come dire: sono pronta a tutto, il tuo racconto mi suona nuovo, lo prendo fra le mani e non lo passo attraverso un mio sentire, perchè è roba tua.
Poi è chiaro, nessuno è esente, anima e corpo portano i segni (sconfitte, trionfi, incontri, letture, esperienze...) che fanno di noi quello che siamo. Attraverso quei segni possiamo leggere la realtà, riusciamo a farla nostra, ma con tutti i limiti del caso. Di questo tocca essere coscienti.
Se sono reduce da una delusione d'amore, dovrò essere molto accorta se qualcuno mi racconta con entusiasmo e gioia di una storia appena nata. Quando a me parlano di vicende clandestine, ad esempio, mi tocca subito tenere a bada il mio angelo vendicatore, che all'istante si erge sguainando la spada: tra le mie cicatrici, è ancora la più sanguinante e inevitabilmente cado nell'errore di puntare il dito, prevedere catastrofici scenari, moralizzare da una posizione elevata.

Lunedì mattina, macchinetta del caffè.
- Volevamo andare al cinema da soli ieri sera, ma poi abbiamo deciso di stare a casa con la bambina, di non lasciarla dai nonni. 
- Non la lasci mai dai nonni, mica moriva eh. (cazzo, sono già infastidita...attenta...)
- Lo so, ma ci dispiace separarci da lei.
- Ok, poi però non venire a dirmi che siete come due estranei e che alle 9 di sera uno dorme nel letto della bambina e uno sul divano. (niente da fare, mi scappa di infierire...)
- E' che mi sento in colpa quando la lascio.
Ecco il mio tasto dolente. Ecco cos'era. Vedo Jacopo fra le braccia della nonna che mi saluta con la manina mentre vado.
- Si lo so. Mi capitava ogni volta che lasciavo Jacopo con la suocera. 
Mi sorride, si allontana.
- Buona settimana.
- Anche a te.

24 commenti:

  1. Vabbè ma quando ce vo' ce vo' però, ecchemminchia. Non bisogna giudicare, certo, sono un fervido assertore al riguardo.
    Però con chi se lo merita, un morso da vipera/vipero ogni tanto... Ce vo'!

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    1. Difatti ogni tanto ti strapazzo...dillo...
      Ma poi la nostra comune amica M strapazza me perché ti strapazzo 😁

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    2. Ma io me lo merito, da bravo ovetto ��

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  2. Abiti in provincia, dove si tende a giudicare.

    A Milano ce ne fregheremmo altamente

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    1. Si tratta di amici Fra...che sanno le cose. Ma che preferiscono darsi risposte senza fare domande...

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  3. Anche io tendo a "incasellare" le cose. Nel senso: se osservo qualcosa, se qualcuno mi racconta qualcosa, mi viene spontaneo cercare di mettere quella cosa in una sorta di "ordine generale". Non sempre ci riesco, eh, non sempre è facile, a volte ci rifletto "Ma è in questo modo o in quell'altro?" e "Ma sarà come mi racconta o è invece così o cosà?". A volte, incontro persone che mi sembrano "fuori dagli schemi" e inevitabilmente mi colpiscono. E dal conoscerli, cerco di "migliorare" la mia descrizione interna del mondo e delle vicende. Descrizione che si basa sulla mia esperienza delle cose, etc. Diciamo, è una sorta di "deformazione professionale", mettere le cose all'interno di una teoria più generale e riconfermare o confutare, ad ogni nuovo incontro/riscontro, se la mia teoria è atta a descrivere la situazione o no...

    Sembra una cosa fredda ed asettica ma non lo è. In effetti, lo so benissimo che non ci sono teorie "fisiche" per le vicende umane... comunque ritengo che, in genere, si possa individuare una tendenza. Se io fossi una del campo, probabilmente riuscirei a esemplificare meglio la cosa. Comunque, anche nelle teorie fisiche, esistono le deviazioni sperimentali, ovvero: misure che sono fuori il margine d'errore. È inevitabile che ci siano, anzi, quando non ci sono, c'è il sospetto forte che qualcuno stia barando sui dati... e come le eccezioni ci sono in una scienza come la fisica, a maggior ragione ci possono essere nella realtà delle vicende umane.

    Tutto questo discorso per dire: incasellare le cose può essere una necessità per dare una struttura a quanto ci sta davanti, ma occorre sempre controllare se la mia rappresentazione è sensata, "verosimile".

    Altre volte, è inevitabile giudicare, soprattutto messi a parte di qualche confidenza che ci tocca nel profondo, nell'insoluto, nel doloroso.
    È umano, in effetti. Certo, indica anche che chi "emette la sentenza" lo fa per una sorta di insufficienza personale, o a volte per sfogo di una frustrazione che non è passata del tutto.

    Ci sono passata ovviamente anche io. Ho emesso sentenze, a volte non verbalmente, ma dentro di me. È inevitabile, credo.
    Ho anche però avuto esperienza di persone che sentenze le hanno emesse verso di me e devo dire che, nonostante il fastidio o la rabbia, ho anche avuto accesso ad un modo di vedere che non avrei potuto avere da sola: un punto di vista esterno, che mi risultava scomodo, che poteva essere frutto di astio e vendetta, ma anche poteva essere un parere oggettivo. Si discrimina anche in base alla persona che emette il giudizio, considerando quanto vale questa persona nella nostra vita, quanto ha fatto per noi, come si è posta...

    Io, per esempio, so di avere imparato molto da chi mi ha anche criticato ferocemente (in apparenza). Nel senso: era una critica oggettiva, che sembrava feroce solo perché, nei rapporti di tutti i giorni, vige l'ipocrisia di evitare gli scontri, di ignorare. Mentre era solamente una critica schietta, con parole non addolcite.
    Difficile distinguere, ma da questo tipo di critiche si impara, anche se fanno male.

    Uh! Scritto tantissimo. :)
    Ti abbraccio,

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    1. Hai scritto tantissimo, ma cose proprio molto interssanti!!
      Mi piace questo rimando alle scienze...
      Onestamente e grazie al cielo, ho smesso di preoccuparmi del giudizio che può essere espresso in merito al mio essere o al mio agire. Se penso a quanto male mi faceva!!!
      Che poi forse va fatto un distinguo fra "critica costruttiva" e "giudizio". La prima implica comunque un'accettazione, un'accoglienza dell'altro. Nella critica che cerca il confronto (appunto, costruttiva) l'obiettivo è capire/capirsi o cercare un punto d'incontro. Posso esprimere un parere ad un amico sul suo agire o fare, ma devo essere disposta ad ascoltare, modificare il mio pensiero, a rivedere le "strutture" di cui parli(assolutamente funzionali peraltro)...
      Abbraccio a te, mia bella fisica :)

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  4. Che poi i bambini che vengono lasciati dai nonni cresceranno solo meglio, più completi, e più sereni... ché i genitori hanno la possibilità di far cose loro e rafforzarsi. Ed essere più presenti. Ma si fa presto a parlare con la sola voce da figlia. Magari quando avrò un figlio anch'io capitolerò :/

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    1. Ma certo che fa benissimo a tutti! Bimbi, genitori e nonni!
      E' che ci metti un po' a capirlo...a fare i conti con l'ansia da separazione... ;D

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  5. Nessuno è esente, Gioia.
    L'importante è capirlo e fare più attenzione prima di puntare quel dito "stramaledetto".
    Buona domenica, tesoro.

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  6. oh bella questa, ma tu hai delle cimici nel mio salotto?
    cmq si discuteva di questo l'altra sera dopo il limoncello della Tilly... la questione non è giudicare, cosa che presuppone l'essere senzienti, ma è non dare seguito al giudizio (sia negativo che positivo) con una sentenza o una condanna. Insomma saper aspettare le prove (eventuali).
    Poi ci sta che ognuno emetta un giudizio su quello e su coloro che lo circondano, e vivaddio chi riesce a farlo altrimenti saremmo tutti dei babbei.

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    1. dimenticavo, poi volevo anche fare il sapientino ... alfa 5 dicono, alfa 5!!

      e non dire colpito affondato che ti ho sentito che lo pensavi :P

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    2. Che poi...giocavi a battaglia navale tu??

      Interssante articolo. Mi sta bene che si diventi capaci di farsi delle idee, di esprimerle, che si inizi a costruire quello che si diventerà...mi spaventa chi (prima ancora che l'interlocutore dia voce ad un pensiero), anticipa le sue parole, ha già in mente cosa dovrà dire. Costui, con pregiudizio, SA sempre chi sei e ha questa idea mostruosa che tu non sia un essere in evoluzione costante...

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  7. Giudicare è diverso dall'avere un parere proprio, anche molto distante da quello della persona con cui stai parlando, è una cosa molto diversa.
    Il (pre)giudizio generato dal risentimento porta sempre a emettere sentenza e poi condanna, ti ci porta dritto, praticamente sempre.
    Parlo del giudizio esercitato (sì, esercitato, quasi fisicamente, con ferocia) da quanti si sentono "giudici nel giusto" a prescindere dal contesto e dall'argomento.
    Però, non credo sia poi così difficile intuire la linea di confine tra il parere diverso espresso e il giudizio esercitato fisicamente; l'importante è esercitarsi a tenersi lontani dai cosiddetti Vendicatori di Dio, non so se mi spiego...
    A Napoli hanno un'espressione che va benissimo per descrivere lo stato d'animo, la triste e trista condizione psichica dei Vendicatori di Dio; è un'espressione che li smerda con poche parole (sì, proprio smerda ho scritto).
    L'espressione è questa:
    vidi ca chill' è une ca schiatta 'n cuerpe!
    Vedi che quello è uno che schiatta dentro! (ammesso che la traduzione renda...).
    Il dialetto ha coniato una frase, che vale quanto una descrizione psicologica accurata, per dire il senso di rancore che si mangia dentro certa brava gente...
    Vai tranquilla, bionda, tu sei troppo positivamente allenata per finire tra i Vendicatori di Dio!

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    1. Ho riso... ;)
      Bellissima l'espressione napoletana!!!
      Ecco, hai in qualche modo centrato. In effetti è molto vero, spesso chi condanna ha un doppio registro...una sorta di curiosità morbosa verso l'oggetto del suo discredito...

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  8. Il giudizio fa parte dell'umano sentire, ma io credo che ogni tanto andrebbe lasciato da parte, che si dovrebbe cercare di ascoltare gli altri senza categorizzarli, senza schematizzare i loro comportamenti, senza dividere il mondo in buoni e cattivi.
    La vita a volte ci travolge, ci cambia, ci ferisce, ci sbrana. E in quella lavatrice che corre forte in preda alla centrifuga non sempre si riesce a discernere il giusto dallo sbagliato, il male dal bene. Forse perché è accaduto a tutti, e anche a me, ora cerco di evitare facili giudizi. Le categorie ci aiutano a sentirci meglio ma non esiste assassino che non abbia avuto anche dei momenti buoni e non esiste santo che non abbia avuto i suoi attimi di sbandamento.

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    1. Ma certo...fino a dieci anni fa ero una fabbrica di etichette...
      Poi la vita ci insegna. Anzi, insegna a chi vuole imparare. Questo fa la differenza.

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  9. la realtà non esiste, esiste solo quello che noi vediamo, ma/e soprattutto quello che richiamiamo noi a noi

    capisci poi perché abbaino così tante difficoltà a capirci, per quello nei limiti del rispetto altrui, dovremmo (come dici tu) essere "accettanti"

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    1. Nella vita passata consideravo questa cosa, del portare a sè cose e persone, una grande cazzata esoterica.
      Ora ne sono testimonial :))

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  10. Anima e corpo portano i segni ma è la mente con la sua luce a definire il peso dell'ombra, la distanza da un traguardo e a volte anche dai propri mostri.
    Cambiare la lampadina nei propri occhi, accendersi fino ad arrendersi

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    1. Arrendersi a sè, poi, ai propri limiti. Che inevitabilmente porta solo grande capacità di comprendere.

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  11. ...che saremmo, infine, senza il peso dei nostri emozionanti ricordi, che fanno sorgere legittimi dubbi su chi siamo nel presente...

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La vita è così, stupisce

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