sabato 28 novembre 2015

Sane regressioni

Ora. Che alle 20.35 io mi piazzi sul divano per la mia dose quotidiana di Masha e Orso, ha forse qualcosa di anomalo? Non so, me lo chiedo.
E' che alla fine di una giornata densa (cazzo, che densa) ho bisogno di fluidità. Roba da staccare la spina, tipo Abito da sposa cercasi o Ginnaste, vite parallele. Tazza di tè e gambe allungate.
Ma sotto i miei monti, nella casetta a colori, l'etere ossigenato seleziona a suo piacimento improbabili western anni '70 o soporifere interviste in bianco e nero.
Rai Yoyo invece, si vede una meraviglia. Così una sera mi si allarga sullo schermo il testone buono e peloso di Orso. Quegli occhi rassegnati da vittima predestinata, la mole massiccia e pesante.


E poi arriva Masha. Piccola da stare in una mano, bella e incontenibile. Quanto Orso apprezza la solitudine, il silenzio, il dolce e appagante piacere dei piccoli gesti (leggere, far parole crociate, spillare tè fumante dal samovar, pescare, dipingere), tanto Masha cerca buona compagnia, e gode nel condividere, investendo ogni cosa di energia esplosiva e dirompente.


Insieme, quei due, sono uno spettacolo. Orso che prova a star tranquillo, a godersi un buon libro, e Masha invadente, ingombrante, che in pochi minuti rovescia il mondo di Orso, portando infiniti crucci e immense gioie.


La mia convulsa giornata, a ben guardare, è costellata da lievi opportunità per sorridere. Il biscotto nel caffè a colazione, un bacio di buongiorno al dentifricio, radio Deejay nel tragitto casa-scuola, la panchina delle maestre al sole durante la ricreazione.
Insomma grazie Orso. E grazie Masha. A Babbo Natale chiedo la tazza, sempre se gli gnomi la trovano.


martedì 24 novembre 2015

E' arrivata

Domenica è arrivata la neve. Anche in basso, sui monti davanti a casa, tutto era spolverato.
Nel pomeriggio siamo andati a fotografare quel presepe, in Valle. Una capra rossiccia ci ha seguiti fedelmente lungo il sentiero, qualcosa intorno crepitava leggero e lui era felice, che gli brillavano gli occhi, che gli si inceppavano le parole.






































Capisco quella commozione. Me la regala il primo sentore di mare, che sussurrando mi promette il suo abbraccio tiepido, e salato.
Inverno ed estate. Distesa bianca e distesa blu.
Siamo così.

martedì 17 novembre 2015

La mia giornata della memoria


Ci aveva chiesto di chiamarlo per nome. Marco.
Eravamo tutti innamorati di lui, indistintamente. Che quando un prof arriva in classe e dice candido "odio insegnare, ma ho bisogno di mangiare. Quindi, visto che ho accettato l'incarico, farò del mio meglio", puoi solo star lì appeso come un pesce all'amo. Muti. Noi, che eravamo sempre a polemizzare su tutto.
Nel giro di qualche giorno Marco ci conquistò col suo sguardo bello e fresco sulle cose, con le sue letture declamate ed enfatiche, con la poesia che metteva in ogni gesto. Il miglior insegnante che abbia mai avuto.
Marco era uno storico, uno studioso. Passava i suoi pomeriggi all'Istituto per la storia del movimento di liberazione, setacciando archivi e biblioteche.
Un giorno, all'uscita di scuola, propose ad alcuni di noi un lavoro. Avremmo dovuto intervistare gli ultimi, fra triestini e sloveni, deportati dai tedeschi per crimini politici. Gente di ottanta, novant'anni, che non ne poteva più di ricordare e riesumare.
Accettai. Salivo su in Carso con il registratore nella tracolla, vestita come si conviene, discreta, riguardosa.
Mi offrivano caffè, biscotti al burro, limonata, ed era sempre difficile iniziare l'intervista. Andavano ore.
Conobbi un reduce con gli occhi celesti, che si era salvato grazie al suo trombone.
Una donna piccola e magrissima, sopravvissuta al campo con un bimbo nella pancia.
Spesso si finiva per andare oltre, oltre l'intervista, oltre la deportazione e il dolore. E si parlava di figli, d'amore, vita e ricette. Mi facevano raccomandazioni, mi davano consigli.
Una sera d'inverno, seduta nel salotto di una bellissima signora elegante ed eretta, scrissi sul mio notes: 
Dopo la prigionia capii che non ero più capace di amare. Amavo male, a dismisura. Allora cominciai a tradire, per distogliermi da quel troppo, per raccontarmi che era poco. Per distribuirlo, perchè quel sentire non facesse paura. Sono sopravvissuta a decine di compagni e compagne, ma non al dolore per aver ingannato l'unico che abbia amato.
Quando uscii, e la salutai, si scusò. Perchè ero ancora troppo piccola, disse, per il suo troppo.

venerdì 13 novembre 2015

Vi auguro


Un giorno me ne andrò. Vorrei tu fossi l'ultima cosa terrena che la mia mano cercherà.

Figli, vi auguro di amare. Anzi, di Amare.
Non è detto che vi capiti nella vita, di Amare. Si può voler bene, molto bene, e anche amare. Ma soltanto Amare apre la nostra trama, la scuce e la ricuce, tessendo nuovi fili. E non parlo di negare se stessi per amore, o perdersi. Solo di lasciarsi trafiggere. Dalla dolcezza, dal languore, dalla gioia, dal tormento. Senza riserve.
Non importa se chi Amerete vi corrisponderà con eguale intensità o abbandono o stupore. E' l'atto di Amare che spalanca ed espande, che rende permeabili. Che trasforma.
Lo so bene, è opinabile. Vi diranno che niente e nessuno merita tanto. Che a niente e nessuno dovreste offrire il ventre, la gola, le mani aperte. Eppure io penso che non ci sia Amore senza resa. Che le riserve, le uscite di emergenza, i paracaduti, siano pallide espressioni dell'amore che la paura impone. 
Poi, se arriva il momento di scendere, voi scendete. Mettete in valigia tutto l'Amore che siete e i gli occhi nudi e le mani aperte. Perchè è roba vostra, vi resta dentro, e addosso, nessuno ve la può strappare via.
Dimenticavo un'ultima raccomandazione. Tocca che vi Amiate, ma da morire, per Amare.

giovedì 5 novembre 2015

Pensieri spettinati

Il mio fine settimana inizia di venerdì, ore 13-13.30. Sempre stato così, che andassi a scuola, all'università, o che lavorassi. Verso mezzogiorno comincio a sentire quel brividino pre-vacanziero e mi scatta un sorriso ebete senza ma e senza se.
Da qualche anno la sento meno questa cosa. Sarà che il mio lavoro mi piace, che a scuola sto bene, che le colleghe sono prima di tutto amiche. Non so. Fattostà che a volte realizzo di essere nel fine settimana solo il venerdì sera. E allora ecco che zac!, parte il sorriso.
Che poi non son mai stata una da seratona disco o da tour compulsivo di locali. Neanche a vent'anni. Piuttosto mi è sempre piaciuta da matti l'idea di poter disporre di tempo, molto tempo, ore ed ore da gestire a mio piacimento. 
E le pulizie grosse? E la spesa? E il cambio stagionale degli armadi? Sgombrata la coscienza da un vaghissimo senso di colpa (facilmente tacitato sprimacciando qualche cuscino e, che ne so, pulendo il forno, che fa sempre grande impressione) ho sempre scelto di riposare, leggere, scrivere, fare cose con le mani. C'è stato il tempo del cucito e quello delle torte soffici. La stagione dei film francesi e quella delle tracolle patchwork. Attività piuttosto casalinghe ma operose, insomma. 
Ora mi stana l'amore smisurato per il cammino: la danza dei piedi sui sassi, il dolce saggiare la terra, alla quale consegno fiduciosa i miei passi.


Pensavo l'altra sera all'uomo che arrivò a casa nostra dopo la separazione dei miei genitori. Dopo l'uscita di scena di mio padre, insomma.
Non mi piaceva, com'è ovvio, e mi pareva vecchio, troppo vecchio per la mia giovane e bella mamma.
Paolo era però un brav'uomo, e nel contempo un personaggio. Uno dei principali studiosi italiani di psicologia della Gestalt. Non solo l'ho trovato su Wikipedia, ma ho pure riletto un articolo del Corriere, firmato da Claudio Magris, suo carissimo amico, che lo ricordava qualche giorno dopo la sua scomparsa. Era una persona coltissima, docente universitario ed eclettico musicista.
Ebbene, quest'uomo di spessore si presentava come l'ultimo dei grigi topi da biblioteca. Umile fra gli umili, piccolo fra i piccoli.
Quando la sera arrivava stanco di parole, era la semplicità di quell'androne da casa popolare, che apprezzava. Erano l'odore di minestra, i miei compiti di geografia, la coda di cavallo di mamma, a regalargli un sorriso grato.
Appena giro l'angolo ed imbocco la via, guardo in altro, al terzo piano. C'è questa luce accesa, in cucina, e so che qualcuno mi aspetta. E' felicità.
Diceva così.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

Mi piace

  • Paolo Rumiz
  • Passenger
  • Walter Bonatti e Rossana Podestà
  • pita ghiros