sabato 10 giugno 2017

Volevo una vita raminga

I bambini di seconda leggono un brano. Lei, biodina, sognante, alza la testa dal libro e mi guarda.
"Cosa significa circo maestra?"
No, non può essere. Non ho capito bene la domanda. Mi avvicino a lei, scandisco bene.
"Quale parolina non conosci, tesoro?" 
"Circo. Cosa vuol dire?"
Mi manca il fiato per un attimo, ma i compagni fanno subito a gara per rispondere e riempiono il mio silenzio.
Prendo dolorosamente atto dell'amara verità: esiste un bambino (uno solo? e se fossero tantissimi?) che non conosce il significato della parola CIRCO. Mi sembra una scoperta che ha a che fare con l'evoluzione, con la pluralità di rutilanti offerte attraverso le quali oggi passa l'infanzia, più o meno consapevolmente. Cosa sarà mai un circo al cospetto dell'animazione 3D sul megaschermo, dove tutto pare vero ma è ancor meglio che vero? O del videogioco in cui "sei tu il protagonista!", che basta fare un clic qui e via nell'iperspazio.

Quand'ero piccola il circo metteva su le tende nel piazzale davanti a casa. In quella periferia polverosa transitavano compagnie misere e scalcagnate. Ma ai miei occhi di bambina, era quella la prova tangibile che esisteva un mondo altro, più incantato e desiderabile del mio, in cui i sogni arditi che facevo avevano forma di piroette, ruggiti, cilindri e lepri bianche.
I carrozzoni sostavano per qualche settimana e i bambini circensi venivano scuola alla Domenico Rossetti. Stavano solo tra loro, non parlavano e non giocavano con nessuno di noi. Li guardavamo di taglio, sospettosi ma riverenti. 
Un paio di volte, e come grande concessione, la mamma mi portò allo spettacolo serale. Non so neanche dire il fremito, il turbamento, mentre si prendeva posto sulle panche di legno e le luci si spegnevano. Facevo appena in tempo a calmare il cuore che di colpo zac!: rullo di tamburi, parata degli artisti, clown con gigantesche scarpe e fiori all'occhiello da cui usciva acqua a profusione.
Ridevo, sospiravo, portavo le mani alla bocca per uno stupore o uno spavento. Ad ogni numero mutavo i miei progetti per il futuro. Sarò la ragazza bella e sorridente del lanciatore di coltelli. No, sarò l'acrobata a testa in giù. Anzi, sarò la contorsionista sinuosa chiusa nella cassa del tesoro.
Se il domatore di tigri, regale nella divisa rossa coi borroni dorati, avesse allungato una mano, con un balzo l'avrei raggiunto, pronta ad indossare i panni di una stella giramondo.

Non pensavo ai poveri leoni vinti, all'elefante stinto e triste, alle scimmie rabbiose che la notte dormivano stipate in una gabbia troppo piccola. 
Io vedevo finalmente farsi carne la poesia, quel velo iridescente e malinconico che stendevo ogni giorno sulle cose, per raccontarmele più belle.

13 commenti:

  1. io da piccolo non sapevo se le fragole crescessero in un albero o in una pianta

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  2. Hai ancora nella mente i sogni che hai fatto ieri
    mentre io mi sto chiedendo quali sono quelli che fai oggi
    perchè come tutti i padri ho necessità di sapere
    qualisono i sogni e le aspettative dei miei figli
    non è curiosità, è cercare di capire se ho dato loro
    la capacità di sognare in grande,
    di apprezzare ancora la poesia che c'è in un sogno,
    In quello che scrivi metti sempre qualcosa che mi fa riflettere
    starei tanto bene a coltivare la mia pigrizia mentale
    mannaggia a te!

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    1. Mah. Che dire. Mio padre era un infelice e portava ovunque infelicità. I sogni erano il modo che avevo scelto per "andarmene"...
      La resilienza infantile è anche questo, la capacità di far fronte in modo positivo a qualcosa di avverso.
      Ma anche l'indole ha il suo ruolo...

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  3. e se lo avesse fatto apposta? noi a volte lo facevamo alla nostra maestra, per salvare il turno a Mauri che tartagliava e non voleva leggere... ha sempre funzionato :)

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  4. A me quell'effetto lo fece Guerre Stellari. nel 1977, o forse era il 1978.

    Altrimenti le giostre dell'EUR.
    Ci si andava tipo due volte l'anno. Alle parole magiche: "dai oggi annamo all'eure" la faccia assumeva la tipica espressione da pesce lesso ebete che poi, molto poi, sarebbe stata associata ad altre emozioni.

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    1. Anche il cinema mi faceva lo stesso... Ma il circo, era un'altra cosa. Una sorta di "trip" ;D

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  5. Non è il caso di questa bambina e di questa famiglia.
    Neanche dopo la spiegazione dei compagni (quello col tendone...gli acrobati...i pagliacci...) aveva chiarezza. Infatti ha detto "forse l'ho visto in un libro"...

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  6. Non so perchè ma il circo mi ha sempre messo addosso tristezza.

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  7. Mi ha colpito questo passo:"Io vedevo finalmente farsi carne la poesia, quel velo iridescente e malinconico che stendevo ogni giorno sulle cose, per raccontarmele più belle" e credo di avervi trovato una spiegazione della progressiva scomparsa del circo e dell'attrazione che esercitava sui piccoli.
    Credo che il circo abbia ragion d'essere fin tanto che sogno e fantasia abitano le vite dei bambini, perché a quel punto il circo può diventare anche lo spazio fisico e reale dei loro sogni.
    Oggi non so quanto spazio sia rimasto per la fantasia, perché la fantasia si nutre di poco, non ha bisogno di troppi oggetti, la fantasia costruisce di suo.
    Ci vorrebbe una maggiore povertà di oggetti e una maggior ricchezza di sogni, non so se mi sono riuscita a spiegare...

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  8. Penso che si tratti di un concetto, un sostantivo che sta sparendo nella vita reale. Un altro potrebbe essere "giardino zoologico" (abbr. "zoo").

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