Pensavo di scrivere una lettera ai miei figli. Alla luce delle cose, adesso, guardandomi intorno, indietro, di lato. Non una roba moralistica o didascalica, densa di buoni consigli e lezioni di vita. Più una specie di storytelling, in cui il vissuto, i sogni, gli inciampi, la bellezza, vadano assieme.
Questa voglia di testimoniare ha preso forma giovedì sera a teatro, mentre ascoltavo un brano di Jack London. In buona sostanza si diceva che ogni essere vivente è chiamato a giustificare il suo stare al mondo con opere e gesti. Se in quanto uomini abbiamo la facoltà di pensare e costruire e lasciare tracce, non possiamo permettere alla nostra vita di scivolare via senza peso, estranei alla nostra natura, ai nostri talenti, alle nostre spigolature. E soprattutto, tocca mettere tutto a frutto, il bello e il brutto, l'armonia e le dissonanze.
Siamo qui per Esserci, nè più nè meno.
Volevo dir loro anche un'altra cosa. Che quando amiamo qualcuno, lo amiamo al di là di noi stessi, oltre il nostro cono di luce. Non amiamo in funzione di ciò che desideriamo, che cerchiamo, che vorremmo, non ci aspettiamo precise corrispondenze e incastri perfetti. Amiamo qualcuno e basta, lo amiamo con le sue misure, lo ameremo anche se non potrà mai essere un disegnino nel nostro bel quadro.
Perchè anche l'altro disegna il suo bel quadro, ci piaccia o no.
In realtà, dopo tanto pensare ho deciso che non scriverò nulla. Perchè le cose s'hanno da vivere e attraversare tutte, sparati a cento all'ora.
Così mi hanno vista fare. E credo sia abbastanza.