Ho sempre pensato al mio blog come ad un rifugio. Aprivo la porta, mi infilavo tra le parole scritte e quelle ancora appese, da tirar giù, e mi sentivo in pace.
I primi passi li mossi col Diario di una maestra, nel marzo 2012: se sfoglio adesso quelle pagine, mi struggo. In ogni riga leggo prepotente la voglia di uscire scoperta, di mostrare la donna fremente che nel reale negavo e negavo con ottusa determinazione.
Attrerso quei post confusi e felici, cautamente sondavo lo spazio attorno a me. Prendevo le misure e mi misuravo; dapprima con brevi incursioni, poi con lunghe e brade corse a perdifiato. E se all'inizio i temi, i toni, i visitatori, i tempi, parevano frutto del caso, pian piano (e lo colgo adesso, a posteriori) le cose trovavano un loro senso e assetto, nelle pagine del blog e nei miei reconditi scaffali.
Man mano che i commentatori diventavano presenze abituali, scoprivo altri diari, altre vicende umane, mi confrontavo con esistenze distanti, forti, meditative, assetate, frivole, combattive, che a loro volta in me forzavano soglie, passaggi, varchi.
E sempre di più quel luogo di condivisione mi sembrava una panchina rossa sotto un albero, in un parco pubblico. Io stavo lì seduta all'ombra con la mia sporta colma di storie sulle ginocchia e osservavo i passanti. Alcuni transitavano privi di interesse, altri mi lanciavano uno sguardo e poi andavano oltre, altri ancora si accomodavano accanto a me, con garbo, a una certa distanza.
Ci voleva tempo per conoscersi, molte storie andavano estratte dalla sporta.
A volte, dopo tanto leggersi, annusarsi, mettersi a nudo, veniva il momento delle divergenze, dei bei confronti, che spesso proseguivano nelle rispettive caselle mail e altre si concludevano davanti ad un calice di vino. Vero.
Con la stessa grazia mi sono accostata alle altre panchine, su cui sedevano anime sconosciute, degne di massimo rispetto, così come i loro scitti. E potevano passere settimane di studio e lettura, prima di lasciare un commento lieve, in punta di piedi.
In fondo era la loro panchina.
Quando tutto nella mia vita è profodamente cambiato, si è fatto avanti il bisogno di congelare quella pagine, troppo dense del vuoto attraversato.
Così in un pomeriggio di maggio ho scelto lo sfondo floreale e azzurro delle Parole spettinate, più in tinta con la donna che da quel dolore si risollevava vestita di nuovi colori.
Ci sono amici blogger di lunga, lunghissima data. Che ancora citano le vicende della Maestra e con i quali si è condiviso altro, oltre. Alcuni, arrivati più tardi in queste pagine, fanno parte in qualche modo della mia vita: mi capita di pensarli, di chiedermi come sia finita questa o quella vicenda, di sentire il bisogno di portar loro un sorriso.
Quello che accomuna i miei lettori e che a loro mi accomuna, è un interesse personale, che va al di là della pagina scritta. Un'affezione che nasce dal sentirsi parte di vicissitudini, gioie e tormenti e che di certo non sostituisce e non adombra le amicizie tangibili del quotidiano, ma ne conserva alcune dolci caratteristiche.
Per principio ho sempre commentato blog che ritenevo di mio interesse, i cui argomenti stimolanti e gradevoli mi portavano a sani e costruttivi confronti e il cui autore mi appariva persona dalla mente vivace e degna di stima. Che senso avrebbe avuto altrimenti, accostarsi a quella panchina, occupata proprio da quella persona, con la sua sporta di storie sulle ginocchia?
C'è da dire che da qualche tempo registro un generale collasso nella sfera delle relazioni. Ho amici invischiati in brutte questioni lavorative, dove l'etica non sta di casa. Altri che subiscono o perpetuano tradimenti plurimi, sordi ad ogni richiamo della coscienza. Ho conosciuto e allontanato gente capace di infangare e disonorare, senza il minimo moto di vergogna. Ci sono umanità fragili ed inconsistenti che si ergono a giudici supremi, incapaci di guardarsi il palmo delle mani sporche.
La società liquida, dice Bauman, l'ego sopra tutto, l'altro come specchio.
Ecco, forse la mia scelta di restringere il campo, nella vita, a pochi amici, poche cose, poche parole, trova riscontro adesso anche qui, nel mio rifugio segreto, sulla mia panchina rossa.
Poso la sporta con le storie, per un po'. Forse la riprenderò sulle ginocchia più avanti, o magari altrove.
Ho solo bisogo di tirare un po' il fiato.