giovedì 31 marzo 2016

Vacanza e gioielli

E allora sono volate queste vacanzine. Una nuova decoltè frizzante. Il pranzo di Pasqua con mamma, nonna, amori miei, prosciutto in crosta e crema catalana. Tre libri iniziati e aperti sul letto, un uovo Kinder, un prato incastrato fra i monti da misurare coi piedi (ci starà qui, il nostro rifugio? e l'orto, lo metteremo laggiù?). Una sigaretta, un sogno brutto, una carezza, un autoscatto, calze a righe.
Delle vacanze, io amo il tempo lento. 
Ma poi a scuola, torno sempre volentieri. Anche se c'è stato il fattaccio del disegno sul tavolo bianco. Che qualcuno, in gran segreto, ha pensato bene di utilizzare quella candida superficie per un'opera d'arte, piena di colori e dettagli. Manco morto confessava il trasgressore, anche se minacciavo tutta la classe (dopo un soliloquio sul tema della cura per le cose e per gli spazi) di compiti supplementari. Allora ho aggiunto che poteva capitare di agire senza porsi troppe domande, un po' di pancia, che succede spesso anche a me. Insomma il colpevole era già perdonato, ma doveva dichiararsi, nel modo che più gli garbava.
Così stamattina, sul mio tavolo ho trovato questo:

Ovviamente firmato. E corredato da due meravigliosi braccialetti che ho subito indossato.

 Il reo sorrideva, in fondo al corridoio. E io, ricambiando quel sorriso, ho fatto tintinnare i miei gioielli.

mercoledì 23 marzo 2016

Voci


Mi accompagnano, le voci. Alcune non ho avuto la fortuna di udirle, eppure mi pare di saperle.
Sento cantare la maestra Anita assieme a noi, l'ultimo giorno di scuola. La voce rotta e roca, i capelli color malva freschi di piega. Mamma la chiamavo a volte, per sbaglio o per amore.
Di notte, e nei sogni, sono vocalizzi infantili, gonfi di latte e attese. Potrei disegnare alla cieca la bocca che li soffia, e non l'ho potuta mai sfiorare. Potrei riconoscerla fra mille, e non l'ho potuta mai guardare. 
Sento Giovanni che ride, e rideva poco. Ma con me bastava niente: una capriola sul tappeto, una corsa canina e scalza, le mie braccia fresche e nude, intorno al collo. "Cocca, coccussa", quando mi chiedeva di cercare il suo cappello grigio. E io lo trovavo, poi me lo calavo in testa. Quella risata lì sento, piena di  allegrie.
Ragazza del mare, dice una voce. E io mi volto, perchè quella ragazza sono io.



martedì 15 marzo 2016

Luci


"Mi disse: se ami qualcuno che ti ama, non smascherare mai i suoi sogni. Il più grande, e illogico, sei tu".
 A. Baricco

Tap tap, tap tap, tap tap.
Non corro da mesi, allora stasera vado su fin che posso. Mi sembra di non esser buona a metter giù come si deve la pianta del piede: l'esterno, l'interno. Fa un caldo pazzesco, tolgo il giacchino. Poi però sento freddo alle braccia, al petto, quasi quasi lo rimetto.
Tap tap, tap tap, tap tap.
Respiro troppo corto, mi fa male il polpaccio destro, la coda di cavallo scende. No Gioia, tutto sbagliato, non tenere la testa qui, lasciala andare. Ecco, buttala su in cima alla montagna, che poi te la riprendi appena arrivi. Brava così, solo andare e respirare.
Tap (dentro l'aria) tap (fuori l'aria), tap (dentro l'aria) tap (fuori l'aria).
Scende uno con la bici. Ciao. Scende una signora col cane. 'Sera. Sono arrivata a metà e vorrei fermarmi ma non lo faccio. Almeno fino al cartello. E poi fino alla curva. E poi fino al masso. Che grancassa il cuore, suona tutto impacciato le sue semicrome.
Basta, adesso mi fermo. Cammino, guardo di sotto tutte quelle luci nella sera blu e mi dico che si deve starci senza paura, a questo mondo. Perchè di aver paura, sono proprio stanca.69308
  da PensieriParole <http://wwnsieriparole.it/aforismi/amore/frase->

giovedì 10 marzo 2016

Avviso ai naviganti: post segaiolo (mentale)

Ecco un grafico a torta che un po' mi rappresenta. Come dire. Siamo tutti composti da parti, ma alcune di esse ci guidano, ci indirizzano, ci muovono. O ci spingono.
Il mio istinto di sopravvivenza tira parecchi fili. E io, che non so quante volte in momenti duri e scuri mi son detta "preferirei morire" (lo riporto ora senza enfasi alcuna, considerando che ogni uomo può  averlo pensato, almeno una volta nella vita) non mi capacitavo che invece, con tutta probabilità, l'istinto vitale e potente che alberga in me avrebbe impedito qualsivoglia gesto estremo.
Di razionalità, lo si può vedere, nella mia torta ce n'è davvero poca. Non sono un dolce secco, per intenderci, sono fatta di panna montata. E alla fine della fiera, la panna è un'aria molto pregna.
Così è stato l'istinto, col suo accanimento verso sguardi aperti ed ampi respiri, ad avermi catapultata qualche anno fa fuori dalle certezze, dalla solidità, dalle mie  rassicuranti scatole color pastello.
E se poi non sapevo come gestire tutta quell'abbondanza di respiri e sguardi, a lui non importava. Mi aveva cacciata fuori, tanto gli bastava.
Certo, viene da chiedersi perchè mai debba fare appello ad un istinto così animale ed estremo per salvarmi, visto che in fondo sono un essere evoluto, col dono della ragione e del pensiero. 
Ma c'è da tener conto che nel grafico a torta, l'istinto si gioca il primato assoluto con l'amore/dedizione/tensione verso l'altro. Quel desiderio viscerale di commistione e mescolanza con le persone che amo. Bello bellissimo, dolce dolcissimo, ma essere così dediti e così protesi alla lunga smarrisce.
Ecco allora giungere senza preavviso alcuno la scarica fotonica ed esplosiva che mi lancia nell'iperspazio. Fuggo, chiudo, scappo, mi cerco disperatamente.
Ora, cosa voglio? Voglio stare nell'Amore tendendo verso me. Ascoltando la mia voce, esprimendo ciò che sento, con i "sì" di panna e qualche "no" biscottato, rispettoso di me, dell'altro.
E' vero, la mia storia parla di adesione a modelli, di aderenza ad altrui proiezioni, ma posso adesso, adesso che vedo, essere semplicemente me?
Eccerto che posso.

domenica 6 marzo 2016

Sostanza


Faceva freddo davvero l'altra mattina, come può capitare quando marzo, impunemente, ripesca gennaio. 
I bambini attraversavano il cortile della scuola avvolti nelle sciarpe, i cappucci ben calati. Li osservavo dalle finestre lunghe del corridoio, le stesse finestre dalle quali scruto il cielo da otto anni, le stesse che spalanco o chiudo, con i miei crucci e le mie gioie, ma sempre grata di tanta bellezza.
E lui mi chiama, per un saluto. Mi racconta che qualcuno, incrociandolo, gli ha detto in friulano: "ce timpat uè, isal ver? Un timp di tirasi dongje la femine!" (che tempaccio oggi, vero? Un tempo da tirarsi addosso la propria donna!).
Tirarsi addosso.
Rido. Ridiamo.
Che mi sembra così bella questa cosa, allo stesso tempo ruvida e calda. Pochi fronzoli, pochi concetti, bella sostanza.

venerdì 4 marzo 2016

Regale

Una cosa la mamma mi ha insegnato. Che basta poco a sentirsi regine. Che una passata di gloss brillante sgombra un cielo scuro e una tazza di cioccolata con panna cambia il corso della giornata.
Anche se stavamo nella cacca fino al collo, mamma stappava una bottiglia di bianco e riempiva il calice bello. Poi sorrideva.
A gennaio facevamo la settimana bianca, io e lei, a costo di tirar la fame prima e dopo. Ma là, al Grand Hotel Sole Paradiso, tutto era concesso. Nel momento in cui metteva giù il piede dal predellino della corriera prendeva un altro piglio, e trionfalmente entrava nella hall dell'albergo. Alla reception ci dedicavano ogni anno affettuosi saluti, sorrisi e strette di mano, che mi riempivano d'orgoglio. Qualche anno dopo mi è stato chiaro che non ci consideravano delle clienti speciali. Pura cortesia da Grand Hotel. 
Portava a casa il pranzo della mensa aziendale (a cui lei rinunciava) nei contenitori di plastica: era la mia cena. Però il caffè del mattino doveva assolutamente essere il migliore, il più profumato e aromatico. 
La vecchia e inaffidabile A112 color ruggine cadeva a pezzi e ci lasciava a piedi, ma le mie lezioni di pianoforte erano sacre, intoccabili.
E allora ho imparato. Che ogni regina va accarezzata, di tanto in tanto.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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