È che ovunque ti volti ci sono storie da raccontare. Te lo chiedono, lo pretendono proprio, che tu dia loro spazio. Ma io non ho mai tempo, e restano lì a boccheggiare come pesci muti.
Per esempio.
A colazione ho mangiato pane e burro. Mentre lasciavo traccia dei miei incisivi sulla gialla superficie profumata, pensavo a quella donna bionda e minuta che in cima a tutto sta, con le sue vacche grasse e la ricotta al fumo. Ora deve scendere a valle, e dice amara è finita la vacanza. Come se mungere alle cinque del mattino, pulire la stalla, far su il fieno, avesse un sapore feriale.
Sarà per questo che il burro comprato lassù, nella carta oleata, mi procura un piacere tutto fisico, da chiudere gli occhi.
Domenica in Slovenia abbiamo infilato una vecchia strada, forse cosacca. Il sentiero andava regolare e dolce, un tornante via l'altro. Giù di sotto l'Isonzo celeste, l'auto piccina, gli aceri gialli.
Cammina cammina ci si è parato di fronte un cancello basso, di legno, a tagliare il sentiero. L'abbiamo aperto, siamo passati oltre. Al di là, ogni cosa pareva chinarsi disciplinata e docile ad una mano amorevole, ma inflessibile. Fronde curate, il serpente regolare delle foglie rosse rastrellate, i piccoli covoni tondi d'erba secca, la legna affastellata per lunghezza, diametro, spessore.
Una traccia invitava a calarsi appena, attraverso il prato e l'abbiamo seguita. Un ruscello, un ciliegio possente e scuro, poche arnie colorate. Piccoli fruscii, schiocchi: si avanzava cauti, pieni di rispetto. Ed ecco più sotto la casina: storta, minuscola, ma così forte e primitiva che pareva aver radici.
Dove si nascondeva la maga, la guaritrice, quella Baba Jaga che ovunque aveva lasciato segni e tracce e tocchi? Da dove ci stava osservando?
Silenziosi, leggeri, abbiamo detto cose con le mani, gli occhi, con il sorriso. Che bel posto, non vorrei andar più via. Neanch'io. La senti quest'aria fine e dolce? Stiamo ancora un po'. Sì, ancora un po'.
Ieri sono finalmente andata a Trieste, per vedere la nonna.
La casa di riposo, per quanto possibile, mi è parsa un luogo umano, ricco.
Ma lo stesso Amelia lì dentro è spaventata, piccola. Lei, che non aveva paura di nulla. Abbiamo provato a far finta che tutto fosse come prima.
La mamma mi preoccupa di più, ha gli occhi tristi. Troppo pesante il carico di questa scelta, troppo duro da portare così, tutta sola.
Seduta accanto alla nonna, ho visto mondi di storie passare. E ogni volta provavo ad immaginare a quale passo avessero attraversato il mondo quelle anime bianche, che di colore erano state.
Una traccia invitava a calarsi appena, attraverso il prato e l'abbiamo seguita. Un ruscello, un ciliegio possente e scuro, poche arnie colorate. Piccoli fruscii, schiocchi: si avanzava cauti, pieni di rispetto. Ed ecco più sotto la casina: storta, minuscola, ma così forte e primitiva che pareva aver radici.
Dove si nascondeva la maga, la guaritrice, quella Baba Jaga che ovunque aveva lasciato segni e tracce e tocchi? Da dove ci stava osservando?
Silenziosi, leggeri, abbiamo detto cose con le mani, gli occhi, con il sorriso. Che bel posto, non vorrei andar più via. Neanch'io. La senti quest'aria fine e dolce? Stiamo ancora un po'. Sì, ancora un po'.
Ieri sono finalmente andata a Trieste, per vedere la nonna.
La casa di riposo, per quanto possibile, mi è parsa un luogo umano, ricco.
Ma lo stesso Amelia lì dentro è spaventata, piccola. Lei, che non aveva paura di nulla. Abbiamo provato a far finta che tutto fosse come prima.
La mamma mi preoccupa di più, ha gli occhi tristi. Troppo pesante il carico di questa scelta, troppo duro da portare così, tutta sola.
Seduta accanto alla nonna, ho visto mondi di storie passare. E ogni volta provavo ad immaginare a quale passo avessero attraversato il mondo quelle anime bianche, che di colore erano state.