martedì 29 luglio 2014

A casa

Volevo scrivere un post sull'orrore della Bosnia che ho attraversato con i pugni chiusi.
Volevo scrivere un post che raccontava come il mare, al calar della sera, sa prendere un corpo e sfinirlo di carezze, come il più dolce degli amanti.
Volevo dire di tamerici, lanterne, resina.
Invece non so farlo. Perchè le parole adesso, chiedono di essere posate con cautela. Non si vogliono sciupare.
Restano, attimi di gioia rotonda e pura, impermeabili ai garbugli che la vita presenta senza sosta.
E allora, come già sapevo, non è per me questo mondo di spigoli. So anche però, che posso pensarne un altro, in cui il tempo non sia stretto, in cui la bocca chieda consiglio al cuore, sulla cui soglia lasciare paura, dolore, ferite.
Volevo scrivere un post sulla mia voglia di volare, senza rete.
E invece ho scritto questo.

mercoledì 23 luglio 2014

Selve selvagge

È tutta colpa sua, della Diamanta, se in un placido mercoledì, nel bel mezzo della mia settimana di ferie nel blu, cado a pesce nelle memorie.
E mentre provo a sbirciare (accidenti, ormai è troppo tardi per dare solo un occhio, la porta si è spalancata, e sbatte) l'inconscio, che non si fa mai i cazzi suoi, porta a galla parole a casaccio.
Esta, aspra, forte.
Cerco di metterele assieme. Non c'è un senso.
Così,  visto che anche nella sottoscritta di sensato c'è ben poco, digito su Google.
Esta, aspra, forte.
Eccolo là. Come avevo fatto a non pensarici prima.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Inferno, canto primo.
E mi chiedo se è possibile, che gli stessi pinguini ammaestrati, lo stesso vento, gli stessi austeri palazzi, lo stesso dialetto, abbiano lasciato su di noi (me e la Diamanta bella), segni così profondi e così profondamente diversi.
Io, che nego e oscuro quell'infanzia, mi sono commossa.
Nervo scoperto, direbbe la mia amica J.
Appena rinfresca, ci torno. Vediamo l'effetto che fa.

                                  Comunque, sono qui:

 

sabato 19 luglio 2014

Si va


La porto al mare, Gioietta.
La porto sull'isola che si vede blu sopra, sotto e intorrno.
La porto a raccogliere sassi colorati, a mangiare calamari fritti.
Se per caso dovesse chiedermi un braccialetto rosso, l'accontenterò. E ricordandole che "l'erba voglio esiste solo nel giardino del re", le comprerò anche quello celeste, che ci sta bene.
Lascerò che si addormenti presto, sale fra i capelli, un po' di sabbia nell'incavo umido del braccio.

Ciao amici di bloggo, a tra poco. Non scrivete post troppo belli, mentre son via :)

sabato 12 luglio 2014

Vorrei. Anzi, voglio.


Quando ho letto il post di Pier sull'amico fedifrago, mi si sono torte le budella.
E perché mai, mi sono detta, una tale reazione?
Vorrei credere, più che mai ora, alla grandezza dell'essere umano. Grandezza che tocca in sorte a tutti, nessuno escluso, in quanto figli di un creato perfetto, dispensatore di grazia e bellezza. E mentre guardo seduta i monti rotondi, le nuvole in transito, un'esagerazione di verde che satura gli occhi, penso che se da lì veniamo, da quella stessa matrice, dovremmo solo esprimere altrettanta meraviglia e verità.
Invece.
Invece spesso l'uomo è piccolo, storto, inadeguato. Ben misera cosa. Costruisce siparietti di cartapesta dove recita un sè stesso fulgido, luminoso. E finisce per credersi.
Aggira ostacoli, sceglie scorciatoie, dispensa menzogne. Tradisce la vita, la colpisce alle spalle e poi si volta, per non sapere.
L'imperfezione è tutta umana, ma non mi dispiace. L'inciampo, lo sbaffo di cioccolato, il ginocchio sbucciato, un balbettio. Genuina debolezza.
Mi sconcertano invece l'equilibrismo, la tattica di gioco, il calcolo delle probabilità. La perseveranza nel praticare l'ambiguità.
Io voglio corrispondere a me stessa. Voglio i miei danni e le mie lacune, da dire con gli occhi, le mani, la bocca. Ma voglio che mi si possa guardare attraverso, luci e ombre, da ora e fino all'ultimo dei miei sorrisi.

lunedì 7 luglio 2014

Festeggiare, scalare


Così abbiamo fatto la festa sul prato.
E c'erano tutti, comprese un fottio di stelle sfacciatamente luminose.
Al primo bicchiere di vino, abbiamo smesso di preoccuparci per il cibo, le bibite, gli invitati che non si conoscevano e dovevano integrarsi. Allora sì, ci siamo divertiti un mondo.
Io col vestito bianco e scalza, lui con indosso la t-shirt (e la sua camicia azzurra ben stirata e ben chiusa nell'armadio).
Gli amici, le persone nostre intorno, a guardare indietro e avanti insieme a noi, a sbocconcellare bellezza.
Quando la voce roca di Sara ha letto le parole che avevo scelto, ho perso il fiato, il battito. Li ho ritrovati poco dopo, tra la scapola e l'orecchio di un ragazzo di montagna.

L'amore nostro è la forza che mi ricarica per semplice contatto, 
che spinge ancora quando non ho più fiato, 
perché so che c'è lui con me là sopra, e così continuo. 
L'amore nostro è il mio combustibile, un'energia pulita. 
 Questa nostra formazione annodata mi fa credere di poter riuscire. 
Lui ce la farebbe anche da solo, ma in due, con me, per lui è più bello, più goduto. 
Pure per me è così, però con la certezza che senza di lui mi mancherebbe la volontà, 
più che la forza.
Ma così come siamo forti, siamo fragili il doppio. 
Senza uno di noi, l'altro non può. 
Noi siamo quest'impresa in comune di scalare, non possiamo accettare altro formato. 
Non è un patto, non l'abbiamo scritto e nemmeno detto. È così. 
(E. de Luca, "Sulla traccia di Nives")

giovedì 3 luglio 2014

Raccolgo

Ho pensato che si può solo partire dal bello.
Basta disfare, destrutturare, smontare. Adesso ho bisogno di mettere su.
Così cerco e raccolgo schegge dolci, di caramello biondo.

L'altro giorno si chiacchierava in giardino, al centro estivo. Ritrovo negli occhi di una mia alunna la stessa paura bambina che ricordo così bene. Racconta, lucida. Non sa affrontare il sonno, lasciarsi scivolare lieve nella notte. Anch'io, come lei, alla stessa età.
Allora il giorno dopo la chiamo a casa. Il papà che risponde al telefono e poi me la passa, ride di questi nostri segreti.
"Ehi, dormito ieri sera?"
"Sì, proprio benissimo, senza neanche leggere".
La bambina che sono stata si volta, felice.

Nella casa di fronte abita una signora bionda: minuta, veloce, di mezza età. A volte è così bella da guardare che mi tiene lì, alla finestra.
Con i calzoncini corti e il cappellaccio, da lontano pare una ragazzina. Taglia l'erba, pota la siepe, rastrella, seduta a terra fa qualcosa che non so, forse sceglie dei semi.
Ci salutiamo con la mano, e torna alle sue cose.

Ho ritrovato mamma-albero, in una breve camminata solitaria. Non ero sola in verità,  perché come dice lui, "porto sempre un altro paio di occhi".
L'ho guardata, accarezzata, ho poggiato la mia guancia alla sua scorza.

La vita è così, stupisce

La vita è così, stupisce

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